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Biologia
Pluridisciplinare
Donne e scienza medica nella storia: prospettive di pari opportunità

Lingua: Italiana
Destinatari: Alunni scuola media superiore, Formazione permanente
Tipologia: Materiale di studio
Abstract:

Lorenza Sassi*

Donne medico:
prospettive di pari opportunità

* Commissione permanente per lo studio dei problemi della donna medico e odontoiatra

Donne e medicina nella storia
Dalle civiltà amerindie, a quelle africane, alle asiatiche, a quel crogiuolo di popolazioni eurasiatiche che fu la Mesopotamia, le testimonianze ci confermano il ruolo della donna come soggetto attivo ed esclusivo, portatore di sollievo, equilibrio, salute e benessere per i suoi congiunti e per le comunità di cui faceva parte integrante. La storia della medicina ci riporta esempi in epoca azteca di donne alle quali era consentito l'esercizio della professione di guaritrice, l'unico limite era che dovevano praticarla in età matura, dopo la menopausa.
Questi modi di vita, questo buon senso, queste tradizioni semplici e ricche allo stesso tempo di nozioni tramandate per generazioni e di relazioni delicate e profonde con la natura, incontrarono periodi difficili.
Uno dei peggiori, le cui conseguenze arrivarono a condizionare la vita per molti secoli a venire, è stato certamente quello dell'Inquisizione . Gli storici discutono ancora oggi su quante furono le vittime di quel periodo; le cifre variano, ma tutti concordano, comunque, sul fatto che la stragrande maggioranza delle vittime furono donne.
Furono spazzate via tradizioni e culture millenarie di cura e benessere e con particolare accanimento furono cancellate tutte le tracce sul benessere psicofisico e l'armonia con la natura e l'universo, che ci è stato tramandato in testi illustri, come nei Vangeli agli Esseni. Questa strategia di distruzione assicurò ai soli uomini le conoscenze mediche, dal momento che in quel periodo si decretò, in modo più o meno ufficiale, che soltanto i dottori educati in Medicina potessero praticare le arti guaritorie, e che le scuole di medicina venissero vietate alle donne.
Fa eccezione la scuola di Salerno, illustre Accademia medica fondata intorno all'anno 1000, dove si ritrova traccia di una «medichessa», Trotula, « sapiens matrona», forse abilissima levatrice, proveniente dalla famiglia salernitana de Ruggiero, di origine longobarda.
A Catania nel 1370 fu regolarmente abilitata ad esercitare la professione in tutto il regno di Sicilia un'altra rara eccezione, la dottoressa Vidimura, moglie di un medico famoso dell'epoca; pare che la medicina fosse a quei tempi prerogativa di privilegiate mogli e figlie di medici.
Da allora, dicevamo, le donne diventarono soggetti succubi e passivi di ogni attività medica, come testimoniano i numerosi trattati sulle malattie e problematiche femminili.
Emblema di questa chiusura è in Europa il grande chirurgo di Berlino Von Bergmann che nel 1882, pur non dichiarandosi affatto
misogino, non accettava studentesse ai suoi corsi, affermando che le disposizioni dello statuto universitario contemplavano soltanto « la istruzione della gioventù maschile» .
Soltanto poco più di un secolo fa, timidamente, le donne ricomparvero nelle accademie di medicina. All'Università di Firenze, per esempio, pare che la prima donna si sia laureata nel 1877, ma fu un caso isolato avendo iniziato i suoi studi universitari a Zurigo.
Dapprima boicottate, derise, ridotte a lunghi anni di silenzioso asservimento ai loro colleghi maschi, poi, con fatica e pazienza, le donne si sono ricavate un proprio ruolo. Gli ostacoli da superare erano principalmente di carattere culturale, spesso intrinseci alla famiglia, sia quella di provenienza che quella nuova. Mentre la prima cercava di ostacolare in tutti i modi la volontà della figlia di ricoprire i ruoli di una professione considerata esclusivamente maschile, la famiglia neoformata portava con se il pesante fardello dell'organizzazione familiare con tutte le conseguenze che ne derivavano sull'attività professionale e la carriera.
Donne medico fra 1800 e 1900
Le donne furono accettate senza discriminazione nelle Università e nella professione medica soltanto fra la fine del 1800 e l'inizio del 1900.
