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Transdisciplinare
Intercultura
L'alternativa dell'altra Africa. Una risposta locale alla sfida della mondializzazione. Di Serge Latouche

Lingua: Italiana
Destinatari: Alunni scuola media superiore, Formazione post diploma
Tipologia: Materiale di studio
Abstract:

Angola e Mozambico: il peso della storia

di Patrick Chabal

In questo saggio mi propongo di valutare se un approccio storico e comparativo possa aiutare a fare luce sulla condizione attuale e sul destino futuro di Angola e Mozambico. Il mio scopo principale non è fornire un resoconto sulla situazione odierna di questi due paesi lusofoni dell’Africa australe, ma piuttosto vedere se ciò che sta accadendo oggi possa essere reso più comprensibile attraverso un’analisi storica. Né sostengo che la comparazione tra Angola e Mozambico rappresenti l’unica via per capire il senso della storia contemporanea di questi due paesi. Vorrei soltanto valutare se tale comparazione può aggiungere un’altra dimensione all’analisi del loro destino post-coloniale.

Le due principali domande cui cercherò di rispondere sono:

(1) Perché la situazione in Angola è diventata così difficile?

(2) Il Mozambico come è riuscito a risolvere un conflitto che a un primo esame appariva più grave di quello angolano?

La risposta più comune alla prima domanda è che la situazione in Angola era destinata a diventare di difficile soluzione a causa della divisione storica del paese tra i tre principali gruppi a base etnica (bakongo, kimbundu, e ovimbundu). La risposta standard alla seconda domanda è che, in seguito alla fine dell’apartheid in Sudafrica, la RENAMO (Resistência Nacional Moçambicana) è stata costretta al negoziato, essendo venuti meno gli appoggi di cui godeva. C’è senz’altro del vero in entrambe le risposte, ma cercherò di dimostrare che si tratta di semplificazioni eccessive.

La situazione in Angola e Mozambico: ipotesi e causalità

La situazione attuale dell’Angola è a dir poco precaria. In seguito all’accordo di pace del 1991, si tennero nel 1992 le elezioni sotto la supervisione delle Nazioni Unite. Contrariamente alle attese, le elezioni diedero la maggioranza al governo al potere sin dall’indipendenza. Il MPLA (Movimento para a Libertaçao de Angola), già al potere, ottenne il 53,7% dei voti, mentre l’UNITA (Unitao para a Indipendência Total de Angola) ottenne il 34,1%. I risultati delle presidenziali andarono nella stessa direzione. Al primo turno il presidente in carica, José Eduardo dos Santos, ottenne il 49,5% e il leader dell’UNITA, Jonas Savimbi, il 40,07%. Era previsto un secondo turno, dal momento che dos Santos non aveva raggiunto il 50% necessario. Il leader dell’opposizione rifiutò il verdetto elettorale, e la guerra riprese. Un altro accordo di pace (il Protocollo di Lusaka) fu firmato nel novembre 1994, e prevedeva il cessate il fuoco. La sua implementazione è ora controllata da una più massiccia presenza delle Nazioni Unite.

Ufficialmente il paese attraversa ora le fasi finali dell’esecuzione degli accordi di Lusaka, in base alle quali la pace sarebbe consolidata e i meccanismi di power-sharing su cui si era trovato un accordo sarebbero in via di realizzazione. Stando alle ultime notizie ufficiali, invero, la supervisione delle Nazioni Unite ha reso possibile la graduale implementazione del Protocollo, obbligando sia il governo, sia l’UNITA a conformarsi ai termini dell’accordo. Si ritiene che l’UNITA abbia smobilitato le sue truppe e si suppone che il nuovo esercito nazionale unificato sia stato organizzato. La distribuzione di cariche a livello locale, regionale, provinciale e nazionale è ora stata definita ed entrambe le parti hanno mostrato la volontà di conformarsi alla lettera, se non allo spirito, dell’accordo. L’UNITA ha accettato di occupare i suoi seggi nell’Assemblea Nazionale, e si dice che persino Jonas Savimbi abbia accettato il ruolo di "Leader dell’Opposizione".

La realtà è, sfortunatamente, molto diversa. Sebbene all’apparenza ci sia stato qualche progresso positivo in termini di smilitarizzazione e integrazione politica, la situazione è ben lontana dall’essersi stabilizzata. Per prima cosa, l’UNITA non ha pienamente smobilitato il suo esercito. Benché abbia disarmato un certo numero dei suoi soldati, ci sono prove che ha conservato le sue truppe migliori, e che si sta riarmando. Se ciò sarà confermato, allora l’UNITA si sta preparando a riprendere la guerra. In secondo luogo il paese non è ancora sicuro e unito. Ci sono ancora aree sotto il controllo dell’UNITA in cui non può svolgersi alcuna vita politica ed economica normale. Per converso il governo è stato lento nell’attuare la distribuzione del potere in aree del paese sotto il proprio controllo. In breve, c’è molta violenza nel paese, e ciò costituisce una minaccia al consolidamento della pace.

In terzo luogo, ci sono indizi molto scarsi che la distribuzione del potere ai livelli regionale e nazionale stia conducendo alla collaborazione, e ancor meno alla riconciliazione, tra le parti. La struttura dell’autorità politica in Angola è tale che, nonostante l’UNITA sia in teoria entrata nell’Assemblea Nazionale e in altre istituzioni amministrative, l’autorità rimane saldamente nelle mani del MPLA. La distribuzione del potere semplicemente non è una realtà effettiva, né, forse, può esserlo. Infine Savimbi resta più sfuggente che mai. Ci sono numerosi segnali che il leader dell’UNITA non è affatto intenzionato ad accettare l’offerta di diventare il leader dell’opposizione e il vicepresidente, e che sta semplicemente acquistando tempo finché potrà rilanciare la sua campagna militare e conquistare il potere. Il fatto che si sia rifiutato di firmare personalmente il Protocollo di Lusaka e che non sia ancora giunto nella capitale sono, a mio avviso, segnali chiaramente minacciosi delle sue intenzioni.

