Islam e l'Europa. La sfida di un incontro di civiltà di Felice Dassetto
Quando agli inizi degli anni ‘60, i Paesi europei, non ottenendo più manodopera dal sud dell'Europa, conclusero degli accordi migratori con i Paesi musulmani e aprirono le frontiere al mercato del lavoro, non pensavano alla complessità del problema che sarebbe sorto, e questo per molteplici ragioni. Innanzitutto, il migrante era considerato solo come forza lavoro. Questo sguardo utilitaristico rispondeva alle domande patronali di quel tempo e considerava tali flussi migratori come temporanei. Cosa che i comportamenti dei migranti hanno subito smentito. Per dirla con una celebre frase: si volevano delle braccia, ma sono arrivati degli uomini.
In secondo luogo, non si pensava a ciò che poteva significare l'inclusione di popolazioni di origine musulmana in Europa. Questa cecità scaturiva da due cause.
UNA VISIONE COLONIALE
L a prima era quella di una certa visione coloniale del migrante non europeo, e in particolare, del musulmano. Già le immigrazioni polacca, italiana, spagnola, greca, portoghese avevano dovuto confrontarsi con la visione nord europea, cioè, quella di Paesi che si pensavano sviluppati in rapporto a dei territori con “ritardo di sviluppo”. Non solo, questa visione si caratterizzava di uno sguardo coloniale che considerava la cultura del colonizzato divenuto migrante, come insignificante o arretrata. Bisognava attendere gli anni ‘70 perché venga portato un nuovo contributo, frutto della cultura “post-moderna”, dell'indipendenza degli antichi popoli colonizzati e anche delle riflessioni pratiche e teoriche di insegnanti, operatori di sanità, movimenti associativi e ricercatori nelle scienze umane. La comprensione della cultura “altra” diventa una componente importante della visione del migrante.
La seconda causa di cecità, per ciò che riguarda l'immigrazione musulmana, è dovuta al fatto che la dimensione islamica era percepita piuttosto come un riferimento culturale generico e non certamente religiosa. Gli stessi immigranti d'origine musulmana non facevano che un debole riferimento all'islam.
Le indipendenze e le identità nazionali, dalla Turchia di Mustafa Kemal all'Indonesia di Sukarno, al Pakistan di Ali Bhutto, all'Egitto di Nasser, alla Tunisia di Bourguiba, ma anche all'Algeria del Fronte di liberazione nazionale (Fln), e anche al Marocco dei primi anni di Hassan II, si erano costruite nel nome di culture, di nazioni, di identità araba e solamente in misura minore, di religione . L'islam era visto come un ingombrante residuo del passato. Alcuni religiosi musulmani erano considerati degli strumenti utili per legittimare il potere. La stessa cosa dicasi per i migranti. L'islam non era che un riferimento vago, “non acquisiva significato”, né per la maggioranza delle popolazioni d'origine musulmana né per i non musulmani. Tutto cambia dalla metà degli anni ‘70. Per prima cosa, nei Paesi musulmani, dopo la guerra dei Sei giorni e la morte di Nasser, il progetto saudita di dominare il mondo musulmano a partire dall'islam wahhabita si afferma. Così facendo, entra in rivalità con il sunnita Kadhafi e con la sciita Khomeini. La rivalità si gioca sul terreno dell'islam. Questo diviene un punto di riferimento per gli individui e le società.
Tutto cambia anche nei Paesi d'immigrazione, dove i musulmani scoprono sempre più la dimensione religiosa. Praticano, manifestano il loro credo e si dotano di infrastrutture. A titolo indicativo si può segnalare, ad esempio, che all'inizio degli anni ‘70 in Europa c'era al massimo qualche decina di luoghi di culto. Sono 2mila agli inizi degli anni ‘80 e più di 5mila oggi. Queste moschee non sono iniziativa di poteri occulti, ma nascono dal nuovo entusiasmo religioso, sostenuto e alimentato da attori e istanze diverse.
Non solo braccia
Non solamente si scopre che ci sono degli uomini e non solo delle braccia, con aspettative individuali e sociali e particolarità culturali, ma anche che sono uomini religiosi che fanno dell'islam la loro bandiera. Se già l'incontro con la cultura era oggetto di complessità, l'incontro con l'islam aggiunge un elemento nuovo. Il risultato di queste migrazioni è che circa 12 milioni di persone originarie direttamente – o attraverso i loro genitori o nonni – di un Paese musulmano, sono presenti in Europa Occidentale. Sono più numerosi dei musulmani nei Paesi dell'Europa slava e balcanica (9 milioni), giunti con l'inserimento musulmano dovuto all'espansione dell'Impero ottomano. In percentuale, è il 3-4% in media della popolazione europea che varia tra circa il 7% in Francia e lo 0,5% in Finlandia o Norvegia. Il loro insediamento è urbano; quindi alcune città – ad esempio, Birmingham, Bruxelles, Berlino – devono contare su una popolazione d'origine musulmana superiore al 10%. Le proiezioni demografiche lasciano intravedere dei tassi più elevati per il futuro. Questi “musulmani” provengono dai quattro angoli del pianeta dell'islam. I maghrebini si sono installati soprattutto nei Paesi della fascia atlantica dell'Europa. Quelli della penisola indiana e del Pakistan si stabiliscono prima nel Regno Unito. Quelli dell'Africa subsahriana, soprattutto Africa dell'Ovest, si insediano in Francia, Spagna e Italia. Altri ancora sono originari della Turchia e si trasferiscono in Germania, Austria, Francia, Belgio, Paesi Bassi, ma anche in Svezia e Norvegia. E poi più recentemente sono arrivati dal Kosovo, dalla Bosnia, dalla Cecenia, dall'Egitto, dall'Iran. Insomma, i musulmani stessi fanno un'esperienza nuova in Europa, fuori del grande pellegrinaggio alla Mecca, quella dell'universalità dell'islam e della sua articolazione con culture molteplici che coabitano oggi, non senza difficoltà, nello spazio europeo.