Nel nuovo Mondo la figura della donna medico trova il «suo spazio» verso la prima metà dell'800, tant'è che in tutto il paese proliferano scuole mediche private.
Di lì a poco nasce un movimento per la riforma della salute con lo scopo di favorire la «buona forma» attraverso campagne di informazione pubblica.
Nel periodo delle «lady doctor» non mancano certo nomi famosi, a cominciare da Elisabeth Balckwell, accettata dal Geneva
Medical College dello Stato di New York, laureatasi nel 1849, come prima donna medico, dopo solo due anni di studio. Nel 1854, anche la sorella Emily diventa medico, si reca in Europa e frequenta diversi ospedali per acquisire maggiori esperienze. Lo stesso anno Ann Preston diventa docente di fisiologia ed igiene, laureandosi al Woman's Medical College di Philadelphia, prima Facoltà di Medicina per sole donne fondata nell'ottobre 1850 da un gruppo di illuminati medici della città. Di origine tedesca è invece Marie E. Zakrzewka ( in seguito, meglio conosciuta come dottoressa Zak). Frequenta lo stesso college che ha laureato Emily Balckwell e, nonostante alcune ostilità, si laurea con il massimo dei voti nel 1856.
Ma la figura più prestigiosa fra i «medici al femminile» è quella di Mary Putnam Jacobi. Nel 1863 si diploma in Farmacia a New York e poco dopo ottiene la laurea in Medicina al Woman's Medical College della Pennsylvania; porta avanti la convinzione che per diventare buoni medici sia fondamentale avere una buona preparazione scientifica, ma anche una grande compassione per chi soffre. Diventerà portavoce del movimento medico femminile a capo della Working Women's Society e dell'associazione per l'Advancement of the Medical Education for Women.
Il desiderio di queste pioniere della medicina è quello di dedicarsi soprattutto ai problemi sanitari delle donne e dei bambini. Nel 1900 le dottoresse americane sono centinaia e rappresentano il 5% di tutti i medici.
Dorothy Reed, patologa, descrive per prima le cellule tipiche della malattia di Hodgkin, Eliza Morher, docente di igiene, diventa esperta in sanità pubblica, mentre Ruth Tunnicliffe sarà brillante batteriologa e Florence Sabin si distinguerà nelle ricerche sull'anatomia del sistema nervoso.
Gli storici individuano in Lucrezia Cornaro Piscopia la prima donna laureata in medicina nel mondo: all'Università di Padova nel 1678 avrebbe conseguito l'ambito traguardo. Nei primi anni del secolo successivo, a Bologna, Dorotea Bocchi e Anna Morandi Manzolini si dedicano allo studio dell'anatomia; la prima succede al padre, la seconda al marito. Un'altra celebre docente, capace di attrarre alle sue lezioni non solo numerosi allievi, ma cardinali, nobili e alte personalità, è Laura Bassi, moglie del Dott. Verrattie.
In Italia, fra le figure che si sono imposte nel mondo della scienza e della libera professione medica negli ultimi due secoli, ci piace ricordare Maria Dalle Donne, la prima docente di ostetricia nella Regia università di Bologna, laureatasi in filosofia e medicina nel 1799, per poi dirigere, nel 1804, la scuola delle levatrici.
Maria Montessori, nata a Ancona nel 1870, è la prima donna italiana a conseguire la laurea in Medicina e Pedagogia (ma anche in scienze naturali e filosofia). Si impose col suo metodo educativo, apprezzato in tutto il mondo, dedicandosi in particolare all'infanzia minorata psichicamente. Autrice del «Metodo di classificazione dei deficienti, punto di partenza per il loro trattamento pedagogico», nel 1904 viene nominata assistente all'Università di Roma, e due anni dopo ha modo di sperimentare il suo metodo di «autoeducazione», che consiste nella massima libertà lasciata ai bambini, soprattutto nella fase preelementare.
Più recentemente, per quanto riguarda la ricerca scientifica, significativo è l'esempio della torinese Rita Levi Montalcini, premio Nobel per la Medicina nel 1986 e scopritrice dell'N.G.F., il fattore di crescita delle cellule nervose.
Altri nomi non meno importanti meriterebbero giusta menzione; tuttavia la professione medica femminile nel nostro paese trova maggior consistenza dai primi trent'anni di questo secolo. Culturalmente erano anni difficili se, come riporta la Gazzetta Medica Lombarda del 1932, un certo Dott. Berti contestava apertamente alla donna la «capacità» ad esercitare la medicina, incoraggiato successivamente dal Prof. Pende che nel 1939 asseriva sulla rivista «Educazione Fisio-psichica» che i fattori di pervertimento della natura femminile sarebbero tre: primo, la volontà di emancipazione economica, secondo, il desiderio di emancipazione coniugale e familiare, terzo, l'emancipazione spirituale, facendo gli stessi studi degli uomini.