Inoltre, e nonostante il generale desiderio di pace nel paese, ci sono segnali che l’attuale governo non è unanime sulla questione. Mentre la politica ufficiale è chiaramente diretta a mostrare che il regime sta scrupolosamente ottemperando alle direttive ONU e sta impegnandosi seriamente per il successo degli accordi di Lusaka, ci sono voci circa l’esistenza di una fazione favorevole alla linea dura all’interno del MPLA che vorrebbe eliminare l’UNITA militarmente una volta per tutte. Non è chiaro quale influenza abbia tale fazione sulla politica governativa, ma è certo che il MPLA è pronto alla battaglia. Dal punto di vista di tale fazione, gli errori del 1992 - anno in cui il MPLA iniziò il disarmo in seguito al primo accordo di pace - non devono essere ripetuti. In breve, quindi, sono presenti sia nel MPLA che nell’UNITA potenti "fazioni della guerra", il cui scopo finale è sconfiggere la controparte e affermare il controllo assoluto sul paese.

Non è nemmeno facile stabilire se i fattori regionali e internazionali siano tutti favorevoli alla pace. È vero che gli Stati Uniti stanno ufficialmente facendo pressioni su Savimbi perché concluda un accordo e a tale scopo hanno rinnovato le sanzioni contro l’UNITA. È anche vero che il governo del Sudafrica sta usando la propria influenza per sostenere il processo di pace. Tuttavia non c’è dubbio che l’UNITA continui a essere rifornita di armi, in parte almeno da trafficanti americani e in parte attraverso forniture aeree provenienti dal Sudafrica. Inoltre il governo angolano è sottoposto a pressioni contrastanti, dal momento che ingenti interessi stranieri sono preoccupati dalla prospettiva di un regime dell’UNITA e danno quindi un tacito appoggio a coloro che, nel MPLA, si oppongono all’idea di un’integrazione con il nemico. Diversamente dal 1992, poche imprese puntano sulla vittoria dell’UNITA. Infine, le implicazioni per l’Angola della vittoria di Kabila non sono ancora chiare: apparentemente Savimbi ha perso il sostegno incondizionato di Mobutu, ma in pratica l’UNITA sembra ancora poter operare dalla Repubblica Democratica del Congo, dove vaste aree sono scarsamente controllate dal potere centrale. Anche il recente coinvolgimento dell’Angola in Congo (Brazzaville) avrà influenze sulla stabilità regionale.

Le previsioni per l’Angola sono al meglio incerte e al peggio oscure. Sebbene il potenziale economico sia enorme e, con la pace, il paese potrebbe rapidamente svilupparsi e diventare uno dei colossi economici africani, la situazione politica è troppo instabile per giustificare molte speranze. La guerra civile può riprendere in ogni momento e, in tal caso, ci sono probabilità che sia ancor più distruttiva di quella che imperversò tra il 1992 e il 1994, a sua volta più feroce di quella che ebbe luogo tra il 1976 e il 1992. E ciò non solo perché entrambe le parti vorrebbero vincere "una volta per tutte", ma anche perché, sfortunatamente, entrambe le parti disporrebbero di ampie risorse per sostenere un sofisticato conflitto armato. Il paese si trova quindi sul filo del rasoio, e saranno necessari i più grandi sforzi di coloro che, sia all’interno che all’esterno, vogliono consolidare la pace e assicurarsi che l’Angola abbia almeno un futuro.

La situazione in Mozambico è invece radicalmente diversa. Qui gli accordi di pace del 1992, firmati dai rispettivi leader del FRELIMO (Frente de Libertaçao de Moçambique) e dalla RENAMO, all’integrazione di entrambi gli eserciti e allo svolgimento di elezioni multipartitiche che sono state coronate da successo. L’esperienza fallimentare della transizione alla pace in Angola ha aiutato le Nazioni Unite a ottenere un mandato per sostenere con maggior forza il consolidamento del cessate il fuoco e la preparazione delle elezioni in Mozambico. Le elezioni si tennero nell’ottobre del 1994 e, come in Angola, sebbene non così inaspettatamente, riportarono in carica lo stesso governo e lo stesso presidente. Il FRELIMO ottenne il 44,33% dei voti e conquistò 129 seggi (la maggioranza) nell’Assemblea Nazionale; la RENAMO ricevette il 37,7% dei voti e 112 seggi. Alle elezioni presidenziali il presidente in carica Joaquim Chissano fu rieletto con il 53,3% dei voti, contro il suo principale concorrente della RENAMO, Alfonso Dhlakama, che ottenne il 33,3% dei voti.

In Mozambico l’opposizione armata ha accettato l’accordo di pace e si è organizzata in un partito politico in grado di competere alle elezioni nazionali e pronto a funzionare poi come opposizione. Forse perché Dhlakama e la RENAMO hanno ottenuto risultati migliori di quanto molti avessero previsto, il partito si è mostrato disposto non solo a riconoscere la sconfitta elettorale, ma anche ad accettare il rifiuto del FRELIMO di formare dopo le elezioni un governo di coalizione e di riconciliazione nazionale. Per di più è riuscito a far ciò senza ricorrere alla minaccia di un ritorno alla violenza. La RENAMO, perciò, ha completato la notevolissima trasformazione da gruppo armato volto alla distruzione a macchina di partito mirante a ricavarsi una posizione legittima nell’odierno Mozambico.

