I DIRITTI CULTURAL-RELIGIOSI TRA RELATIVISMO E LAICITA’ DELLO STATO - Sintesi della relazione (Bari, 25.6.05) di Nicola Colaianni
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I DIRITTI CULTURAL-RELIGIOSI TRA RELATIVISMO E LAICITA’ DELLO STATO


Sintesi della relazione (Bari, 25.6.05) di Nicola Colaianni


1 - Le culture sono le "cornici" entro le quali si svolge il divenire dell’identità personale e di gruppo. I relativi diritti sono, quindi, non solo soggettivi ma anche comunitari e tendono al riconoscimento pubblico della differenza, all’inclusione, alla equiparazione culturale.


2 - Il fondamento normativo a livello internazionale è nel patto sui diritti economici sociali culturali (New York, 16.12.66): partecipazione alla vita culturale (art. 15) e istruzione finalizzata a comprensione, tolleranza e amicizia fra tutti i gruppi razziali, etnici o religiosi anche al fine della pace (art. 13). Funzione: ideale dell’essere umano libero, che goda della libertà dal timore e dalla miseria (preambolo). Espressamente, però, il patto si limita al rispetto della libertà dei genitori (scegliere scuole diverse da quelle pubbliche, purchè conformi a standards, e educare i figli religiosamente e moralmente in conformità alle proprie convinzioni). Rispetto di una specifica cultura, quella familiare, secondo un quadro di riferimento statico, che tramanda in maniera rigida comunicazioni, tradizioni, stili di vita, modelli comportamentali e pratiche comunitarie.


3 - Un quadro di riferimento dinamico emerge, äa livello europeo, dall’art. 22 conv. Nizza (II-82 "costituzione" europea) con il rispetto delle diversità linguistiche, religiose e culturali. Qui le specificità culturali vengono percepite come legate al tempo e al crescente numero di orientamenti possibili. E’ quindi un quadro flessibile e differenziato, che assume (positivamente) il dato dello scambio e della comunicazione tra le culture (perciò: no alla citazione delle radici cristiane; distinzione tra diritto di sposarsi e diritto di costituire una famiglia, con disciplina, tuttavia, rimessa alle legislazioni nazionali, ecc.).


4 - Fondamentali le convinzioni (positive e negative) e le pratiche in materia religiosa: in ogni cultura influenzano l’autocomprensione etica dei credenti (e, anche per reazione, dei noncredenti e degli agnostici). Il diritto costituzionale in materia religiosa (diritto ecclesiastico, staatskirchenrecht) come "ambito particolare del diritto costituzionale della cultura" (Häberle).


5 - La libertà religiosa (di e dalla religione) è antesignana della democrazia, stimolo e modello per l’introduzione di diritti culturali ulteriori (dichiarazione di Amsterdam n. 11, art. I-52 cost. europea: rispetto per chiese e organizzazioni filosofiche e non confessionali; dialogo aperto, trasparente e regolare). Ma se ne diffida perché è fonte di relativismo e mette a dura prova la laicità (neutralità/imparzialità) dello stato e dell’Europa. Infatti, una costituzione non semplicemente procedurale (patto di convivenza) ma programmatica può consentire ad alcune idee progettuali di sostanzializzarla. Forza legittimante della sostanza morale dei principi è dovuta a imparzialità, a equiparazione giuridicamente equiparata di tutte le culture in materia di religione: entra in crisi se si insinuano nelle forme concezioni di eticità sostanziale (p. es. art. 7).


6 - Il banco di prova dei simboli religiosi (analisi limitata a Italia e Francia): libertà positiva (il velo); libertà negativa (il crocifisso). Fondamento: nel primo caso autorappresentazione e pubblico riconoscimento. Nel secondo caso principio di non identificazione (establishment clause). Che cosa si oppone come giustificazione del divieto e, rispettivamente, dell’obbligo: 1) l’equiparazione culturale giuridicamente equiparata non è gratis, presuppone l’accettazione della laicità (legge Stasi), le differenze trovano un limite nel divieto di segmentazione, "negli stessi fondamenti normativi della Costituzione da cui traggono legittimità" (Habermas). 2) Quei simboli religiosi appartengono alla storia, alla civiltà, alla ragione, ai valori umani (Tar Veneto, consiglio di stato). "religione civile cristiana in cui tutti possano riconoscersi", cattolici e laici, di fronte alle incombenti sfide "identitarie"; "religione cristiana non confessionale", tanto privata quanto "pubblica, perché spirito e sentire comune di una società civile che se ne nutre" (Pera, più papista del papa, per cui almeno l’esposizione di altri simboli –era la richiesta al tribunale dell’Aquila- è una questione aperta).


