centro risorse per la didattica
Risorse per area disciplinare:   
Homepage
La redazione
 
Ricerca
Iscriviti alla news
Le newsletter
 
Attualità
Percorsi
Novità
Recensioni
 
Disabilità
Lavagna Interattiva
 
La tua segnalazione
Il tuo giudizio
 
Cataloghi in rete
 
DIDAweb
 

risorse@didaweb.net
 
Fai conoscere ai tuoi amici
questa pagina

 

  Cerca nel web:
Se sei un utilizzatore della toolbar di Google, puoi aggiungere anche il nostro pulsante:
Centro Risorse
  IL TUO GIUDIZIO SULLA RISORSA

Transdisciplinare
Filosofia
Filosofi e filosofe: un incontro mancato. Riflessioni a proposito della filosofia della differenza. di Graziella Morselli

Lingua: Italiana
Destinatari: Alunni scuola media superiore, Formazione post diploma
Tipologia: Materiale di studio
Abstract:

Filosofi e filosofe: un incontro mancato. Riflessioni a proposito della filosofia della differenza

Questo testo riproduce una relazione tenuta al Convegno della Società Filosofica italiana tenutosi a Firenze, 11-13 novembre 1999

g.morselli@athenaforum.org

Tra i settori nei quali la filosofia italiana ha dato contributi originali, quello detto della "filosofia della differenza" ha poco più di dieci anni di vita, un tempo sufficiente per poterlo mettere in discussione. In apparenza questa corrente muove i suoi passi nella volontà dichiarata di restare fuori dalle strade maestre del sapere riconosciuto, volendo contestare questo sapere e contrapporgli la ricerca di categorie, metodi, linguaggi nuovi; ma questo separatismo trova il suo alimento nel silenzio di una comunità filosofica che rifiuta di venire chiamata in causa.

Le cose stanno ben diversamente per altre comunità come quelle francese, inglese, statunitense, dove la filosofia delle donne si è moltiplicata in numerose correnti e annovera protagoniste riconosciute a partire dai primi anni settanta, inserite spesso nei dipartimenti accademici, con una vasta produzione di testi. Essa ha suscitato spesso un largo dibattito pubblico cosicché, se da una parte ha conosciuto al suo interno aspre discussioni e divisioni, dall’altra parte ha potuto dar vita ad una grande varietà di tendenze e di accenti in grado di lasciare impronte e di allacciare connessioni in molti campi tra i quali, ad esempio, la teologia e l’epistemologia.

Per contro in Italia, e in particolare per quanto riguarda la Società Filosofica Italiana, se è vero che quest’ultima è uno di quei luoghi dove il dibattito filosofico trova occasioni di portata nazionale segnando talora tappe decisive nel suo sviluppo, occorre anche dire che è un luogo rimasto chiuso al confronto su questo tema. Per mio conto è la terza volta che lo propongo (si vedano gli Atti dei Congressi del 1978 e del 1980): oggi mi sembra divenuto ineludibile. Presenterò pertanto dapprima l’oggetto da porre in discussione, per poi assumermi il compito di dare avvio al contraddittorio.

Per iniziare basteranno pochi cenni a quanto è accaduto fuori del nostro Paese, ricordando come già nella prima metà del novecento si è aperta la strada al pensiero delle donne per opera di letterate di spicco come Virginia Woolf e Simone De Beauvoir, e per il contemporaneo diffondersi della psicanalisi, dell’antropologia culturale, della sociologia e psicologia sociale, che andavano fornendo (soprattutto anche attraverso il contributo di studiose di alto livello) spiegazioni teoriche del generale e radicale mutamento dei rapporti tra i sessi nella società.