Sebbene non possa qui fornire un’analisi più dettagliata dell’evoluzione politica della RENAMO, dal momento della sua creazione da parte dei servizi segreti rhodesiani negli anni ’70, farò in seguito una serie di comparazioni tra UNITA e RENAMO. È sufficiente dire che la situazione politica attuale si presenta stabile, anche se molto dipenderà dai risultati delle elezioni locali, che si terranno a breve. Se lo svolgimento di tali elezioni sarà considerato da tutti free and fair, se la RENAMO si mostrerà capace di valorizzare i suoi risultati nelle regioni in cui gode di maggior sostegno e se il governo locale sarà dotato di una significativa autonomia, allora ci sarà un ulteriore consolidamento dell’attuale carattere multipartitico del paese. Ma se ciò non si verificherà, sarà un segnale che il FRELIMO mira a mantenere de facto uno stato monopartitico, il che nel lungo periodo potrebbe rivelarsi una politica pericolosa e destabilizzante. Una preoccupazione è se il governo sarà in grado di avviare un processo di crescita economica che potrebbe, in tempo debito, portare a uno sviluppo sostenuto. Le probabilità non sono buone. Il Mozambico è sprovvisto di notevoli risorse minerarie e, sebbene presenti un buon potenziale agricolo per le esportazioni, la sua attuale situazione economica è allarmante. I vincoli dell’aggiustamento strutturale sono così severi da mettere a repentaglio la stessa autosufficienza del paese, e quindi a rendere praticamente impossibili i massicci investimenti necessari alla sua ricostruzione. Ci sono anche prove che il coinvolgimento delle ONG è così forte da scoraggiare una politica economica del governo e da far naufragare le iniziative governative di lungo termine. L’interrogativo per il Mozambico è, quindi, se sarà capace di superare i vincoli dell’aggiustamento strutturale, gettando allo stesso tempo le basi per una rinascita economica.

Come possiamo spiegare il diverso risultato delle rispettive transizioni alla pace dell’era post-coloniale in Angola e Mozambico? Inizierò guardando comparativamente alla storia coloniale e anti-coloniale di questi due paesi.

Alcune riflessioni sulla storia coloniale e sulla lotta al colonialismo

Non pretendo di offrire un resoconto della storia coloniale dell’Angola e del Mozambico né della lotta al colonialismo, ma soltanto sottolineare quelle che ritengo siano alcune delle considerazioni di maggior rilievo per una comprensione del presente. La mia principale preoccupazione in questa sede è analizzare la misura in cui tali fattori spiegano sia le similarità che le differenze presenti nel percorso post-coloniale di questi due paesi. In particolare mi chiederò se i differenti effetti della dominazione coloniale abbiano determinato la natura e l’efficacia dei movimenti anti-coloniali che cercarono l’indipendenza dal Portogallo.

Ciò che va evidenziato circa l’Angola coloniale è il grado in cui la colonia formale si è evoluta in continuità con gli eventi precedenti allo scramble dell’Africa. L’Angola era stata, almeno a partire dal XVI sec., legata la Brasile dalla tratta degli schiavi. Durante quel periodo si sviluppò a Luanda una élite commerciale e amministrativa creola, lusofona, meticcia, cattolica e cosmopolita, coinvolta nel commercio triangolare atlantico. Questa società creola viveva in Africa, ma i suoi legami con l’interno del continente erano limitati al commercio che sosteneva l’economia locale. Essa aveva i suoi rappresentanti nell’interno che erano in rapporto con gli africani locali. Il commercio degli schiavi era la principale, ma non l’unica, base commerciale per questa relazione, tra Luanda e l’interno. Anche altri beni erano scambiati, ma resta il fatto che, fino al XIX sec., fu la tratta degli schiavi che segnò le relazioni tra la società creola e quella africana.

Gli effetti della tratta degli schiavi sulla comunità africana dell’interno variarono in maniera enorme, tra coloro che catturavano e vendevano gli schiavi e coloro che erano catturati. Erano africani coloro che vendevano gli schiavi agli intermediari dei mercanti creoli di Luanda. Questa comunità creola viveva sostanzialmente separata dall’interno, rivolta com’era alla società brasiliana e portoghese di cui si sentiva parte, con la quale aveva, invero, complessi legami familiari, sociali ed economici. Possiamo quindi supporre che un certo numero di africani considerasse, ben prima del periodo coloniale, questi creoli urbani come sostanzialmente "estranei".

L’abolizione del commercio degli schiavi coincise con gli inizi del periodo coloniale moderno, che culminò con la spartizione dell’Africa alla Conferenza di Berlino. Da quel momento la storia dell’Angola è comune a quella di tutti i territori coloniali, segnata dalla "pacificazione", la creazione di una struttura amministrativa coloniale e lo sviluppo di un’economia coloniale che servisse la metropoli. Gli effetti della colonizzazione formale portoghese furono ovviamente molteplici, ma forse il più significativo fu il declino forzato della comunità creola di Luanda all’interno dell’ordine coloniale di nuova creazione. Dagli anni ’20 divenne chiaro che le élite creole sarebbero state usate come mere appendici dei nuovi padroni coloniali portoghesi. Dal punto di vista sociale ed economico il loro status fu ridotto. Inoltre, il dominio coloniale creò nuove élite, sia meticce che africane, che salirono i vari ranghi della società coloniale fino a sfidare la supremazia della società creola di più antica istituzione.

Gli effetti benefici della dominazione coloniale sulla maggior parte della popolazione africana dell’Angola furono piuttosto limitati. Obbligati a lavorare dalla legislazione coloniale, gli africani avevano poca scelta se volevano evitare il lavoro forzato o, peggio, il lavoro "a contratto" nell’isola di São Tomé. Avevano la possibilità di diventare "agricoltori" e integrarsi nell’economia coloniale, o dovevano affittare le proprie braccia come operai nelle aziende agricole e commerciali portoghesi - le più prospere delle quali erano le piantagioni di caffè, dal momento che la loro economia agricola non era sufficientemente forte da sostenere una popolazione piuttosto numerosa. Relativamente ai bakongo, coloro che non lavoravano come braccianti agricoli erano per lo più coinvolti nei considerevoli traffici e commerci che si erano sviluppati nel Congo belga, al nord. Alcuni di essi divennero dei veri e propri uomini d’affari e un certo numero possedeva piantagioni nell’Angola settentrionale.