Ma piano piano, l'evoluzione culturale e una progressiva elasticità nel concepire i ruoli, ha favorito la acquisizione di più spazio e prestigio alle donne nelle professioni.
Aumento numerico
Quantitativamente dall'inizio di questo secolo c'è stata una crescita vertiginosa dei camici bianchi al femminile.
La Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici elaborò nel 1978 un particolareggiato censimento della popolazione medica in Italia. Emerse che le donne medico erano circa 17.000 su un totale di 143.000 operatori medici, quindi 1'11,8%; erano distribuite prevalentemente nelle regioni dell'Italia settentrionale (8.300 circa), 4.500 in Italia centrale, 2.500 in Italia meridionale, 1.700 nelle isole.
Il succitato censimento propose un'altra analisi interessante: mise in raffronto il grado culturale della popolazione studentesca dal 1946 al 1977.
Mentre nel '46-'47 1'80% degli studenti conseguiva il diploma elementare, 1'8% quello di scuola media inferiore, il 6% di scuola media superiore e solo il 4% la laurea, nel '77-'78 i dati mutano notevolmente e, grazie anche alle migliorate condizioni economiche e sociali, aumentano gli studenti laureati 9%, i diplomati alla scuola media superiore 20%, e quelli della scuola media inferiore 27%.
Se gli indici di scolarità sono aumentati con gli anni, grande giovamento ne hanno tratto certamente le donne, che hanno trovato più canali e più possibilità nei quali esprimersi. A tutt'oggi il trend di crescita è molto lievitato. Nell'anno accademico '95-'96 si ha un sorpasso da parte delle donne per ciò che concerne le iscrizioni al corso di laurea in Medicina.
Le donne medico, da un sondaggio operato lo scorso anno dalla Commissione Permanente per i problemi della donna medico e odontoiatra, istituita presso la Federazione Nazionale degli Ordini nel settembre 1994, sono circa 100.000 su un totale di 330.000 medici ( circa 30% ) e la loro distribuzione sul territorio ricalca i dati ricavati dal primo censimento dei medici italiani, elaborato nel giugno 1978 dalla Federazione stessa.
La crescita numerica a cui stiamo assistendo, se da un lato rende più forte la componente femminile della categoria, dall'altro amplia e aggrava il fenomeno della « pletora medica» che impoverisce e mortifica l'intera professione. Si consideri che alla data del 1° censimento era stimato un rapporto medico-abitanti di 1 su 394, e già allora si configurava un surplus di circa 49.000 medici!
Come muta l'immagine della donna-medico
Alle soglie del 2000 se dovessimo tratteggiare la figura della donna medico, potremmo così definirla: impegnata, competitiva, preparata, permeabile ai modelli di successo e carriera, attiva nel conciliare le sue molteplici sfaccettature e ruoli sociali (moglie, madre, nonna), entusiasta del suo lavoro.
Ma anche frustrata per la carriera spesso ostacolata, divisa fra ruoli coinvolgenti ma molto faticosi, disturbata dai limiti che le impone la egemonia maschile del potere.
Emerge questo ritratto dal sondaggio-indagine stilato dalla Commissione Permanente per i problemi della donna medico, diffuso attraverso il giornale « 11 Medico d'Italia» e al quale hanno aderito donne medico appartenenti a 96 Ordini italiani su 103.
Le donne hanno occupato molte branche della medicina che per tanti anni erano loro state interdette, vedi le chirurgie ecc., si rivolgono a specialità articolate (cardiologia, ginecologia, psichiatria ecc.), quindi c'è un'apertura del ventaglio di prospettive lavorative. Ma d'altro canto la maggior parte, per scelta o per necessità, si dedica alla medicina di base, alla pediatria o esercita l'attività ospedaliera con poche velleità di carriera.
Da un documento riportato da «Federazione Medica» leggiamo che le colleghe donne medico riunite a Convegno nel maggio 1921, occasione in cui fu fondata 1'AIDM (Associazione Italiana Donne Medico) che raccoglieva le circa 200 donne laureate a quell'epoca in Italia, stabilirono che il campo operativo delle donne dovesse essere quello della cura e prevenzione del bambino e della donna.
