Controversia sotto il velo
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Controversia sotto il velo

Coinvolte/i come siamo nel dibattito sul senso e gli effetti della legge francese «sul velo», ci ha sorprese/i l'articolo di Anna Maria Merlo (15 marzo), che in poche righe condensa molti luoghi comuni e inesattezze. Anzitutto le cifre: pur assumendo i dati del Ministero dell'educazione, ai 47 casi di ragazze espulse da licei come effetto della legge - i soli citati da Merlo - occorre aggiungere le 50 studentesse spinte a dare le dimissioni prima di arrivare al Consiglio di disciplina, l'organo che decide dell'espulsione (il quale in alcuni casi ha respinto perfino la proposta di sostituire il foulard con un berretto). Si tratta dunque di un centinaio di allontanamenti dalla scuola pubblica ai quali devono sommarsi i casi di allieve che, non volendo rinunciare al foulard, all'inizio dell'anno non si sono presentate a scuola. Si può calcolare così che almeno 500 ragazze siano state allontanate dalla scuola. Merlo scrive che «su un totale di 12,5 milioni di allievi, una quindicina continua per corrispondenza, altri (sic) in moschea». In realtà sono più di 200 le ragazze che, per non interrompere gli studi, seguono, per lo più a casa, corsi statali per corrispondenza, private del rapporto con i coetanei e delle possibilità d'integrazione che la scuola offre. Merlo aggiunge che per 550 ragazze si sarebbe arrivati al compromesso di tollerare il foulard nei corridoi, proibendolo in classe «perché comporta altre richieste come la dispensa dai corsi di ginnastica o di piscina, le lezioni di biologia ecc.». Duplice inesattezza: i casi in cui il foulard è tollerato nei corridoi sono un'infima minoranza; l'idea che il foulard necessariamente implichi «altre richieste» è un luogo comune da bar dello sport. Certo, percentuali ridicole rispetto ai 12,5 milioni di allievi. Dietro cui però vi sono persone e drammi personali: tutte le testimonianze, anche quelle riportate da Le Monde, noto quotidiano filo-islamista, mostrano che le ragazze allontanate dalla scuola soffrono di depressione; e quelle che, costrette a levare il foulard, la frequentano subiscono ancora pressioni e umiliazioni circa il loro modo di vestire, reputato comunque troppo castigato. Secondo Merlo, la legge del 15 marzo 2004 non sarebbe che una riformulazione di quella del 1905 sulla separazione fra Stato e Chiesa. Niente di più erroneo: la legge del 1905 non riguarda affatto i segni «ostensibili» portati da allieve/i. E, d'altro canto, il Consiglio di stato, ogni volta che si è pronunciato, ha giudicato che indossare a scuola il foulard non è contrario ad alcun principio giuridico in vigore né, in particolare, a quello costituzionale della laicità. La legge «sul velo» è dunque, nella tradizione giuridica francese, una legge inedita, che nega il principio della laicità autorizzando lo Stato a intervenire nei comportamenti religiosi dei cittadini; che punisce coloro che pure sono presentate come vittime di oppressione, allontanandole dal luogo per eccellenza di socialità e di educazione allo spirito critico. Infine, le «tracce nei movimenti» lasciate dalla «polemica sul velo». Il corteo che ha sfilato il 6 marzo a Parigi è stato voluto da Ni putes ni soumises, un'associazione, molto mediatizzata e vicina al Partito socialista, che tutto è tranne «l'organizzazione delle ragazze di periferia». Lo slogan di questo corteo era laicité et mixité, non «parità ed eguaglianza», come scrive Merlo. Gran parte dei collettivi femministi - non «una frangia del femminismo» - ha partecipato al ben più numeroso corteo dell'8 marzo. Dove c'erano anche «ragazze col velo», ma dietro lo striscione del Collettivo Une ecole pour toutes et tous (Cept), decisamente laico e di sinistra. Dunque non portate, come lei dice, dall'Uoif, che peraltro non rappresenta «l'islam radicale» ma è una corrente reazionaria più vicina a Sarkozy che a Bin Laden. Certo, c'erano anche le ragazze del Collettivo dei Musulmani di Francia (Cmf), vicino alle posizioni di Tariq Ramadan. Ma esso aveva invitato a manifestare l'8 marzo per i diritti delle donne, incluso quello di scegliere liberamente se portare o no il foulard. A proposito: sì, le allieve «col velo» subiscono pressioni da parte delle famiglie ma perché abbandonino il foulard per non essere espulse dalla scuola pubblica.