Infine, l’Angola era una colonia di popolamento, ma di un tipo che la segnò diversamente dall’Africa britannica. Fatta eccezione per i proprietari delle piantagioni di caffè, chiaramente una élite tra i coloni, i portoghesi residenti erano in genere poveri, non qualificati né istruiti e, nel complesso, non riuscirono ad avere successo come agricoltori. Incapaci di competere con gli africani e privi di risorse, si trasferirono nelle città, dove sopravvivevano alla meglio facendo lavori manuali. Benché negli anni ’60 uomini d’affari e imprenditori portoghesi più dinamici si stabilirono in Angola, la maggior parte della popolazione bianca della colonia rimase relativamente povera e non qualificata. La sua presenza costituì un costante ostacolo all’accesso degli africani a quel tipo di lavori che avrebbero potuto sperare di svolgere in altre colonie non portoghesi. Allo stesso tempo la sua presenza contribuì a creare un’atmosfera di razzismo e meschina discriminazione nei confronti degli africani comuni e dei creoli delle città. Si può perciò notare che lo sviluppo dell’Angola-colonia fu al tempo stesso agevole e tendente potenzialmente alla divisione. Fu agevole perché i portoghesi consolidarono il loro dominio sulla colonia in maniera (relativamente) rapida e integrarono l’intero territorio sotto un’unica amministrazione. Fu potenzialmente divisa perché l’ordine coloniale produsse - come fece altrove in Africa, benché qui su scala maggiore - marcate dicotomie tra i gruppi sociali e, inevitabilmente, tra gruppi etnici o razziali. Di queste, la più significativa era quella tra i creoli e gli africani dell’interno - sia al centro che al nord del paese - dal momento che i kimbundu erano abituati a vivere più a stretto contatto con i creoli di Luanda.

Tali divisioni erano acuite da importanti fattori sociali, culturali e religiosi. I creoli parlavano portoghese, erano spesso (ma non sempre) di razza mista, cattolici e urbani. Dal momento che persero importanza a vantaggio delle élite coloniali di recente istituzione, cercarono di conservare il loro status più elevato enfatizzando ancor più di prima quelle caratteristiche che li distinguevano come la vera élite del paese. Benché meno importanti di quanto fossero nel XIX sec., essi rimasero al centro dell’ordine coloniale e non è innaturale che fossero visti dagli africani dell’interno come "collaboratori". Appartenevano a un mondo marcatamente lusofono, e ciò era evidente nella cultura, nella lingua e nell’aspetto esteriore. Nell’interno del paese le cose andavano diversamente. Le influenze dei missionari stranieri protestanti e cattolici di altre colonie (sia belghe che britanniche) dove molti lavoravano, erano più importanti di quelli provenienti da Luanda. Inoltre le istituzioni sociali e culturali africane locali, lasciate relativamente intatte dal dominio coloniale portoghese, continuarono a dominare la vita quotidiana della popolazione.

In breve, l’Angola fu caratterizzata da una netta dicotomia - tra la comunità creola e gli africani dell’interno - e da un ordine coloniale relativamente ben integrato benché scarsamente sviluppato, nel quale l’economia era largamente nella mani dei coloni bianchi. Ciò significava che, dagli anni ’50, esistevano due gruppi sociali profondamente frustrati. Le élite creole, distinte ma indebolite, e gli africani dell’interno, poveri, non piuttosto rigidamente stratificato.

Il Mozambico era diverso per molti aspetti significativi. In primo luogo la sua storia pre-coloniale fu legata a quella dell’India portoghese e aveva (almeno fino alla fine del XIX sec.) relativamente poco a che fare con la tratta degli schiavi. L’Africa orientale portoghese comprendeva, fino allo scramble, Ilha de Moçambique - testa di ponte verso l’India, i possedimenti o prazos nella regione del fiume Zambesi, e qualche comunità creola sulla costa. I prazos divennero, per usare la famosa espressione di Isaacman, "africanizzati". Ilha de Moçambique e altre città costiere non avevano né le risorse economiche né il prestigio sociale per competere con successo con le comunità di commercianti afro-arabi che dominavano la regione. Con il declino di Goa la presenza portoghese in Africa orientale si indebolì. Non troviamo in Mozambico neppure il lontano corrispettivo della forte, unita, indipendente e dinamica società creola di Luanda.

In secondo luogo lo scontro tra gli interessi coloniali sudafricani e portoghesi portò, in seguito all’ultimatum britannico del 1890, alla creazione di una colonia portoghese la cui geografia era ostile a una facile integrazione. Non solo il Mozambico presenta una forma molto allungata da nord a sud, ma le sue diverse regioni avevano molto meno in comune di quanto non avessero con le regioni immediatamente a ovest prima dello scramble. Infatti, fatta eccezione per la migrazione degli Ngoni da sud a nord (verso lo Zambesi) successiva allo Mfecane, le principali direttrici commerciali e migratorie erano sempre state, in passato, da est a ovest. Ne risultò che la colonia del Mozambico prese vita da fondamenta storiche e geografiche molto deboli.

In terzo luogo il consolidamento del dominio coloniale portoghese portò alla completa distruzione delle élite creole pre-coloniali. I prazos furono assoggettati con la forza delle armi durante la "pacificazione" e la capitale della colonia fu trasferita, nel 1903, da Ilha de Moçambique a Lourenço Marques, all’estremità opposta del paese. Lì si sviluppò come estensione del Transvaal. Tutt’a un tratto, perciò, il sud del paese divenne il cuore della colonia, e la nuova capitale fu creata in profonda simbiosi con il Sudafrica.

