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Educazione linguistica Italiano
Intercultura
Pacs e famiglia. Perchè la Chiesa li teme tanto?

Lingua: Italiana
Destinatari: Alunni scuola media inferiore, Formazione permanente, Alunni scuola media superiore
Tipologia: Ipermedia
Abstract:

Pacs e famiglia.

Perchè la Chiesa li teme tanto?


di seguito all’articolo un nostro parere

 

Io la voglia del vestito bianco lungo - pur senza velo - e del bouquet di fiorellini azzurri me la sono cavata. Sarà per questo che considero il matrimonio un istituto antico, da lasciare dove sta. Oggi ci sono altre forme di convivenza e di socialità. I figli sono transumanti. Si può convivere senza essere sposati.

Vero è che uomini e donne una volta convivevano per procreare; la fecondità era strettamente legata al matrimonio. Il matrimonio è all’origine della famiglia; consacra l’unione di due persone che hanno come obiettivo la solidarietà reciproca. Tutto comincia con i nobili che si sposano tra loro per tessere alleanze. Poi ci si sposa – tra borghesi - per accrescere il patrimonio. Per la sua trasmissione ereditaria. Finalmente, anche il popolo si sposa; la democratizzazione del matrimonio, garantita dal codice civile ha vinto.
Ma il gioco del dentro-fuori dal matrimonio riguarda gli eterosessuali. Agli omosessuali quel gioco, in molti paesi, tra i quali l’Italia, è vietato.

In Spagna no. In Spagna, con la legge Zapatero, “total equiparacion“ (la manifestazione dell’Orgoglio Gay a Madrid, nel luglio 2005 è stata un trionfo) tra diritti e doveri di etero e omosessuali. Dicono i gay: voi (uomini e donne) potete sposarvi; perché devo essere discriminato?
Non voglio discriminare nessuno. “La famiglia a due è la struttura sociale più disprezzabile che l’umanità abbia espresso“ scrisse Elias Canetti. Forse ho un pregiudizio quando accuso il matrimonio di essere roba per persone normali, troppo normali. Chiedo scusa.
In Italia gli “scimmiottamenti“ del matrimonio hanno avuto scarso seguito. No alle “nozze simboliche“ (minacciava di celebrarle a Piazza Farnese il magistrato Palombarini); sì al riconoscimento giuridico delle coppie di fatto. Un recente sondaggio Eurispes afferma che tre cattolici su quattro sono favorevoli ai Pacs.

In alcuni paesi europei, i Pacs sono stati indicati come soluzione riformista di problemi pratici: reversibilità della pensione, assistenza in caso di malattia, diritto alla successione, a non perdere la casa, tutela in caso di separazione, garanzia sul piano ereditario.
L’Unione europea si è spesa per battere le discriminazioni esortando a riconoscere i diritti civili delle coppie omosessuali attraverso l’equiparazione di diritti e doveri con le coppie etero.
Nel frattempo, dal programma dell’Unione i diritti delle coppie sono scivolati via. Restano quelli delle persone. Le associazioni omosessuali hanno contestato Fausto Bertinotti. Dal sondaggio del sito gay.it, la Rosa nel pugno garantirebbe, più dei Ds, più di Rifondazione, la tutela del concetto di coppia.

Impostare la questione dei Pacs in termini di diritti civili e laicità dello Stato è importante, ma limitativo. La cornice entro cui collocare il dibattito dovrebbe essere quella, più ampia, della famiglia (intesa in senso lato) e delle forme di convivenza scelte o subite dagli italiani, in particolare dai giovani“ ha scritto Maurizio Ferrera (Corriere della Sera del I marzo 2006) spiegando che le unioni di fatto mettono alla prova i giovani che lasciano la famiglia d’origine per formarne una propria. E d’altronde, dove esistono patti civili di solidarietà, sono spesso i giovani eterosessuali a sperimentarli passando, in seguito, al matrimonio.
Tuttavia, le coppie eterosessuali restano silenziose. Sì, certo, se i Pacs ci fossero… ma finché non ci sono, meglio il ricorso al matrimonio.