Negli anni settanta, il movimento critico del poststrutturalismo in area francese e le teorie analitiche nell’area anglosassone, con le rispettive indagini sul linguaggio, mettevano sotto accusa la struttura del pensiero fondata sulle categorie di essenza e di soggettività, sull’oggettivazione delle cose e dell’Altro, sulla definizione normativa della verità. Da parte sua la filosofia femminile, già da qualche tempo attiva in quei Paesi, denunciava la forte impronta del potere maschile visibile in tali forme di monismo definitorio e di logica identitaria e sosteneva che in questo habitus teorico andava rintracciato il fondamento non solo delle conoscenze, ma anche delle istituzioni prodotte dalla cultura patriarcale e, come derivate da queste, di tutte le forme giuridiche, sociali, ideologiche, e religiose di oppressione degli uomini sulle donne, che permanevano tenacemente nel mondo contemporaneo. Jacques Derrida legittimava queste tesi coniando il termine, ormai entrato nell’uso, di fallologocentrismo.

In quegli anni, invece, nella filosofia italiana dominata ancora da essenzialismi diversi ma accomunati tutti dall’indistinzione di segno universalistico circa l’essere umano, il bisogno di dare visibilità e autonomia all’essere femminile si affacciava, senza tuttavia farvi ingresso perché rappresentato in termini di deciso separatismo. Si era concretato, infatti, come proclama e programma di lotta del movimento femminista, dettato dal rifiuto di tutte le ideologie in quanto egualmente fondate sulla soggezione delle donne.

Solo più tardi, dopo circa quindici anni di iniziativa politica, pratiche di gruppo, pubblicazioni di opuscoli, periodici e riviste specialistiche, si formavano nuclei attivi di ricerca su questioni propriamente filosofiche, quali quelle di senso, di logica, di valore, di linguaggio. Nello stesso tempo in cui andava rapidamente trasformandosi la società italiana (attraverso il nuovo diritto di famiglia, e leggi di parità, leggi sul divorzio e sull’interruzione di gravidanza, tecniche contraccettive, etc.) si sviluppava negli studi filosofici un’alternativa di segno femminile, in parte costretta a rimanere marginale e in parte volutamente separata, nella quale finiva col conquistare visibilità e credito il "pensiero della differenza".

Il quale, d’altronde, non era sorto nel vuoto, perché le facoltà di lettere e filosofia in cui si erano formate queste pensatrici erano ormai al corrente degli sviluppi delle scienze sociali in campo mondiale, e questi erano diffusi particolarmente, e con un taglio originale, dalla cattedra romana di antropologia culturale di cui era titolare Ida Magli. La nostra antropologa, tra l’altro, nel 1975 aveva fondato e diretto la prima rivista di studi antropologici, storici e sociali sulla donna "DWF - Donna Woman Femme" (Bulzoni ed., Roma). Ricordando un saggio come Potere della parola e silenzio delle donne (1), è inevitabile pensare che la sua autrice dovrebbe essere riconosciuta come maestra autorevole dalle filosofe della differenza, se veramente esse si proponessero di risalire lungo la "genealogia" che le ha prodotte (2).

Già nel 1967, negli anni in cui oltralpe risuonava il monito di Roland Barthes, secondo cui occorreva etnografare la Francia, Magli contestava agli antropologi maschi l’incapacità di applicare a se stessi l’atteggiamento etnografico con cui studiavano i popoli "selvaggi", poiché è una premessa della stessa scienza antropologica la comprensione della cultura cui il soggetto che fa scienza appartiene. E’ celebre la sua discussione del 1974 con Claude Lévy-Strauss (3) sulla teoria dello scambio delle donne, elaborata dall’antropologo francese come interpretazione strutturalistica di un dato naturale: su questo punto Ida Magli replicava portando alla luce il fondamento sessuale del modo di porre il rapporto tra natura e cultura da parte del sapere consolidato. Un sapere che aveva ridotto la donna a segno, escludendola dalla Parola potente riservata agli uomini. Per ragioni analoghe sono da ricordare le sue battaglie libertarie contro i pregiudizi misogini del pensiero religioso e in particolare dell’autorità ecclesiastica cattolica.

Per ritornare al gruppo di studi filosofici "della differenza", esporrò brevemente alcuni aspetti di questo pensiero. Fra le teorie di Luisa Muraro, quella dell’ordine simbolico della madre (4) vede la relazione tra madre e figlia/o (a partire dalla simbiosi prenatale e attraverso la nascita, la cura e l’instaurarsi della significazione nella comunicazione reciproca) come il luogo dell’immanenza dell’essere, ovvero una dimensione ontologica dove non si distinguono corpo-mente-parola. Di tale legame si sottolinea il carattere metafisico e insieme di positiva radice vitale, e si richiama il destino di rimozione che ha conosciuto per opera della legge del Padre.

