Se Israele nega Israele - Elena Lowenthal
Su: La Stampa
Condividi questo articolo


Se Israele nega Israele


Elena Lowenthal - La Stampa

Elena Lowenthal - La Stampa
Avraham Burg è stato presidente del Parlamento israeliano, ha ricoperto altri incarichi politici. Attualmente vive fra Israele e la Francia, dove è passato dalla vita pubblica a quella degli affari. Burg è nato a Gerusalemme in una famiglia di esuli ebrei tedeschi.

Ha scritto un libro (di prossima pubblicazione in italiano per i tipi di Neri Pozza) che s'intitola Victory over Hitler: un ripensamento della Shoah - sulle orme di Hannah Arendt - ma anche una dura requisitoria su Israele oggi. A mezza strada fra l'utopia compiaciuta e il pamphlet sofferto.

Shlomo Sand insegna all'Università d'Israele. Il suo libro (Where and How were the Jewish People invented) smonta i presupposti storici del popolo ebraico. Lo fa in modo piuttosto confuso, passando dall'archeologia biblica al sesso nel XX secolo. La tesi è quella di un «meticciato» ebraico radicale: i figli d'Israele non sono un popolo né un'etnia. Tutto ciò, secondo il professore, abbatte ogni rivendicazione nazionalistica.

Aharon Shabtai è un poeta israeliano. Prima ancora, è il fratello dello scomparso Yaakov, forse il più grande narratore dell'Israele contemporaneo, morto a poco più di quarant'anni per un attacco di cuore (è pubblicato da Feltrinelli). Aharon Shabtai si è conquistato un'effimera ma pirotecnica pubblicità letteraria dichiarando la propria non disponibilità ad andare alla Fiera del Libro di Parigi. Non per motivi tecnici, per impegni già presi, bensì per protestare contro il suo paese, per «chiamarsi» fuori dalla sua realtà politica, storica, letteraria.

Vien da evocare la vecchia storiella dell'ebreo che, naufrago su un'isola deserta, si costruisce due sinagoghe: una da frequentare abitualmente, l'altra per non metterci piede manco morto.
In questi casi con cui attualmente si confronta il mondo intellettuale israeliano, il discorso è più sottile. La critica spinta, scabrosa al punto da rimettere tutto in gioco - il passato e il presente, la storia biblica e i fondamenti dello Stato d'Israele -, diventa una specie di negazionismo «autoreferenziale», che è il paradosso di una società dove la libertà di espressione diventa anarchia pura.

L'anarchia della parola non è sempre provocazione fine a se stessa; se è il mezzo e non il fine, può diventare un efficace strumento d'interpretazione. Un po' come quel devoto rabbino che in preghiera diceva tre volte al giorno «credo fermamente nella venuta del messia», ma poi commentava con una nota di mestizia: non verrà mai, ma noi dobbiamo comunque aspettarlo.

Tornando all'Israele di oggi, queste manifestazioni intellettuali che spaziano dalla storia alla politica alla letteratura sono lo spettro di una realtà dove la libertà d'espressione non conosce freni inibitori, e sono anche il segno di un mondo dove i valori fondanti vengono messi in discussione.
Non soltanto per negarli o per abbatterli - come nel caso di Sand, Shabtai e più sottilmente di Burg - ma anche per riformularli, al passo con un'attualità in mutamento continuo.

Quando questi tre intellettuali attaccano Israele, mettendo in discussione non solo la sua politica ma anche le radici storiche e ideologiche, non lo fanno per quel vezzo denigratorio che abbiamo ad esempio noi italiani: ci piace parlar male del nostro paese, difettiamo quasi unanimemente di patriottismo. Il criticismo israeliano è assai più sofferto, e in casi come questi radicale - ma bisognerebbe forse mettere questi e altri intellettuali alla prova dei fatti, provare a trapiantarli in una realtà parallela dove lo Stato ebraico fosse sparito dalla cartina geografica.

Queste manifestazioni sono in fondo il lato oscuro di un'ideologia che non può fare a meno di essere dinamica, perché il rimettersi in gioco è da sempre nella natura di un'identità ebraica sballottata dalla storia. D'altro canto, raggiunto lo scopo di aver ricreato una patria nazionale per i figli d'Israele, il sionismo deve necessariamente riformulare i propri obiettivi, chiarire il nucleo dei propri valori.

In questo contesto, tali espressioni di «autonegazionismo» - la nostra storia non esiste, non abbiamo alcuna legittimità nel presente - potranno integrarsi nella cultura «positiva» dell'ebraismo e d'Israele. Che è da sempre inclusiva e non esclusiva, a dispetto di quanto spesso si creda. Fin dai tempi del Talmud. Dove, ad esempio, si narra la vicenda di rabbi Elisha Ben Avuya che andando troppo avanti nell'interpretazione della Torah e nella meditazione sui segreti del creato, finì per «potare i germogli»: cioè rinnegò tutto. Da allora venne chiamato Aher, cioè «Altro».