Riportiamo testualmente: «...le donne medico, mantenendo la loro femminile anima poetica, istituiscono il loro diritto; alle dottoresse la donna e il bambino, nella prevenzione, nella tutela e nella cura.. ».
L'AIDM, il cui motto ancora oggi è «matris animo curant», prima forma di associazionismo femminile in campo medico, si proponeva, riecheggiando le esperienze associative d'oltre oceano, di valorizzare il lavoro della donna, promuoverne l'inserimento, migliorare i servizi sanitari. A tuttoggi l'associazione, dopo 75 anni di crescente attività, si batte per l'immagine e i diritti della donna medico Mentre nei primi del '900 la donna sceglieva come specialità principalmente pediatria e igiene e si adoperava nel «...promuovere consultazioni e ambulatori ostetrici con insegnamenti di precetti di igiene speciale, asili materni per gestanti illegittimi e povere, migliorare le sezioni ostetriche d'ospedale, promuovere una protezione morale, igienico-sanitaria della maternità e della prima infanzia..ecc.», oggi si esprime nella ricerca, nella sale operatorie, in corsia, nel conforto domiciliare, nella solidarietà.
Quello che ancora manca, che si registra fra le colleghe e si vive soprattutto in ambiente ospedaliero e universitario in modo fortemente tangibile, è la mancanza di uguali opportunità di carriera.
Pari-opportunità
«Più eguaglianza nella diversità», così titolava il resoconto dell'inchiesta effettuata sulla situazione lavorativa delle donne medico.
La condizione femminile è un compendio di ruoli difficili da conciliare, spesso con compromessi e rinunce che costano sacrifici. Tante sono le donne disposte a fare grandi sacrifici per portare avanti bene e con amore la famiglia e il lavoro, ma spesso devono scontrarsi con ostacoli e impedimenti di carriera proprio per la specificità dell'essere donna. La ricerca sopra citata riportava casi di colleghe molestate sul lavoro, bloccate nella carriera per i periodi di assenza dovuti alla gravidanza, impedite a raggiungere posti di responsabilità.
Se da un lato molte volte sono le donne a rinunciare a priori a ruoli dirigenziali, dall'altro canto perché non permettere alle soglie del 2000 le pari-opportunità ?
Da un'altra indagine effettuata dalla Commissione permanente per i problemi della donna medico e odontoiatra della FNOMCeO, datata 1995, risulta che in nessun Ordine provinciale dei medici è presidente una donna medico e addirittura in 25 Ordini sugli oltre 100, le donne non sono rappresentate a livello dei consigli direttivi.
Indubbi sono i problemi specifici di organizzazione familiare che le donne devono affrontare nella gestione del tempo che resta loro ritagliato al lavoro. Importante è anche l'aspetto culturale che come retaggio segue ogni esperienza individuale e che porta le donne a delegare impegni di ordine politico o sindacale alla componente maschile. Ma è certamente da sottolineare che una delle motivazioni della scarsa presenza delle donne medico in sede ordinistica può essere imputata alla ridotta elasticità dei colleghi che per tradizione consolidata svolgono un ruolo di rappresentanza in questo campo.
Sicuramente un segnale innovativo nell'aprire uno spazio a livello istituzionale è stato da parte della FNOMCeO quello di dare il via alla Commissione permanente per i problemi della donna medico, operante all'interno della Federazione stessa.
Mai prima dell'anno 1994, quando è stata istituita, a livello ordinistico centrale c'era stata una così puntuale e numerosa presenza femminile.
La Commissione, che ha subito iniziato ad operare attivamente, ha a mano a mano fatto proseliti nei vari Ordini provinciali, tanto da addivenire alla istituzione di Commissioni provinciali, coordinate dal centro e a tutt’oggi il progetto di realizzare una rete sul territorio italiano di commissioni di donne medico che interagiscono fra loro, pare possibile e galvanizzante.
Come la Commissione dovrebbe essere il punto di riferimento ordinistico per la realizzazione delle pari opportunità, a livello dei luoghi di lavoro sono previsti dalla legge n. 125/91 e dal contratto nazionale di lavoro, i comitati per le pari opportunità.