In quarto luogo il Mozambico non fu mai propriamente unificato come territorio coloniale. Incapaci di colonizzare il nord del paese, i portoghesi diedero la regione in concessione a diverse compagnie incaricate della "pacificazione" e dello "sviluppo", in cambio del monopolio dell’economia. Ne risultò che il Mozambico settentrionale divenne una riserva di forza lavoro, senza nemmeno godere dei magri benefici che il governo portoghese concedeva agli africani attraverso la fornitura di servizi amministrativi, educativi e sanitari. Le popolazioni del nord, molte delle quali emigrarono nei territori britannici in cerca di migliori condizioni di lavoro e di vita, erano quindi ulteriormente separate da quelle del sud, che a loro volta guardavano verso occidente, alla Rhodesia e al Sudafrica. I principali centri urbani del sud, Lourenço Marques e Beira, non solo servivano questi due paesi dell’interno, ma finirono ampiamente col rassomigliare alle loro città segregazioniste.

In quinto luogo il Mozambico presentava maggiori complessità dell’Angola dal punto di vista razziale. Oltre ai meticci e alla popolazione dei coloni bianchi, erano presenti nella colonia indiani e cinesi. La comunità indiana era costituita da goani-portoghesi, da tempo insediati in Mozambico, e da commercianti dell’India occidentale che si insediarono ovunque in Africa orientale nel XX sec. I cinesi giunsero come operai o commercianti. Per quanto riguarda la popolazione bianca di coloni portoghesi, essa era meno numerosa e più differenziata che in Angola. Benché la maggior parte degli immigrati portoghesi fosse, come in Angola, povera e non istruita, c’erano negli anni ’50 diversi uomini d’affari e professionisti la cui influenza sulla vita culturale e politica della colonia non può essere trascurata.

Infine, il Mozambico non fu mai ricco quanto l’Angola. Benché dotato di discrete risorse agricole e ittiche, è privo delle ingenti ricchezze minerarie dell’Angola, delle quali i diamanti e il petrolio erano e restano le due principali. Né, alla fine della dominazione coloniale, il Mozambico era economicamente più sviluppato dell’Angola. Per di più, laddove l’Angola era diventata un’economia autonoma in rapida crescita, il Mozambico rimase intimamente dipendente dalle entrate rappresentate dalle rimesse degli emigrati in Sudafrica e in Rhodesia e da quelle derivanti dall’uso che questi due paesi facevano delle ferrovie e dei porti mozambicani. È questo, quindi, il contesto in cui crebbero i movimenti anti-coloniali. A prima vista la complessità e le divisioni interne del Mozambico erano molto maggiori di quelle dell’Angola. Benché entrambe le colonie apparissero mal preparate per far fronte alle esigenze di un movimento anti-coloniale unificato, il Mozambico sembrava essere, da questo punto di vista, ben più impreparato, e ciò almeno per tre ordini di ragioni che, dalla generale esperienza dell’Africa coloniale, sappiamo aver avuto effetti decisivi sulla formazione del nazionalismo. Innanzitutto, la colonia era molto scarsamente integrata come unica entità territoriale. Poi mancava una forte economia interna che potesse portare gli africani a unirsi in raggruppamenti a base occupazionale: la popolazione attiva del Mozambico era dispersa in diverse colonie britanniche e in Sudafrica. Infine mancava un’élite unita e istruita in grado di guidare il movimento anti-coloniale. Le prime agitazioni anti-coloniali sembrarono confermare questo quadro.

In angola il MPLA fu fondato già nel 1956 su linee chiaramente nazionaliste, sovraetniche e ideologicamente coerenti. In Mozambico erano presenti diversi raggruppamenti anti-coloniali, le cui basi erano nelle colonie britanniche di Kenya (MANU: Mozambican African National Union), Malawi (UNAMI: União Africana de Moçambique Independente), e Rhodesia (UDENAMO: União Democràtica Nacional de Moçambique), in qualche modo simili, sotto questo aspetto, all’UPNA (União das Populacões do Norte de Angola) della regione del Congo, a base etnica, che divenne infine il FNLA (Frente Nacional para a Libertação de Angola). C’era inoltre un piccolo gruppo di studenti della scuola secondaria, politicizzati (anticolonialisti) a Lourenço Marques (UNEMO: União Nacional dos Estudantes de Moçambique). La domanda storica fondamentale, quindi, è perché il movimento anti-coloniale in Angola rimase diviso tra MPLA e FNLA - e infine UNITA, mentre in Mozambico la maggior parte di questi gruppi di forza anti-coloniali piuttosto eterogenei si unirono, nel 1962, in un’unica, ampia coalizione: il FRELIMO. Questa è una questione diabolicamente complicata, alla quale una risposta completa richiederebbe la possibilità di accedere a informazioni e documenti di cui non disponiamo e che probabilmente non avremo mai. Evidenzierò qui soltanto i punti esplicativi chiave. Questi possono essere divisi tra fattori interni ed esterni.

In termini di influenze esterne, le quattro principali sono le seguenti. Per prima cosa i paesi esteri chiave hanno avuto influenze opposte: lo Zaire dava sostegno al FNLA e si opponeva al MPLA, mentre la Tanzania fece fortissime pressioni sui movimenti anti-coloniali mozambicani perché formassero un’unica coalizione. In secondo luogo i due movimenti angolani erano spalleggiati dalle due opposte superpotenze, mentre nessun ostacolo internazionale di natura così fortemente dicotomizzata esisteva nel caso del Mozambico. In terzo luogo sia il MPLA che il FNLA avevano reti di sostegno tra singoli, e spesso ideologicamente contrapposti, paesi africani, mentre, ancora una volta, la situazione era tutt’altro che nettamente divisa nel caso dei gruppi mozambicani, che godevano solo del tacito assenso nei paesi che li ospitavano. Infine il FNLA riuscì a ottenere l’iniziale appoggio della neonata OUA, mentre la stessa OUA sosteneva la coalizione nazionalista rappresentata dal FRELIMO.

