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Arte
Educazione linguistica Italiano
Eugenio Barba: Il teatro come santuario.

Lingua: Italiana
Destinatari: Alunni scuola media superiore, Formazione post diploma
Tipologia: Materiale di studio
Abstract: Eugenio Barba:
Il teatro come santuario.




C'è un'immagine, in uno scritto di Eugenio Barba, che è un po' una metafora di un personalissimo percorso etico, un percorso che dalle radici dell'Io porta a tracciare rotte universali e trasversali, attraversando continenti e culture e pervenendo col teatro ad allargare i confini della conoscenza umana e sociale: è quella delle isole galleggianti, quelle isole che i pescatori del lago Titicaca in Perù costruiscono con radici, foglie, terriccio, fango. Le correnti poi le trasportano da un approdo all'altro, da una riva all'altra, strappando ogni volta qualche brandello in più, o perdendolo, nel fluire di un percorso e di una mobilità instabile.

La pratica teatrale, che con Barba si definisce di un «teatro antropologico» o Terzo Teatro (così lo scritto pubblicato nel 1976 a Parigi) per distinguersi sia da quello convenzionale-commerciale sia da quello delle avanguardie e/o sperimentazioni occidentali, mette l'attore direttamente in relazione con la propria ricerca interiore, ma la contamina con i contatti, gli apporti, le esperienze «antropiche» delle culture marginali e remote del Sud, del Nord, dell'Est del mondo, in una sintesi prima dell'etica poi dei linguaggi del «fare teatro». È la logica del baratto, dello scambio continuo di esperienze e linguaggi, nel dare e avere che le isole nel loro vagare riescono a comporre per sussistere. Il tutto ha poi alla base una costante pratica di esercizi corporei (training, laboratorio, ecc.) con disciplina e dedizione assolute, quasi monastiche. Il laboratorio è il luogo appartato della creazione artistica, svincolato dalle logiche economico-burocratiche dello spettacolo: una prospettiva anche di vita (per i praticanti, attori e pubblico, quasi adepti di una setta virtuosa) motivata dalla necessità di creare (o almeno provare a creare) nuove relazioni fra il teatro e il mondo.

Quello che è uno dei più interessanti registi e «maestri» del teatro contemporaneo è nato a Gallipoli (1936) ed era avviato alla carriera militare: Barba frequentò infatti la Nunziatella di Napoli, prima di avventurarsi giovanissimo nel Nord Europa, in Norvegia. Nel 1956 e nel 1957 è imbarcato come marinaio su navi dirette in Oriente. Tornato in Norvegia si iscrive all'università (corso di Storia delle Religioni). Ma è il viaggio in Polonia (1960) ad Opole presso il Teatr-Laboratorium di Jerzy Grotowski ad aprirgli le prospettive nuove di un «mestiere», quello del teatro, fino allora vissuto solo come aspirazione rivoluzionaria di stampo brechtiano.

Barba segue le attività del Teatr-Laboratorium ad Opole dal '61 al 64, e ne è anche cronista e testimone come testimonia il libro Alla ricerca del teatro perduto (1965). Da Grotowski deriva a Barba l'idea del laboratorio teatrale come luogo eccellente di creazione e formazione individuale dell'attore. L'indipendenza dell'attore (quindi del teatro) dai processi economico-burocratici dello spettacolo diventa poi esigenza di vita. Nel 1964 fonda ad Oslo, dove è tornato, l'Odin Teatret con un piccolo gruppo di giovani attori non professionisti e sviluppa quel metodo fondato essenzialmente sull'espressione fisica dell'attore, sulla capacità di introspezione che trasforma lo spettacolo in un atto di introspezione collettiva. Alla base di tutto un rigido training di autodisciplina e allenamento quotidiano (fisico e psichico), che trasforma l'attore in una sorta di iniziato.

Al periodo norvegese dell'Odin appartengono gli spettacoli Ornitofilene e Kaspariana. Di questo periodo gli attori storici dell'Odin: Marie Laukvik, Torgeir Wethal, Iben Nagel Rasmussen, Roberta Carrieri, Cesar Brie, Julia Valerie. Nel 1966 l'Odin trasferisce l'attività in Danimarca, a Holsterbro.

I rari spettacoli del gruppo (l'esteriorizzazione spettacolare, il prodotto spettacolo è solo uno dei momenti dell'attività teatrale laboratoriale) sono ancora Ferai (1969), Minfars hus (La casa del padre) del 1972, dedicato a Dostoevskij.

Il lavoro scenico degli spettacoli dell'Odin non si avvale di apparati scenografici, ma di scarni elementi visivi e ritmici, privilegiando il rapporto fra attori e pubblico. Grandi le influenze del teatro orientale e del teatro di strada in un linguaggio che non adotta una tradizione nazionale di riferimento, ma tende a mettersi in collegamento con culture e tradizioni minoritarie o diverse, rispetto ai modelli imposti dalla società contemporanea occidentale. I viaggi di Barba e dell'Odin sia in Europa che nei paesi dell'America Latina inaugurano appunto la logica e la pratica del «baratto», scambio paritetico fra culture (quella locale, quella dei teatranti) con «acquisti» di musiche, suoni, linguaggi, tecniche.

Nel 1974 l'Odin con Barba effettua un famoso soggiorno di alcuni mesi a Carpignano nel Salento, con reciproci apporti culturali e teatrali: numerosi gruppi e personalità teatrali salentine si rifanno a quell'esperienza, dall'Università di Lecce con i sui docenti (Nicola Savarese, Luigi Santoro) alla compagnia Koreja che già nel piccolo paese di Aradeo inaugura dagli anni '80 una serie di appuntamenti di gruppi, spettacoli, esperienze.

Dal 1979 tiene le sue sessioni itineranti l'Ista (International School of Theatre Antropology) dove studiosi e uomini di teatro confrontano e valutano esperienze, pratiche, pedagogie. Centrale nell'esperienza e nella pratica pedagogica di Eugenio Barba resta l'idea che il teatro possa esser considerato «oggetto» da scambiare e condividere come esperienza, al di fuori dai processi produttivi, vero e proprio «strumento di trasformazione di sé e degli altri», capovolgendo in definitiva il rapporto abitudinario fra spettacolo e spettatore in un reciproco e gratuito scambio di interessi e aspettative.

Agli spettacoli dei primi anni di attività dell'Odin Teatret occorre aggiungere, nella scarna teatrologia di Barba, Come! And the Day Be Ours (1976), mentre del 1985 è Il vangelo di Oxyrhincus, lavoro che inscena il rapporto fra speranza e ferocia nell'idolatria della religione, in un testo che parla le lingue copta, yiddish, greca. Il vangelo di Oxyrincus fu a Bari (nel 1987) in uno spazio della Fiera del Levante, a cura del Teatro Petruzzelli. Sempre mantenendo intatta la sua dimensione di laboratorio di ricerca, seguono Talabot (1988), Itsi-Bitsi del '91, Kaosmos del '93.

Il teatro resta tutt'ora per Barba, che limita da un po' di anni la sua attività a quella di conferenziere-pedagogo, o di supervisore di performances dei pochi eletti attori-amici, un luogo di valori per eccellenza. Meglio un «santuario» dove l'agire scenico esprime con evidenza il rifiuto dei paradossi della società.

Pasquale Bellini



http://www.gdmland.it/QUOTIDIANO/1211/CULTURA/CU01/A08.asp


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