Libere
donne in liberi mondi
di
Giannina Longobardi
"
Devi concentrarti sugli stranieri che incontri e cercare di comprenderli.
Più riesci a capire uno straniero, maggiore è la tua conoscenza
di te stessa, e più conoscerai te stessa, più sarai forte."
Così Fatima Mernissi, in L' Harem e l'Occidente, ricorda l'insegnamento
della nonna Jasmina, che benché avesse vissuto reclusa in un
harem aveva raggiunto grande saggezza; e la nipote che, più fortunata
di lei avrebbe viaggiato in lungo e in largo per il mondo, ricorda anche
che:" A FEZ, la città medievale della mia infanzia, giravano
voci affascinanti su abili maestri sufi che esperivano lampi di illuminazione
(lawami) ed estendevano
rapidamente la loro conoscenza, tanto erano tesi ad apprendere dagli
stranieri che incrociavano nella via".
Che sia
possibile anche a noi, abitanti di città divenute in pochi anni
popolate da donne che vengono da altre parti del mondo, conoscerle,
comprenderle e ricavare da questa concentrazione una illuminazione su
qualche cosa che ci riguarda?
Alcune donne, in varie città d'Italia, prime nel tempo alcune
di Torino, che hanno creato il Centro Alma Mater, stanno inventando
luoghi e occasioni di incontro con donne straniere, nei quali dar vita
a relazioni non strumentali, non finalizzate alla risoluzione dei problemi,
economici, giuridici.. - che per le donne immigrate sono comunque pressanti
-, ma relazioni che contino per sé stesse, dove l'essenziale
non sta in un progetto da realizzare, ma nello scambio di parola e nella
possibilità di dire di sé e della propria esperienza.
La globalizzazione che investe e trasforma le nostre città può
diventare l' occasione di tessere relazioni all'interno delle quali
muta la nostra rappresentazione del mondo attraverso il confronto con
l'esperienza dell'altra. Che cos'è stata la fine del comunismo
nei paesi dell'est? Quali ripercussioni ha avuto sulla vita delle donne?
Lo possiamo vedere attraverso gli occhi delle donne spesso non giovanissime,
spesso laureate, che si offrono per l'assistenza ad anziani e a malati
nelle nostre case. Sono qui per aiutare una figlia rimasta a casa con
i suoi bambini, per pagare ad un'altra le tasse universitarie divenute
costosissime. La loro è un'immigrazione temporanea, dove il bisogno
di stabilizzare il rapporto di lavoro e di dargli continuità
risponde a una necessità più nostra che loro.
Ci sono in altre invece progetti di permanenza lunga, soprattutto quando
l'emigrazione coinvolge tutto il nucleo familiare e i figli crescono
qui e frequentano le scuole. Penso alle donne provenienti dal Magreb
e a quelle dell'Africa sub-sahariana, molte delle quali sono giunte
in Italia per ricongiungimento familiare. Quali strategie femminili,
quali desideri di libertà guidano donne che decidono di sposare
un migrante e di far crescere i figli e le figlie in un'altra cultura?
Che cosa lasciano dietro di sé senza rimpianto e che cosa invece
non sono disposte a perdere?
Quello che in loro resiste all'assimilazione e all'accettazione del
nostro modello di vita ci affascina e ci respinge nello stesso tempo.
Lo scorso
10 gennaio, la sera stessa in cui a Verona alcuni esponenti di Forza
Nuova assalivano, durante una diretta televisiva, il provocatorio rappresentante
di un partito islamico, in un altro luogo della città, al Circolo
della Rosa, alcune donne, italiane e magrebine, erano riunite in un
incontro pubblico, per cercare di capirsi. In questo momento di tensione
e di pericolo poteva essere un conforto per tutte noi mettere in parola
la differenza, confrontarsi sul sentire e in questo scambio rinsaldare
il legame d'amicizia. Cosa che certo avvenne, ma non senza ostacoli.
Non è
possibile entrare in risonanza con la parola dell'altra se si tende
a misurare il suo percorso sul proprio, facendo di sé stesse
la misura. Quando si ascolta il racconto di vita di una donna che viene
da un paese che non ha assimilato il modello occidentale accade che
molte donne, e certamente molti uomini, riducano il conflitto tra i
sessi ad un problema di emancipazione:
il livello giuridico, quello dei diritti e della parità, diventa
il criterio di misura della libertà delle donne. Chi non sa cogliere
esempi di libertà nella vita delle donne delle generazioni che
ci hanno precedute, volgendosi ad altri scenari del presente vede solo
oppressione. La parola dell'altra automaticamente richiama alla mente
un passato patriarcale cui abbiamo appartenuto e che ci sentiamo alle
spalle. Anche da noi era così.
L'Occidente con la sua storia appare allora il destino del mondo. Per
questo alcune femministe del terzo mondo accusano le donne emancipate
del primo di contribuire a diffondere una visione coloniale, che fa
dell'oppressione delle donne la giustificazione di interventi bellici
ed umanitari. Non solo, contribuisce a fornire ai movimenti fondamentalisti
che si sviluppano in funzione antioccidentale un'immagine della loro
vera identità, che spesso é letteralmente tratta dall'ideologia
coloniale. La questione del velo, ad esempio, si è sovraccaricata
di significati perché già nell'800 icolonizzatori ne fecero
il perno di una campagna antislamica, (cfr. a proposito Leila Ahmed
Oltre il velo,La donna nell'Islam da Maometto agli ayatollah, Firenze,
La Nuova Italia, 1995); in India invece gli inglesi fecero del sati
- il rogo della vedova - un emblema della cultura locale: quella che
era un'usanza limitata, venne generalizzata, dando vita all'idea della
vera tradizione che oggi viene purtroppo fatta propria dai fondamentalisti
hindu (vedi il saggio di Uma Narayan in Decentering the center. Philosophy
for a multicultural, postcolonial, and feminist world, edited by Uma
Narayan and Sandra Harding, Indiana University Press, 2000).
Una relazione
spregiudicata con donne che vengono da paesi diversi ci offre un'occasione
preziosa per complicare, attraverso l'ascolto della loro singolarità,
le nostre idee troppo generali e per ripensare, prima di proporlo anche
alle altre, il nostro percorso di emancipazione misurando anche quanto
ci è costato in termini di visibilità e di efficacia politica,
e di capacità di esserci veramente, non solo nella scena politica,
ma complessivamente nell'esistenza.