I fattori interni sono, a mio avviso, ancor più significativi. Anch’essi possono essere ridotti a quattro. Il primo riguarda l’intensità delle divisioni tra movimenti anti-coloniali in competizione. In Angola il FNLA e il MPLA rappresentavano insiemi di interessi totalmente distinti: in generale, il primo era espressione delle élite "africane" bakongo del nord, mentre il secondo della comunità creola di Luanda e dei suoi sostenitori regionali, i kimbundu. In Mozambico i vari raggruppamenti anti-coloniali furono uniti da un’élite meridionale relativamente giovane, con pochi, precedenti contatti o antagonismi con gli altri. La latente ostilità tra le genti makonde del nord (integrate all’interno del FRELIMO) e i loro vicini makua (che non lo erano), sebbene mai risolta, non portò mai alla formazione di movimenti anti-coloniali rivali. Né l’espulsione dal partito dell’importante leader makonde Lazaro Nkavandame portò alla creazione di un partito rivale makonde che potesse sfidare il FRELIMO.

Il secondo riguarda un senso piuttosto chiaro della differenza razziale, reale o immaginaria. Al FLNA piaceva considerare la leadership creola del MPLA come un gruppo di razza mista "non africano", avulso dalla "vera" Africa, anche se diversi leader del MPLA erano africani. In Mozambico la leadership del FRELIMO - benché comprendesse meticci, indiani e bianchi - non fu ugualmente omogeneo e storicamente distinto.

In terzo luogo, il ruolo giocato dall’ideologia nei movimenti di lotta al colonialismo è stato diverso. In Angola il MPLA fu sin dall’inizio marcatamente marxista (con radici comuniste), e il FNLA era altrettanto vigorosamente anti-marxista. Per tale ragione l’Occidente, in particolar modo gli USA) non ha mai esitato a fornire un sostegno totale al FNLA e a opporsi implacabilmente al MPLA. In Mozambico la situazione non era così ben definita. I vari gruppi anti-coloniali non avevano un’ideologia precisa, benché la maggior parte dell’élite del FRELIMO fosse "socialisteggiante", il movimento era stato fondato da Eduardo Mondlane, un mozambicano nero educato in America, che lavorava per le Nazioni Unite.

Infine, ma forse ancor più importante, c’erano forti differenze tra le leadership. Per prima cosa si può notare che in Angola i movimenti anti-coloniali furono organizzati dalle "vecchie" élite coloniali rappresentate rispettivamente dalla comunità creola e dalla comunità africana del nord. Al contrario, la leadership anti-coloniale in Mozambico emerse da una nuova generazione di africani del sud e di élite meticce. Inoltre sia il MPLA che il FNLA erano nelle mani di élite dotate di scarsa propensione al compromesso: dopo il fallimento del tentativo di fondere i due partiti nel 1962, c’erano scarse possibilità che sia Agostinho Neto che Holden Roberto avrebbero mai collaborato con l’avversario. La decisione di Savimbi di lasciare il FNLA e il suo rifiuto da parte del MPLA, portarono direttamente alla sua decisione di creare l’UNITA, esacerbando così ulteriormente la situazione. In Mozambico Mondalne ebbe l’intuizione e la capacità di unire e tenere insieme la maggior parte della leadership anticoloniale, indipendentemente da quanto potessero essere state o rimanessero acute le divisioni interne della nuova coalizione.

In Mozambico il FRELIMO perseguì una campagna nazionalista mirante all’inclusione, cercando di coinvolgere tutte le forze anti-coloniali e conducendo una campagna di guerriglia secondo quello che definisco il modello guineano – vale a dire la strategia perseguita con grande successo da Amilcar Cabral nella Guinea portoghese, i cui elementi chiave erano: unità a tutti i costi, mobilitazione politica nelle campagne e controllo politico dell’azione armata. In Angola, invece, i due gruppi nazionalisti rivali erano immersi nella politica dell’esilio e in continue lotte interne per il potere – una politica di esclusione piuttosto che di inclusione – ed erano poco chiari circa la strategia di guerriglia. Anche se a tempo debito il MPLA cercò di seguire il modello guineano nell’Angola orientale, il successo di questa strategia fu minato da lotte interne al partito che culminarono nelle due gravi divisioni note come "Rivolta Attiva" e la scissione di Chipenda.

Per concludere questo excursus storico, quindi, respingo perciò decisamente l’idea secondo cui le prospettive per l’unità e il successo del nazionalismo fossero migliori in Mozambico che in Angola. Il differente risultato della campagna anticoloniale nelle due colonie può essere spiegato con le capacità delle due diverse leadership nazionaliste nel riuscire a superare gli ostacoli politici potenzialmente più dannosi che si trovano di fronte. È l’azione umana, piuttosto che il fato, a spiegare il maggiore successo del FRELIMO in tal senso.

Le dinamiche del periodo post-coloniale

Le conseguenze di tali differenze furono profonde. In Mozambico il FRELIMO - per quanto fosse scarsamente radicato in molte regioni all’epoca dell’indipendenza - incorporava innegabilmente le aspirazioni nazionaliste del paese. Era l’unica voce legittima del Mozambico indipendente, come fu dimostrato dai modi decisi con cui condusse i negoziati con il regime portoghese post-1974. In Angola il MPLA – sebbene controllasse la capitale e la maggior parte del paese il giorno dell’indipendenza - non fu mai dotato della legittimità nazionalista che rivendicava. Sin dall’inizio il diritto storico dell’MPLA di governare il paese fu contestato, e lo fu in quanto era contestabile. Il problema in Angola non riguardava tanto la molteplicità delle forze nazionaliste, un problema che si riscontra in molti paesi all’indipendenza, ma, piuttosto, un problema di intrinseca mancanza di legittimità agli occhi di molti, sia all’interno che all’esterno del paese.