D’altronde, quello ufficiale e legale, realizzato in pompa laica o religiosa, possiede un forte valore simbolico. Jane Austen non si stanca di ricordare alle giovani protagoniste dei suoi romanzi, l’importanza di ottenere una posizione matrimoniale e sociale adeguata.
Evidentemente, sul piano giuridico il matrimonio resta la forma più sperimentata di unione. Non è strano che le coppie di gay lo rivendichino. Nella recensione (sul Corriere della Sera del 4 marzo 2006) al film “Brokeback Mountain“, David Leavitt, parlando dei due laconici cow boy che pascolano le pecore su una montagna del Wyoming, osserva che il loro amore senza parole ruota intorno a un’aspirazione di fondo: “la stabilità del loro rapporto“.
Forse, dovrei riflettere di più su questa umana domanda che non si riduce alla volontà di normalizzare l’omosessualità, al determinismo insito nell’appartenenza alla identità (culturale, sociale, economica e politica) gay, ma attribuisce al matrimonio, nonostante l’usura e le ipocrisie, molte virtù.

Perciò, quando l’arcivescovo di Genova, il cardinale Tarcisio Bertone, accusa i Pacs perché in quel patto manca la sicurezza della continuità e ognuno dei due contraenti “può lasciare l’altro quando vuole“, sostiene proprio questo: il matrimonio cancella le incertezze del futuro mentre testimonia la lunga durata. Sicché mi appare una contraddizione l’ostilità della Chiesa nei confronti di un’aspirazione che non minaccia la famiglia ma, al contrario, è conferma della sua importanza.

 (Letizia Paolozzi : www.donnealtri.it)

 

Un nostro parere

 

Siccome il nostro settore (mi riferisco agli interessati a questo sito) spesso inclina nel campo delle rivendicazioni, è bene avere uno sguardo attento al fenomeno emergente delle molte “pretese” odierne di un cambiamento di mentalità a 360 gradi. Le istituzioni civili e religiose reagiscono in vario modo, mentre i singoli, quando non ripiegano in qualche schieramento di bandiera, sono disorientati. Da qui l’atteggiamento interventista della Chiesa (cattolica).

Il fatto che Benedetto XVI parli dell’amore gay come amore debole può indurre a forti perplessità, che vogliamo motivare perché non siano assimilate a punti di vista generici.

Unicità della famiglia

La famiglia, dietro la lunga gestazione dei tempi e dei luoghi, ancor oggi simboleggia efficacemente il rapporto generativo dell’uomo e della donna, ed offre ai suoi membri lo spazio rassicurante dove si tesse, materialmente, moralmente e socialmente, la loro identità, sempre nel contesto più ampio di vari fattori sociali.

Sul tema della possibilità di altre formazioni simili a quella della famiglia ci sono posizioni divergenti sulle quali bisogna fare chiarezza: mutare la forma tradizionale del matrimonio è cosa del tutto differente dal dilatare il campo delle possibilità a vari tipi di convivenza umana. Così, ad esempio, parliamo di “famiglie religiose”, che si sono sempre ispirate al modello della famiglia, ma l’aggettivo religiose ne rimarca la specificità rispetto alla prima.

Estendere i diritti della famiglia ad altre entità?

Quando il cardinale Tarcisio Bertone sottolinea che “il matrimonio cancella le incertezze del futuro mentre testimonia la lunga durata”, difende, circoscrivendoli, particolari diritti inerenti alla famiglia contro chi li vuole estendere ad altri tipi di convivenza. Infatti il matrimonio non implica un tipo di convivenza qualsiasi, bensì il rapporto tra due persone di diverso genere, con la prospettiva (nei limiti delle possibilità) di trasmettere la vita umana e di affidare ai discendenti un certo patrimonio, da non considerare nel suo aspetto riduttivamente materiale.