Hamida Ben Sadia, Collectif des Féministes pour l'Egalité; Laurent Lévy, avvocato, genitore di due ragazze espulse; Fernanda Marrucchelli, consigliera del XX Arrondissement, Paris; Annamaria Rivera, antropologa, docente universitaria; Pierre Tévanian, docente di filosofia


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Da parte mia, rispondo solo su tre punti di questa lettera inutilmente aggressiva :

1) le richieste di esonero dai corsi di piscina e ginnastica, le contestazioni sui contenuti non sono voci da bar sport ma informazioni datemi da professori e allievi, in varie scuole, nel corso dei reportages che ho fatto in occasione del voto delle legge;
2) i dati del ministero sono una fonte, più attendibile di quelli degli islamisti, che comunque non riescono a gonfiare oltremodo il fenomeno;
3) ho conosciuto Fadela Amara di Npns, ho passato del tempo nella loro sede. Il successo del movimento delle ragazze di periferia ha spinto il Ps a corteggiarle.

E allora? Sul fondo della questione vi risponde di seguito l'avvocata Wassyla Tamzali.
(Anna Maria Merlo).

«Il velo è un'invezione maschile ben precedente all'islam, ma che viene utilizzato oggi, soprattutto in Europa, con l'obiettivo di una politica di conquista ideologica. Si tratta di una jihad soft, che si realizza in Europa, dove esiste un quadro normativo preciso, per promuovere norme che si opporrebbero alle leggi del paese. Gli islamisti in Europa strumentalizzano la democrazia per far accettare una pratica che le è profondamente contraria. Questi stessi islamisti, se operassero in Algeria o in Marocco, obbligherebbero tutte le donne a velarsi. Si passerebbe da Tariq Ramadan, seduttore, che dice se volete mettetevi il velo mettetevelo, alla legge iraniana. Voglio dire alle femministe europee che questo è il vostro problema, se accettate delle pratiche che sono contrarie alla vostra storia, alle vostre lotte, per delle donne che non sono del vostro mondo. Esiste un razzismo rovesciato, più intellettualizzato: mentre l'estrema destra dice non sono come noi e quindi devono andarsene, voi dite non sono come noi e possono vivere come vogliono. Ma bisogna definire l'intollerabile. Noi donne del sud, arabe, musulmane, consideriamo che il limite dell'intollerabile è l'ineguaglianza delle donne. Mi stupisce che le femministe italiane e francesi non siano chiare su questo, che interiorizzino la visione patriarcale della società islamica e la difendano attraverso le ragazzine con il velo. Mi stupisco che non si mobilitino contro i delitti d'onore - 150 in Gran Bretagna ultimamente - contro il nuovo codice della famiglia in Algeria e che invece siano contro la legge francese. In Francia questa questione ci interessa, a noi donne del sud, perché sono le donne immigrate che oggi portano il velo nei paesi del sud. Bisognerebbe invece battersi contro il razzismo. Queste femministe vivono nelle nuvole, vengano un po' a vedere cosa si nasconde dietro al velo, la violenza, il machismo. In Spagna il 35% delle donne battute sono di origine immigrata. Difendere il velo non è certo il buon modo per provare il proprio interesse per gli immigrati».

(Wassyla Tamzali)

http://www.ilmanifesto.it/Quotidiano-archivio/26-Marzo-2005/art74.html



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