Ne deriva quindi la necessità che ogni donna, per recuperare il proprio Sé, riconosca di essere entrata nell’ordine simbolico attraverso la madre, ovvero tramite colei che insegna a parlare e in genere introduce nella società degli adulti. Il riconoscimento di questa dipendenza corrisponde allo svelamento di ciò su cui il pensiero maschile si fonda, pur occultandolo, perché il suo potere è usurpato. La relazione con la madre è quindi il luogo originario comune che Muraro chiama lingua materna, e dal quale può discendere, per opera del continuum materno che le donne stabiliranno in relazione tra loro, il nuovo ordine simbolico della genealogia femminile.

Ma nell’attuale condizione che pone le donne, non solo ai margini della cultura ma spesso in condizioni irrimediabili di autoestraneazione (ovvero nell’impossibilità di identificarsi e di dirsi, se non attraverso identità assegnate e simboli che a loro non appartengono), tale ordine può cominciare a realizzarsi soltanto attraverso l’affidamento che consiste, secondo Adriana Cavarero, nel "valorizzare il sé nel di più riconosciuto all’altra" attraverso "una relazione tra donne che prevede la disparità e il debito" ovvero una relazione dove ognuna si pone con altre in una "rete mobile di dipendenze" (5).

Luisa Muraro e Adriana Cavarero hanno profilato, com’è evidente, un rovesciamento della realtà a partire da un’idea "forte", e un programma di opposizione radicale che ha come mira la restituzione alla Madre di ciò che il Padre le ha usurpato: un’autorità prima che un linguaggio (6).

Del resto l’espressione lingua materna si riferisce nel pensiero di Muraro all’autorità simbolica che presenta e garantisce la "positività originaria dell’essere" (7), e di conseguenza il significato delle parole che dicono questa verità. Il neonato fa progressivamente ingresso nella realtà del mondo contrattando con questo potere, venendo giorno per giorno a patti con la necessità delle cose che la madre rappresenta. Dapprima si tratta delle condizioni vitali mediate dal corpo materno che Julia Kristeva ha descritto come le funzioni biologiche, i processi elementari, i rapporti primari di dipendenza dell’ordine semiotico. (8) In seguito, il secondo passo verso l’acquisto dell’indipendenza simbolica comporta per Kristeva il distacco dalla madre, mentre Muraro ne ha una diversa concezione: "…io affermo che l’ordine simbolico comincia a stabilirsi necessariamente (o non si stabilirà mai) nella relazione con la madre, e che il "taglio" che ci separa da questa non corrisponde ad una necessità d’ordine simbolico." (9)

Le teorie che ho esposto si misurano, con tutta evidenza, sul terreno della metafisica, terreno che Muraro intende quale "regno della verità come senso dell’essere" (10), mentre Cavarero, secondo una declinazione esistenzialista, lo denomina "orizzonte ontologico" in cui si inscrive la "realtà totalmente esibitiva e relazionale" di un sé "incarnato e sessuato", affidato "a un desiderio di senso rivolto agli altri e nel contesto" (11). In ogni caso la filosofia della differenza non si può ridurre ad epifenomeno teorico di un arcipelago femminista ancora molto vivace in Italia; piuttosto va vista come un laboratorio dove si affronta un tema inusuale producendo delle tesi originali.

Poiché il mio proposito, come ho detto inizialmente, non è limitato alla presentazione di queste teorie, mi tocca adesso proporne la discussione auspicando che possa diventare un dibattito costruttivo per le sorti del pensiero, non soltanto delle e sulle donne. Le mie obiezioni hanno come presupposto gli studi che io stessa ho pubblicato sull’argomento, a partire dal ’75 (12).