La forza del FRELIMO in qualità di partito al governo di un paese di nuova indipendenza aumentò grazie all’unione, alla coerenza, alla forza collettiva della leadership. Per contrasto, e in diretta continuazione con il passato, il MPLA fu dall’inizio lacerato da divisioni, sia personali che ideologiche, e divorato dalle rivalità politiche. L’entità delle differenze tra i due si mostrò nei primi anni dopo l’indipendenza. Benché entrambi i partiti si sarebbero spostati decisamente a sinistra e si sarebbero definiti ufficialmente marxisti-leninisti nel 1977, questa mossa politica ebbe implicazioni diverse.

In Mozambico si trattò principalmente di una decisione politica di ordine pratico, mirante in parte a placare i donatori dell’est e in parte a iniziare il cammino dello sviluppo "socialista". In Angola fu tutto ciò, ma, soprattutto, fu un modo per la cerchia al potere di evidenziare le proprie differenze ideologiche rispetto ai rivali. Il risultato di tale intolleranza fu il tentativo di colpo si stato condotto da Nito Alves che spaccò il MPLA, causò una repressione selvaggia, alimentò la paranoia politica e orientò decisamente il partito in una direzione stalinista.

In Mozambico l’ideologia era vista in modo pragmatico: se si rivelava fallimentare era abbandonata, come avvenne nel 1979 per l’approccio collettivista all’agricoltura. In Angola l’ideologia costituiva un’arma per il potere e serviva per identificare coloro che erano vicini al regime e coloro che per il regime costituivano una minaccia. Perciò, benché nel 1977 i due partiti fossero ideologicamente e politicamente molto simili, nel 1980 avevano poco in comune, fatta eccezione per la loro posizione di partito unico. Il governo mozambicano aveva, in quel momento, già intrapreso alcuni cambiamenti radicali nelle sue politiche, mentre quello angolano era interamente occupato da quella che definirei la "politica dell’egemonia". Nel comparare il MPLA e il FRELIMO darei poca importanza al fattore ideologico, ma evidenzierei invece l’entità delle loro differenze in termini di coerenza, unità e qualità delle rispettive leadership.

Dei quattro fattori che meglio spiegano le differenze nell’evoluzione post-coloniale di entrambi i paesi e, conseguentemente, il diverso risultato della guerra civile, il principale è indubbiamente quello che separa i due paesi in termini di legittimità e coesione. Nel corso di questo periodo il FRELIMO funzionò come un partito di governo unito e coeso, e per tale ragione superò la morte (nel 1986) di Samora Machel con relativa facilità. La leadership fu in grado di modificare le proprie politiche quando la situazione lo richiese. L’élite dirigente del MPLA viceversa, fu costretta a sostenere la propria visione contro l’opposizione sia interna che esterna, definendo la propria politica più nel rispetto della "linea corretta" che di ciò che era meglio per il paese. Nessun cambiamento in politica poteva essere introdotto senza attaccare coloro che si supponeva fossero contrari. In breve, nonostante la sua ideologia socialista, il FRELIMO fu essenzialmente pragmatico, mentre il MPLA rimase ostinatamente stalinista.

Al di là di queste differenze fondamentali, c’erano altri tre insiemi di fattori che segnarono il destino post-coloniale dei due paesi: la loro economia; la loro posizione nell’ambito delle relazioni regionali e internazionali; la natura dell’opposizione armata. Dal punto di vista economico, il governo angolano poté sfruttare la sua risorsa di maggior valore, il petrolio, durante la guerra civile, e fu quindi sempre in grado di sostenere i propri clienti (prevalentemente urbani) e finanziare i costi astronomici della guerra. Poté ignorare tutti gli altri settori dell’economia e continuare a sopravvivere. Persino quando perse il controllo dei giacimenti di diamanti a vantaggio dell’UNITA, fu ancora in grado di sostenere le considerevoli spese militari. D’altro canto l’UNITA trovò nei diamanti il mezzo per aumentare le spese militari per le sue campagne. Ne risultò che il governo prese in considerazione la possibilità di uno spostamento in senso più liberale, quando agire in tale direzione divenne conveniente dal punto di vista politico, in particolare in seguito al cambiamento della politica estera dell’Unione Sovietica.

Il Mozambico, al contrario, era privo di grandi risorse minerarie e, all’indipendenza, era stato lasciato con infrastrutture distrutte. Benché nei primi tre anni il governo riuscì, con considerevole aiuto dall’estero, a incrementare la produzione agricola, il collasso dell’economia iniziò dopo, sotto i ripetuti assalti di una RENAMO votata alla distruzione. La siccità, le politiche insensate e la guerra misero il regime praticamente in ginocchio, spingendo quindi alla firma degli Accordi di Nkomati con il Sudafrica nel 1984. Il regime mozambicano fu costretto a moderare le sue ambizioni socialiste, in linea con i gravissimi vincoli di natura economica all’interno dei quali operava, ancor più quando, alla metà degli anni ’80, divenne ovvio che il blocco orientale non avrebbe più sostenuto l'economia dei suoi lontani compagni di ideologia. Dal 1986 il Mozambico intraprese la lunga via di Damasco che avrebbe, alla fine, condotto al FMI e all’aggiustamento strutturale.

Il secondo fattore determinante riguardava il fatto che l’Angola aveva rappresentato dall’inizio una posta nel gioco della guerra fredda, mentre il Mozambico, benché all’apparenza ugualmente socialista, non fu visto mai nella stessa luce. Ne conseguì che, non appena l’UNITA fu accolta come il difensore dell’anticomunismo, fu appoggiata, armata e rifornita dall’Occidente, in qualità di forza contraria allo stato dell’MPLA, "spalleggiato dai sovietici e protetto dai cubani". Una volta che gli stati Uniti adottarono il "constructive engagement" nei confronti del Sudafrica, il conflitto angolano si concluse solo con il cambiamento introdotto da Gorbachev in politica estera, che portò alla soluzione della questione namibiana, alla partenza delle truppe cubane dall’Angola e all’apertura dei negoziati tra MPLA e UNITA. Ciononostante, e tale atteggiamento fornisce una chiara indicazione delle intenzioni americane, il governo del MPLA non fu riconosciuto fino alla ripresa della guerra civile da parte dell’UNITA nel 1992. L’UNITA continuò comunque a poter contare sull’appoggio dello Zaire e sulle forniture provenienti o che passavano dal Sudafrica.

