Dal risvolto di copertina
Il binomio musica-estasi si è imposto da sempre agli occhi dell'uomo nelle vesti di un vero e proprio «enigma», che «vibra» e «risuona» nell'armonia del mondo. I numerosi e affascinanti «ricongiungimenti» tra l'anima e la musica, visti in tale chiave, troneggiano al centro di questo straordinario trattato di Abû Hâmid al-Ghazâlî, dove l'Autore, alla luce della tradizione islamica, si interroga sulla misteriosa corrispondenza che intercorre tra l'elemento spirituale dell'essere umano e le note musicali.
Dall'Introduzione
«Una misteriosa corrispondenza» - sono parole del mistico musulmano Abû Hâmid al-Ghazâlî, autore di questa e di altre numerose opere , - «intercorre tra le note musicali e l’elemento spirituale dell’uomo». La qual cosa, sempre a detta del nostro al-Ghazâlî, da un punto di vista strettamente razionale, rappresenta un vero e proprio «enigma», anzi, a voler esser più precisi, il «segreto dei segreti» (sirr al-asrâr). Orbene, sulla musica in quanto «arcano sottile», fenomeno che rasenta per molti versi l’inspiegabile, sono stati versati, come si sa, fiumi di inchiostro, e non sta a noi, ché ce ne mancherebbe qualsiasi competenza, ripercorrere le varie e complesse teorie elaborate sull’argomento, a cominciare dalle pitagoriche e dalle platoniche. In questa sede, basti ricordare, sia pur per sommi capi, quanto il maestro di Samo, pressappoco duemila e quattrocento anni fa, ebbe a ritenere circa la natura più «occulta» della musica: come quest’ultima, cioè, fosse per lui - e per i successivi «neopitagorici» - quanto di più affine a quel principio di «armonia» che tutto domina, informa e riconduce a sé. Secondo Pitagora, le leggi che presiedono al movimento dei cieli, come a quello degli astri, si rivelano all’uomo - purché questi, beninteso, ne sia degno - sotto la specie di una melodia dalle proporzioni cosmiche. L’anima, dal canto suo, partecipa di questo «ordito» universale, in quanto riconosce, nell’insieme dei suoni musicali, dei rapporti di carattere propriamente matematico, che in essa, a loro volta, si rispecchiano. Platone, in linea perlomeno generale, non si discosta granché dal concetto pitagorico della musica. La quale, anche per lui, si configura, in primo luogo, come una disciplina in stretta parentela, da un lato, con l’astronomia, dall’altro, con l’aritmetica. Quella gli appare, per giunta, come uno dei fattori più importanti ai fini dell’educazione dell’anthropos ideale, nel quale il corpo e l’anima, lo ricordiamo, sono chiamati a progredire congiuntamente, in modo «euritmico». Così, colui che unisca «la ginnastica alla musica e adatti entrambe all’anima nella forma più giusta, affermeremo essere questi un perfetto intenditore di armonia, assai più di chi si limiti ad accordare le corde di uno strumento» (Repubblica, III, 412).
Dal Testo
[1] Sia resa lode a Dio, che ha consumato i cuori dei Suoi amici nel fuoco del Suo amore e che ne ha avvinto il pensiero e lo spirito al desiderio di incontrarLo e di contemplarLo, e li ha indotti a posarsi, con gli occhi del corpo e con quelli dell’anima, sopra la bellezza della Sua presenza, fino a che non fossero divenuti ebbri a forza di respirare il profumo dell’incontro con Lui, e fino a che i loro cuori non si fossero sentiti turbati e sbigottiti al cospetto delle sublimi altezze della Sua maestà, e fino a che essi non avessero più intravisto alcunché all’infuori di Lui nei due mondi e non avessero fatto menzione di alcuno all’infuori di Lui in questa dimora e nell’altra. Ordunque, se un’immagine si presenta agli occhi di costoro, il loro sguardo interiore immediatamente si dirige in direzione di Colui che quell’immagine ha generata; allo stesso modo, se una melodia giunge al loro orecchio, i loro pensieri più intimi subito propendono all’Amato. E se una voce li raggiunge ingenerando in essi un sentimento di disturbo, o di inquietudine, o di commozione, o di malinconia, o di allegria, o di nostalgia, o di ira, ebbene il loro turbamento non esiste se non in rapporto a Dio, la loro gioia non si diparte se non da Lui, la loro ansia non procede se non da Lui, la loro tristezza non alberga se non in Lui, il loro desiderio non si rivolge se non a ciò che è presso di Lui. Essi, pertanto, in realtà non si elevano se non a Lui, e non fanno che andare e venire intorno a Lui. Il loro udito deriva direttamente da Dio e, allo stesso modo, la loro capacità di ascoltare ritorna a Lui, il quale ha sigillato i loro occhi e le loro orecchie affinché non accolgano altro che Lui. Tali sono coloro che Dio ha eletto a santi e che ha prescelto tra tutti i Suoi puri e speciali seguaci....