Questi comitati che nel settore sanitario dovrebbero essere istituiti nelle attuali ASS, hanno lo scopo di valorizzare il soggetto femminile nel contesto aziendale e di favorire il protagonismo nelle azioni positive.
Azioni positive
La legge 125/91 recante norme sulle azioni positive per la realizzazione delle pari-opportunità uomo- donna nel lavoro, mira a «...favorire l'occupazione femminile e realizzare l’uguaglianza sostanziale fra uomini e donne nel lavoro anche mediante l'adozione di misure denominate azioni positive per le donne, al fine di rimuovere gli ostacoli che di fatto impediscono di ottenere le pari opportunità» .
Le azioni positive hanno in particolare lo scopo di eliminare le disparità nella formazione scolastica e professionale, nell'accesso al lavoro, nella carriera, nei periodi di mobilità. Favorire la diversificazione delle scelte professionali delle donne, superare pregiudizi nella formazione, promuovere l'inserimento delle donne nei settori tecnologicamente avanzati e di responsabilità e nei luoghi decisionali, ecc.
Questa legge, supportata anche da normative regionali, è di un'importanza fondamentale, ma purtroppo molte volte la sua applicazione resta inattuata.
Da una ricerca effettuata nel 1994 dalla Commissione donne in varie regioni per saggiare la situazione, è emerso che in pochissime USL erano stati istituiti questi comitati per le pari-opportunità e che comunque la loro attività era minima.
Su 700 USl distribuite su tutto il territorio nazionale, solo 35 avevano dato vita ai comitati.
Da una ricerca condotta nel 1991 nella regione Piemonte dal titolo «Donna e Potere; quali supporti culturali, socio-economici e politici per cambiare l'attuale rapporto» in ambito ospedaliero, su un totale di 682 primari, solo 56 erano donne cioè 1'8,2%, il 18,4% aiuto, 34,5% assistente, mentre il 92,8% era caposala.
La risorsa femminile
Fino ad oggi la peculiarità femminile è stata vissuta prevalentemente come carenza e come vincolo.
Essere donna è sempre stato un motivo per dover avere qualcosa in meno, per dover affrontare un ostacolo in più, per dover vincere un ulteriore pregiudizio, per doversi fermare un gradino più in basso.
Le attività sanitarie appartengono alle attività di servizio in cui la «risorsa critica» è quella umana.
Considerare «la persona» come fattore critico di successo è la conseguenza di una visione olistica della qualità, che include tutti gli aspetti che riguardano l'obiettivo di eccellenza e la soddisfazione del paziente.
Per ottenere questo è necessario recuperare un rapporto stabile e consolidato di fiducia e collaborazione col cittadino. Questo recupero di immagine e di stato influisce pesantemente sulla gestione del sistema sanitario, sulla possibilità di reclutare personale motivato e di mantenerlo tale, sui metodi per creare e sostenere una cultura positiva e vincente.
L'immagine, la considerazione, il prestigio, la stima che la professione medica e le persone che la interpretano godono nel contesto in cui operano e nell'ambito più vasto della società diventano fondamentali se vogliamo riappropiarci di quel rapporto stabile di fiducia, di cui prima.
Non è un compito facile.
Essere «orientati al servizio» non è un lusso, ma oggi è una necessità per la elevata competitività presente in un sistema, che non ha più le compatibilità economiche di offrire tutto a tutti, e che dovrà confrontarsi con le logiche di mercato, che sono sia efficacia ed efficienza, ma anche qualità intesa come «la soddisfazione delle esigenze del consumatore», cioè di colui che sceglie.

Si desidera ringraziare per la gentile collaborazione: La dott.ssa Piera Faggella, coordinatrice della Commissione Donne Medico e il Sig. Ernesto Bodini, giornalista medico-scientifico, studioso di problematiche socio-sanitarie

1) L. STERPELLONE: «Dagli Dei al DNA» Delfino Ed.
1989
2) V. BUSACCHI: «Storia della Medicina» Patron 1973
3) R. MARGOTTA: «Medicina nei secoli» Mondadori 1 967
4) G. BONADONNA: «Donne in Medicina» Rizzoli 1991
5) C. ROSMINI: «Enciclopedia delle vite illustri» De Vecchi 1965
6) P. SPIGLIATI, G. Dl IORIO: «Adriamedica» 5/1993
7) D.MAGI, E. PARODI, R. BOLOGNESI: «Censimento dei medici italiani» 1979
8) E. BODINI: «Le leggi razziali hanno scelto per me» Notiziario Medico /1991




http://217.220.61.108/Cinquantenario/libsassi.htm


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