LE TANTE FACCE DELL'IDENTITÀ MUSULMANA
Le popolazioni musulmane costruiscono la loro presenza e le loro relazioni nel contesto europeo a partire di vari riferimenti. Uno di questi è “nazionale”. È più accentuato laddove gli Stati di origine mostrano una fiera identità nazionale, qualche volta alle soglie del nazionalismo, come la Turchia, ma anche il Marocco o il Pakistan. Tale riferimento nazionale si attenua con le generazioni, ma non si spegne completamente anche se, in molti casi, queste persone acquisiscono la nazionalità dei Paesi in cui vivono.
Un altro riferimento è “culturale”, inteso come l'insieme degli usi e costumi di vita: dalle abitudini alimentari alle tradizioni matrimoniali (ad esempio, nel caso arabo di matrimoni “combinati”, di preferenza tra cugini) passando per espressioni artistiche diverse. Queste dimensioni culturali nuove sono abbastanza ben gestite dal mondo della cultura e dell'insegnamento. Quando si tratta di espressioni culturali, le porte sono più che aperte alla diversità d'espressione, inglobate d'ora in poi nella world culture .
Questi due riferimenti, nazionale e culturale, sono oggi incorporati in una logica più grande, quella dell'edificazione di un'identità a dimensione politica che viene chiamata “identità etnica”. E non è escluso che questa si costruisca anche a partire dal colore della pelle. Induce a pratiche, scelte preferenziali di relazioni, attività economiche ( l'ethnic business ), anche a orientazioni politiche di maniera, tanto che si può parlare di “voto etnico”. Quest'identità etnica cresce, in certi casi, con una coscienza di marginalizzazione. Alcuni autori parlano anche di un'“etnicizzazione dei rapporti sociali”. Insomma, il riferimento etnico è diventato significativo. Si tratta di un'identità politica di facile utilizzazione, “pre-politica”, perché si richiama ai “miei”, identificati con le appartenenze prime: cultura, lingua, colore della pelle. Questi nuovi riferimenti etnici si giustappongono alle antiche etnie europee, linguistiche e culturali.
I partiti politici si mobilitano per canalizzare questi attori “etnici” d'origine araba, turca, pakistana nello scopo di catturare le loro voci e attenuare la rivendicazione etnica. Per ora non si vedono apparire in Europa partiti etnici sorti dall'immigrazione che sarebbero equivalenti al Vlaasm Blok del Belgio, alla Lega Nord di Umberto Bossi in Italia o al Partito della libertà di Jörg Haider in Austria. I tentativi elettorali come quello di Abou Jahja di Anversa non sono riusciti; ciò nonostante, non è escluso che in futuro i partiti etnici si ricompongano e ottengano un certo successo.
Un quarto riferimento “islamico”, nel senso religioso del termine, si aggiunge ai precedenti e non riguarda la totalità delle persone originarie di un Paese musulmano. Sulla base dei rari dati esistenti, circa il 42% di persone d'origine musulmana esprimono visibilmente la loro identità religiosa; a queste bisogna aggiungere i convertiti/e all'islam, giovani e anziani. Sono uomini e soprattutto giovani donne che considerano positivo il loro riferimento alla religione. Questa mobilitazione religiosa è frutto sia della volontà di produrre un'identità che favorisca un'integrazione sociale.
UN INCONTRO COMPLESSO
Si comincia a comprendere l'ampiezza delle conseguenze di ciò che si è considerato come una semplice importazione di manodopera. Questa constatazione non significa rimpiangere il passato, ma prendere in considerazione l'importanza delle questioni connesse a questa nuova presenza. Ciò che ha caratterizzato l'immigrazione musulmana in rapporto ad altre immigrazioni è stata la mobilitazione dei riferimenti religiosi non solo nella vita privata, ma anche in quella comunitaria e nello spazio pubblico. Così, sul piano interno, l'Europa vede una nuova religione, l'islam, che reclama visibilità. Alcune di queste domande sono facilmente gestibili nei quadri istituzionali esistenti. Altre lo sono meno, perché introducono delle dimensioni religiose inaspettate o considerate come parte integrante dell'antica storia europea.
L'islam sembra scuotere lo statu quo dei rapporti tra religione e società, qualche volta in modo non intenzionale, come semplice risultato di uno spirito di conquista e di una critica della visione occidentale della religione. Comunque, l'effervescenza islamica sembra difficile da regolare e questo ancor di più perché questa “religione” impiantata in Europa si connette al futuro mondiale dell'islam. In sintesi, la presenza delle popolazioni musulmane in Europa porta a un incontro estremamente complesso; tanto complesso che sia il mondo dell'islam sia quello dell'Occidente si devono declinare al plurale.
FELICE DASSETTO (continua)
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