Aher è colui che si estranea, che si chiama prepotentemente fuori dalla propria fede e dall'identità. Eppure il Talmud non lo caccia affatto dalla storia: le sue parole riempiono pagine di testo, vengono discusse e affrontate dai colleghi rabbini. Che lo volesse o no, Aher è stato integrato nella tradizione, proprio per averla negata.

«Non ho ricevuto disdette, ma è possibile che arrivino, vista l’aria che tira: so che questi scrittori sono sottoposti a pressioni molto forti, da quando hanno accettato il nostro invito. Se dovessero rinunciare, sarebbe l’ulteriore dimostrazione di un clima talmente deteriorato da rendere impossibile persino la partecipazione a un evento culturale. Sarebbe l’ennesima spia di quanto è impervia, su questi temi, la strada del dialogo».
Così Ernesto Ferrero, direttore della Fiera del Libro, commenta la possibilità che all’ultimo diano forfait gli autori palestinesi che avevano deciso di non aderire al boicottaggio della kermesse torinese, sotto accusa da parte del mondo arabo per la presenza di Israele come paese ospite.

Ad annunciare l’assenza degli scrittori alla Fiera è stata l’Assemblea Free Palestine, che a Torino promuove il boicottaggio e organizza una serie di contro-eventi con ospiti filo-palestinesi. L’Assemblea ha annunciato la presenza ai suoi incontri di autori di cultura islamica come Tariq Ramadan e Tariq Ali, oltre al poeta ebreo israeliano Aharon Shabtai.

Un paradosso: la Fiera, che promuove da sempre il dialogo, avrebbe volentieri accolto nei suoi convegni questi autori, che invece boicottano l’evento, mentre il gruppo di organizzatori di Free Palestine ha il loro sì ma non dispone degli spazi per ospitare gli incontri. Li ha chiesti all’Università, che ne ha però concessi solo alcuni.

 



Condividi questo articolo

in Letture Condivise: Meir Shalev - La mia identità ebraica è nella lingua in cui scrivoCome si può trovare un punto di incontro tra Oriente e Occidente? I Nobel Kenzaburo Oe e Pamuk a colloquioTesto da utilizzare in ambito scolastico sul tema dell'integrazione culturare fra italiani ed albanesiSalone del libro di Parigi «Il boicottaggio punisce gli arabi» Massimo NavaSalone del Libro di Parigi - Da Oz a Grossman le parole d´Israele. Anais GinoriSe Israele nega Israele - Elena LowenthalPREMIO BIENNO CONTI: Scrivere le MigrazioniPresentazione del libro ''GENTILISSIMO'' (la Toponomastica del Sentimento) di Maurizio BenvenutiLINGUA MADRE DUEMILASETTE - Racconti di donne straniere in ItaliaShalev non andrà a Torino se si parlerà di politicaFiera del Libro, cda: ''Israele, presenza culturale. E ora si lavori sul programma''Lettera aperta a Tariq RamadanGLI INTELLETTUALI A NAPOLITANO:  Appello contro il boicottaggio della Fiera Internazionale del libro di TorinoIl prezzo del velo - La guerra dell’Islam contro le donne - Giuliana  SgrenaSuad Amiry: Fiera del Libro di Torino 2008. Festeggiare con Israele ma che cosa?Anche lo scrittore Ibrahim Nasrallah respinge l'invito alla Fiera del Libro di Torino dedicata a IsraeleL'intellettuale egiziano Ramadan invita a boicottare la Fiera del Libro di TorinoUn boicottaggio sbagliato. Articolo di Valentino Parlato sulla Fiera internazionale del libro di Torino 2008O a Torino con dignità e libertà e senza umilianti compromessi, oppure in altre sedi libere e tra uomini liberi. Un articolo di Giorgio IsraelRitorno sul campo,i lavori in corso di uno storico militante - Storie orali. Racconto, immaginazione, dialogo di Alessandro Portelli''La Fiera non è un'occasione agiografica''. Ernesto Ferrero risponde alle polemicheDiario dal mondo vissuto in prima persona. Alessandro Portelli ha raccolto in volume le sue ricerche di oltre trent'anniPer affermare le proprie ragioni il boicottaggio culturale è sterile - Ester FanoSguardi dal genocidio nell'occhio del carnefice. Appena uscito per la Einaudi, «Album Auschwitz» riattualizza i quesiti interpretativi dalla rappresentazione fotografica dell'Olocausto  


Copyright © 2002-2011 DIDAweb - Tutti i diritti riservati