7 - Conseguenze:



1) lo spazio pubblico esclude esposizioni;
2) lo spazio pubblico non le esclude e anzi ammette una imposizione.

1) Divieto di relativismo della laicità, di una laicità collaborativa;
2) divieto di relativismo dell’etica, del sentire comune in nome della laicità.

1) laicità come neutralità (pari indifferenza) rispetto alle culture e alle religioni (giustizia commutativa, invito alla responsabilizzazione sociale);
2) laicità come imparzialità (pari attenzione) a quei bisogni (giustizia distributiva).


Nonostante le differenze, in realtà le conseguenze non sono molto diverse. La neutralità è solo apparente rispetto ai fattori cultural-religiosi perché incorpora decisivamente quelli di maggioranza o di tradizione o di una "comunità di destino" (peuple più che people): una laicità valore a se stante, ostile agli altri valori, inaccogliente, "disinfettante". E anche l’imparzialità è sostanzialmente asimmetrica, come il diritto di comunicazione e di migrazione di de Vitoria (lì per le persone, qui per le culture): la religione cattolica si può comunicare agli altri (credenti di altre religioni o non credenti), le altre religioni o il laicismo non possono comunicarsi ai nativi (civilmente cattolici): cuius religio, eius et regio.


8- In ogni caso la scelta sembra quella descritta da Bauman: restare in riga o essere rifiutati. Il grande fratello maggiore tendeva ad includere coattivamente, il grande fratello minore (reality show) tende ad escludere i non adattati, i meno abili, è il santo patrono di tutti i buttafuori. La laicità neutrale,"alla francese", ha consentito di abbattere muri e recinti spinati innalzati dal Grande Fratello di Orwell in nome dell’universalismo, ma respingendo le differenze nella sfera privata al costo di assoggettare all’inclusione obbligatoria, alla omologazione nella sfera pubblica:. La laicità imparziale, all’italiana (del "dobbiamo dirci cristiani"), spinge i diversi –rispetto alla religione non confessionale della società- sotto lo sguardo occhiuto ed escludente del Grande fratello 2, che li considera non adattati: possono vivere in loro comunità, in casa propria, finchè non danno fastidio e non accampano pretese nella sfera pubblica incompatibili con i diritti della religione civile (il modello tendenziale sembra quello inglese, imperiale, piuttosto che quello tedesco, risultante dalle decisioni sul velo e sul crocifisso).


9- Entrambe le concezioni presuppongono una concezione statica, definitiva, delle culture e dell’identità. Le culture sono insiemi compatti, che possono evolvere ma senza oltrepassare i loro confini, senza interagire. Sono già date, identificate. Di conseguenza, l’identità non è dinamica, non è un percorso, non si chiarirà alla fine. Anche le identità sono già date. Entrambe le concezioni temono la "dittatura del relativismo che non riconosce nulla di definitivo". Al punto che anche i credenti, e a più forte ragione gli atei devoti o clericali, non tengono conto del relativismo cristiano, "che è il leggere tutte le cose in relazione al momento nel quale la storia sarà palesemente giudicata" e "si vedrà chi aveva ragione, tante cose si chiariranno, si illumineranno, si pacificheranno" (Martini).


10 - Inclusione coatta o esclusione obbligatoria: è questa l’unica forma concepibile per vivere i diritti culturali nel nostro mondo condiviso? Non c’è spazio per la laicità inclusiva, accogliente senza costrizioni a vivere in comune alcuni valori minimi, quelli che costituiscono il fascio essenziale dei diritti e doveri di cittadinanza? Il rifiuto del comunitarismo in direzione dell’integrazione può aversi probabilmente con una laicità che assuma a sua volta una prospettiva interculturale e interreligiosa. Non indifferente alle culture, ma riconoscimento e salvaguardia delle differenti identità al riguardo. In questa prospettiva la laicità si coniuga con il relativismo che connota la democrazia nel suo insieme proprio al fine di garantire al massimo le fedi e i valori propugnati come assoluti dai singoli. Simul stabunt aut simul cadent: e allora si ha l’assolutismo, lo stato etico, l’esclusione del diverso. In senso interculturale, relativo, la laicità è effettivamente un profilo fondamentale della forma di stato, come stabilito dalla sentenza 203/89 della Corte costituzionale. Non a caso questa sentenza ha posto la laicità in regime di "pluralismo confessionale e culturale" come principio supremo dell’ordinamento costituzionale: e non potrebbe essere diversamente, ha soggiunto nella sentenza 440/95, in una società in cui "hanno da convivere fedi, religioni, culture diverse".


http://users.unimi.it/dirsoc/interventi/Colaianni.abs.doc


In: "Diritto: le sfide dell'immigrazione": Convegno Associazione di studi su diritto e società
http://users.unimi.it/dirsoc/convegno.htm



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