Islam e Europa: vecchi e nuovi rapporti - di Paolo Branca
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di Paolo Branca


Islam e Europa: vecchi e nuovi rapporti


BATALLA DE POITIERS, freno a la expansión islámica en la Europa OccidentalBATALLA DE POITIERS, freno a la expansión islámica en la Europa OccidentalBATALLA DE POITIERS, freno a la expansión islámica en la Europa Occidental


La presenza tra di noi di un folto gruppo di uomini che appartengono all'Islam è segno di un'evoluzione generale del nostro pianeta verso livelli di integrazione sempre maggiori che propongono in forma inedita le questioni relative al rapporto tra differenti tradizioni religiose e culturali le quali si mostrano sempre più evidentemente intrecciate, ma al tempo stesso destinate ad affrontare più direttamente, date le distanze ravvicinate, i problemi sollevati dalla loro diversità.


L'immigrazione islamica in Europa si è fatta massiccia negli ultimi anni ed è un fenomeno interessante, complesso e per certi aspetti inedito. Come tutti gli avvenimenti osservati "in diretta" quello della migrazione dai paesi islamici in Occidente è difficile da studiare: i dati sono contradditori e incerti, le testimonianze di vario valore, le strumentalizzazioni e le emozioni che lo accompagnano sono intrecciate ai dati oggettivi spesso in modo inestricabile. Non sono però immotivate una considerazione e un'attenzione particolari a questa presenza per diverse ragioni: spesso è anzitutto come musulmani che si considerano e che si pongono gli immigrati stessi, unendosi in raggruppamenti che mettono l'accento sull'identità religiosa sia comefattore di coesione interna sia come elemento di confronto e di rivendicazione rispetto alla società ospitante.


A questo proposito si può addirittura rilevare a volte una sorta di iper-islamizzazione, ossia una tendenza ad enfatizzare alcune espressioni tipiche della religiosità - aspetti esteriori e comportamentali o legati al culto - come processo di identificazione nel proprio modello originario e di distinzione dall'ambiente circostante ritenuto estraneo se non ostile; il legame col mondo d'appartenenza originario risulta quindi particolarmente stretto, ma non per questo privo di elementi contrastanti e contraddittori. Le varie organizzazioni islamiche mantengono spesso un rapporto privilegiato con determinati paesi arabi o musulmani o con associazioni islamiche internazionali da cui ricevevono varie forme di sostegno, compreso quello finanziario.


La presenza islamica non è certo l'unico né il principale elemento di instabilità di un'Europa che sta faticosamente ridisegnando i suoi confini interni e ripensando la propria vocazione e il proprio ruolo: si tratta soltanto di un fattore in più che va ad aggiungersi agli altri e che forse acquisterà un peso crescente in un futuro che per certi aspetti sembra già cominciato. Ma, tra le speranze suscitate dai muri che crollano e le angosce provocate da rivalità e conflitti che rinascono sarebbe errato considerare i musulmani unicamente come un problema in più: ogni grande mutamento ci porta in territori sconosciuti e ci mette al fianco nuovi compagni di strada, la natura diversa del terreno ci potrà disorientare e le differenze tra noi e chi ci cammina accanto potranno non sempre essere semplici da accettare, ma sarà comunque meglio impiegare la nostra prudenza e la nostra creatività cercando di rispondere positivamente alla nuova situazione piuttosto che chiuderci in una sterile difesa senza domani.


Non è un compito che non si possa affrontare senza sollevare contemporaneamente una serie di delicate questioni di fondo e di pressanti interrogativi: quale parte del patrimonio classico dell'Islam va rinnovato e quale va invece mantenuta e considerata valida per ogni tempo e ogni luogo? Se l'autorità appartiene soltanto a Dio e se l'unica legge pienamente legittima è quella religiosa, quale dev'essere il rapporto tra Islam e potere politico? In questo quadro qual è il ruolo e quali sono i limiti dell'autorità umana nella ricerca di nuove forme di organizzazione della vita personale e comunitaria? E' chiaro che la risposta a queste domande e la soluzione di questi problemi non potrà essere soltanto il risultato di una elaborazione teorica, ma il frutto di una lenta evoluzione nella quale il nostro impegno e la nostra credibilità come interlocutori non saranno irrilevanti al fine di creare le condizioni perché quella che oggi sembra un'ardua mediazione possa sfociare in uno scambio di reciproco arricchimento e a comune vantaggio, mediante una reciprocità troppo spesso da entrambe le parti largamente disattesa.


Molto abbiamo infatti da imparare dai nostri nuovi compagni di cammino: non solo dalla loro umanità ricca di valori di solidarietà o dal loro prestigioso patrimonio culturale, ma anche dalla spiritualità e dalla fede profonda che i musulmani testimoniano all'Occidente secolarizzato, dando prova di fedeltà ad alcuni valori che esso rischia di perdere se non ha già ampiamente dimenticato. Mentre tra noi infatti si è spesso propensi a individuare il nocciolo della fede in una serie di principi o di sentimenti, per i musulmani l'importanza dei precetti e delle modalità del culto conservano intatti la loro centralità e il loro ruolo. Questa diversa sensibilità, piuttosto che un motivo ulteriore di differenziazione e di incomprensione, può costituire l'occasione per interrograsi a proposito dei simboli religiosi che gli uni sembrano voler mantenere a ogni costo e gli altri paiono abbandonare senza troppi problemi.


L'opportunità di un'emulazione spirituale non è solo auspicabile, gli stessi Testi sacri la richiamano in toni che non ammettono riserve.


Il Corano non fa eccezione: "A ognuno di voi abbiamo assegnato una regola e una via, mentre, se Iddio avesse voluto, avrebbe fatto di voi una Comunità Unica, ma ciò non ha fatto per provarvi in quel che vi ha dato. Gareggiate dunque nelle opere buone, ché a Dio tutti tornerete, e allora Egli vi informerà di quelle cose per le quali ora siete in discordia" (5, 48).


http://www.unimib.it/nangeroni/DoclocandineAtticonvegni/AttiConvegni%20Pdf/Branca0304.pdf



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