Una volta posta come tesi decisiva in sede ontologica quella del corpo che generando dà inizio ad una vita in relazione, il lavoro che è ancora tutto da fare (pur tenendo conto del potente avvio che gli hanno fornito gli studi psicanalitici e linguistici di Luce Irigaray, Nancy Chodorow, e Julia Kristeva, e dei recentissimi apporti in campo filosofico di Sheila Benhabib e di Christine Battersby) è quello di indagare sulle rappresentazioni del corpo e della relazione. Premetto che a mio avviso l’indagine va condotta, applicando le categorie kantiane del reale e del possibile, in un contesto altamente dinamico qual è oggi quello che investe la biologia, la psicologia e le forme della comunicazione sociale.

Ai fini di questa indagine propongo come tema di dibattito le seguenti domande:

1) Vi è una ragione di principio per escludere che le rappresentazioni provenienti dal vissuto femminile siano ricevibili dall’intuizione e dalle logiche che si ritengono "maschili"?

2) Può la filosofia considerare la corporeità come una serie di eventi distinti, e limitarsi di conseguenza a fare della metateoria sui diversi domini scientifici, simbolici e pratici ai quali questa corporeità frammentata è sottoposta? Ovvero, il compito che le spetta non è piuttosto quello di riprendere l’analisi delle connessioni e delle dipendenze tra funzioni organiche, processi neurologici, psichismi, sintesi precategoriali e significazioni, e riprenderla in vista di un’ermeneutica che possa dar conto della vita intesa come "sistema" dei suoi eventi e delle sue relazioni, inclusi eventi e relazioni che alla vita danno origine e nutrimento?

Ammessi i presupposti di queste domande, mi sembra che debbano essere sollevati altri due interrogativi:

3) Perché nelle teorie filosofiche del materno persistono, per lo più, forme di autolimitazione da parte del pensiero femminile, quali la tendenza ad accettarne la secolare riduzione pregiudiziale alla sfera dell’extrarazionale, nel tentativo di farne un punto di forza per la denegazione del fallologocrentrismo, oppure l’altra a confinarsi nei campi dell’etica o della politica? Non si dovrebbe, al contrario, dare spazio al lavoro della ragione e al senso della razionalità, osando di fare del materno la premessa per la costruzione di una "ontologia più ampia" (come ha proposto S.Benhabib), includente l’essere sessuato e ciò che precede e che segue l’essere venuto al mondo?

4) L’ingresso del corpo generante nell’ontologia non dovrebbe portare con sé anche un recupero in termini rinnovati della rappresentazione del soggetto, e una diversa visione dialettica, piuttosto che armonico-fusionale, dei suoi processi di esistenza nello spazio e nel tempo?

Termino qui, augurandomi di aver saputo offrire sufficiente materia per la discussione.



http://www.filosofiamo.com/pubblicazione_zoom.aspx?pubblicazione.id=749&contenuto.id=749&id=749¬e.lista=3424&allegati.lista=3424&links.lista=3424&autore.id=17&categoria.id=354&filtro.oggetto=didattica


Il tuo giudizio

Giudizio:
Nome proponente:
Email proponente:
Codice validazione: <-- riportare il codice



  Iscriviti alla news
Ricevi in posta elettronica le novità e una selezione di risorse utili per la didattica.

Iscriviti qui


Novità
Le ultime risorse per la didattica catalogate ed inserite nel nostro database.

 

 

PRESENTARSI
Proposta d'apprendimento di italiano per stranieri - livello A1

 



ENGLISH LESSONS AND TESTS.

Percorsi
Proposte di selezioni e percorsi fra le risorse e i materiali in archivio.

Percorsi
Feste e calendari multiculturali.
Calendari solari e lunari, festività religiose e tradizionali delle diverse culture.

Percorsi
Steineriane
Le ''scuole nuove'' della pedagogia steineriana, contrassegnate dal paradosso di un’accettazione pratica e di un’ignoranza teorica da parte degli stessi utenti e degli operatori della scuola pubblica, tra ''fedeltà karmica'', incarnazioni di individualità che ritornano sulla terra, bambini indaco e apparente buon senso pedagogico.

  Ambiente virtuale collaborativo in evoluzione ideato e sviluppato da Maurizio Guercio è una iniziativa DIDAweb