La situazione del Mozambico era diversa. Per molteplici ragioni storiche, alcune indubbiamente soggettive, l’Occidente non considerò mai il FRELIMO come un avversario ideologico, un alleato del nemico della guerra fredda. Né il Sudafrica, persino nella fase più aggressiva sotto P. W. Botha pensò mai di rovesciare il governo del FRELIMO. Utilizzò la RENAMO per indebolire il paese in modo che venisse a patti e diventasse un docile vicino e, in seguito agli Accordi di Nkomati del 1984, smettesse di fornire supporto logistico all’ANC. Infine Machel fu capace di coltivare la Tatcher connection per guadagnare accesso agli Stati Uniti e cercare aiuto per il suo paese disperatamente povero. In sostanza, quindi, il Mozambico era corteggiato dall’Occidente piuttosto che bandito, e il passaggio verso la liberalizzazione economica e il pluralismo politico avvenne gradualmente sotto la leadership di un partito sempre più desideroso di concludere il conflitto con la RENAMO. I cambiamenti in Sudafrica annunciati dalla liberazione di Nelson Mandela imposero poi alla RENAMO di scendere a patti con il FERLIMO e di finire la guerra.

Infine il fattore che più ha influenzato l’evoluzione del conflitto civile in entrambi i paesi è rappresentato dal carattere differente delle due forze di opposizione, l’UNITA e la RENAMO. Sebbene l’UNITA fosse nata come una genuina organizzazione politica anticoloniale e la RENAMO come un’artificiale macchina armata per la distruzione, la loro evoluzione li avrebbe trasformati nell’esatto opposto. L’UNITA divenne alla fine una macchina militare mirante a prendere il potere con la forza delle armi, mentre la RENAMO si trasformò in un partito politico capace di competere con successo nel gioco elettorale. Perché? Ci sono essenzialmente tre ragioni, delle quali la prima, l’assoluta volontà di potere di Savimbi, è dominante. Le altre due, l’accesso dell’UNITA all’appoggio straniero e il suo controllo sulle risorse diamantifere, servono soltanto ad alimentare l’intenzione strumentale per cui fu creato il partito, vale a dire rendere Savimbi il capo indiscusso dell'Angola.

Al di là di tale fattore personale indubbiamente critico, ci sono pochi dubbi che l’ostinata determinazione di Savimbi nell’eliminare il MPLA derivi, almeno in parte, dal fatto che il MPLA non fu mai dotato di piena legittimità e indipendenza. Al contrario, per quanto la RENAMO cercasse di distruggere le infrastrutture mozambicane e di eliminare i quadri del FRELIMO, non ha mai creduto seriamente di poter sfidare la posizione storica del FRELIMO nel Mozambico contemporaneo. In realtà, dal punto di vista politico, la RENAMO si è sempre definita in rapporto al FRELIMO e come immagine speculare dello stesso. La sua accettazione futura in qualità di organizzazione politica legittima dipendeva interamente dal suo definitivo riconoscimento dello stato del FRELIMO. L’UNITA voleva eliminare il MPLA; la RENAMO chiedeva una posizione all’interno dell’ordine politico stabilito dal FRELIMO.

È per tale ragione che i due negoziati diedero risultati così radicalmente differenti. L’UNITA si placò solo perché Savimbi, fermamente convinto di vincere, credeva che le elezioni avrebbero costituito il modo più economico di prendere il potere. Una volta divenuto chiaro che l’UNITA aveva perso le elezioni, quest’ultima riprese la guerra. Al contrario, la RENAMO vedeva nelle elezioni il miglior strumento per legittimare il proprio ruolo di partito d’opposizione e quindi guadagnare accesso a quelle risorse che il successo politico avrebbe, con buone probabilità, reso disponibili. Savimbi voleva il potere assoluto. Dhlakama voleva una parte delle spoglie. Questa differenza influenzerà probabilmente anche il futuro dei due paesi.

Anche se queste differenze tra le leadership dell’opposizione potrebbero sembrare più che altro idiosincratiche, a mio avviso hanno molto a che fare con il peso della storia. La divisione dei nazionalisti angolani in fazioni politiche nemiche non era, come si è spesso sostenuto, l’inevitabile risultato delle "divisioni" etniche della colonia, ma piuttosto il risultato dell’incapacità delle sue élite di formare un’ampia coalizione anticoloniale. D’altro canto, l’unità dell’obiettivo nazionalista in Mozambico fu raggiunta anche se le probabilità erano più scarse che nel caso angolano, e fu considerata come di assoluta priorità durante la guerra. Conseguentemente, i due partiti che presero il controllo all’indipendenza (MPLA e FRELIMO), benché superficialmente simili per ideologia, erano in effetti dotati di attributi politici distinti, tra i quali la legittimità del nation-building era dominante.

Temo che il peso della storia continuerà a influire negativamente sul futuro dell’Angola negli anni a venire. Il Mozambico, sebbene debolmente integrato e povero dal punto di vista economico, può almeno tentare di iniziare a costruire un paese su basi più solide. È possibile che l’Angola debba vedere distrutte le sue fondamenta politiche prima che possa cominciare la ricostruzione.

Patrick Chabal è professore al King’s College, Università di Londra

L’autore è grato a Malyn Nezitt per i suoi commenti a una versione precedente di questo paper.

Traduzione dall’inglese di Rocco Lastella




http://www.africaemediterraneo.it/articoli/art_chabal_1_98.doc


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