E’ possibile allargare il concetto di famiglia fino a snaturarne il significato? Pare che si voglia dare credibilità agli slogan correnti: “il concetto di famiglia è roba passata”, “quel che conta è star bene insieme”, “abbiamo diritto a formare famiglia come ce l’hanno moglie e marito”, eccetera. Come se fosse indifferente che a “sposarsi” siano un maschio e una femmina, oppure due dello stesso sesso.

O dar corso al riconoscimento di altri tipi di convivenza?

I tempi sembrano alquanto maturi perché si riconoscano i diritti inerenti ad altri tipi di convivenza a tutela di ciò che al loro interno i singoli tesaurizzano col loro impegno, per concedere ciò che è giusto senza nulla togliere ai valori specifici inerenti al matrimonio. Ma il tanto conclamato “matrimonio gay” assume un carattere rivendicativo, che è inesatto considerare limitato alla richiesta di  un riconoscimento giuridico. E di fatto gli omosessuali vogliono che si dia posto ad una famiglia del tutto omologata, nei suoi principi ispiratori, alla famiglia: accettano a malincuore perfino che si parli di “unioni civili”.

Le contraddizioni scoppiano proprio nel voler dare una pagella di normalità alla diversità, finora reclamata come diritto, appunto, ad essere diversi. Volendo annullare il giudizio di trasgressione che ha ghettizzato le diversità, e volendo dare a queste una pagella di normalità, le si schiacciano sull’istituzione più collaudata, come quella del matrimonio. Non sarebbe meglio puntare su un modo di intendere l’idea di trasgressione (non tutte, speriamo), come possibilità del nuovo?

Certamente il matrimonio tradizionale dovrebbe scendere dal piedistallo di una normalità che relega nell’anormalità la “diversità sessuale”, e valutare se non sia il caso di riconoscere la legittimità di nuove forme di convivenza, basate su principi regolatori, fissati dalla legge, senza cedere a forme di relativismo che metta sullo stesso piano qualsiasi valore.

La via che faciliti il cambiamento

Ci vuole tempo perché venga assimilato un modello nuovo di “unione civile” riconosciuto giuridicamente. L’opinione pubblica si adatterebbe meglio e più presto all’idea di una convivenza omosessuale, con diritti analoghi a quelli della famiglia, ma su altre basi. Invece potrebbe ritardare il processo verso una nuova mentalità la voglia di accaparrare subito e in maniera indiscriminata diritti che sovvertano i punti di riferimento tradizionali. Per essere accettati socialmente ci va ben altro che compiere gesti di rottura eclatanti. E poi, per favore, non creiamo un altro tipo di omologazione, ricacciando nella neutralità e nell’indistinto le diversità.

Anche il fare leggi che non si accompagnino alla maturazione della società potrebbe essere controproducente.

Quando, poi, si allude alla possibilità che il matrimonio gay possa cadere nella categoria del sacramento, non si tiene conto dello scombussolamento che accadrebbe nella pratica religiosa. Perché non prendere il largo ed inventare altri termini e altri modi di stare nella Chiesa?

Il diritto all’amore non va misurato col criterio dei compartimenti stagno 

Il papa parla di amore debole per indicare il rapporto amoroso tra omosessuali. E ci lascia davvero perplessi. Se non è amore debole quello degli amici, che coltivano con sacro rispetto e fedeltà somma un vincolo di comunione spirituale su diversi piani, perché dovrebbe essere debole l’amore tra due omosessuali, sol perché entra in gioco la sessualità, soprattutto se praticata?

Non siamo grilli parlanti per sentenziare su tutto, né vogliamo indugiare su questo nostro dissenso a quanto afferma il papa. Ma osiamo chiedere allo stesso rispetto per drammi personali che causano inenarrabili tormenti, e ai soggetti-in-causa di essere se stessi fino in fondo, sicuri della dignità di figli di Dio, tra i quali non ci sono degli illegittimi.

Ausilia Riggi




http://www.donne-cosi.org/estate2006/Pacsefamiglia.htm


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