La via del cuore. A colloquio con un maestro Sufi
Non sogno, perché è già la mia vita stessa un sogno. Vivo cercando di ragionare su questo mistero, che è Dio. Nel Corano sta scritto: ''Dio dice: né i cieli né la terra mi contengono; mi contiene il cuore del mio fedele''.
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La via del cuore. A colloquio con un maestro Sufi
a cura di Alessandra Garusi



INTERVISTA A GABRIEL MANDEL KHAN “Se enumerassimo i molti Hitler che oggi predicano odio e distruzione ed egoismi fanatici nel mondo, facilmente ci accorgeremmo di quanto il sufismo – il misticismo dell'Islam illuminato – sia più che mai necessario”. Con queste parole si concludeva lo scorso intervento di Gabriel Mandel Khân, vicario generale per l'Italia della Confraternita sufi Jerrahi-Halveti (v. MO 3/2005). Pubblichiamo qui l'intervista che ci ha rilasciato.


Parliamo dei mistici sufi nei Paesi “politicamente caldi” come l'Algeria, l'Afghanistan, l'Iraq. Per quale ragione il loro modo di vivere l'Islam è così “sommerso”? Perché sono così poco “visibili”?


Non è per scelta, ma per necessità. Nei Paesi dove vige una dittatura, è indubbio che un afflato di libertà, di giustizia, di conoscenza, di cultura, non può certo essere gradito. Ne consegue quindi che i sufi – che vivono tutto ciò e sono anzi la punta di diamante nell'islam proprio per la cultura – qui non hanno la vita facile. Nel IX secolo, i Fratelli della Purezza scrissero un'enciclopedia, dove per la prima volta era citata la frase “libertà, eguaglianza, fratellanza”. Ora se questi sono i valori portati avanti dai sufi, a prescindere anche dalla realtà mistica, ma limitandoci a quella pratica, non ci si può stupire della loro poca “visibilità”.


D'altra parte, i sufi hanno questo detto: “Nel mondo, ma non del mondo. Nulla possedendo e da nulla essendo posseduti”. Cioè viviamo del nostro lavoro, appunto su questa Terra, ma non ci lasciamo abbindolare dai suoi falsi orpelli. E la frase che viene subito dopo suona così: “Il cattivo sufi è il sufi che va dai potenti; il buon potente è il potente che va dai sufi”. Quindi non accettiamo un potere terreno, soprattutto quando questo prevarica. E, di conseguenza, non sono i sufi a volersi nascondere, vengono piuttosto obbligati a farlo. Questo per quanto riguarda l'aspetto politico. Poi c'è quello culturale. Laddove vige l'ignoranza, è chiaro che la ricerca di cultura, di amore per il prossimo e di insegnare al prossimo una cultura, non può essere apprezzata. Questo, i sufi l'hanno sempre fatto: sono coloro che hanno fondato le prime Università al mondo.


Infine, una realtà spirituale è la seguente. Vi sono dei religiosi nell'islam che impongono un dogma che è soltanto una scorza esterna, senza alcun valore; è come una noce di cocco vuota: più è agitata e più fa rumore. Costoro chiedono un'osservanza esterna delle regole e dei riti, senza alcun contenuto e alcun afflato spirituale. Per cui non vogliono che le loro pecore acquistino una conoscenza dei valori di queste regole. Così essi conservano il potere.


Ora i sufi sono esattamente il contrario: vogliono arrivare a penetrare i valori; quasi quasi delle regole esterne, se sono fine a se stesse, non se ne fanno nulla. Loro vogliono arrivare il più possibile vicino alla comprensione di Dio; e, quindi, ad un'individualità e una libertà, perché la conoscenza di Dio è assolutamente individuale. Non la si può nemmeno trasmettere.


Quale messaggio di pace portano al mondo i sufi? Che tipo di apporto specifico possono dare? Mi può fare qualche esempio in contesti specifici di guerra contemporanea?


Anzitutto siccome il sufi è un uomo di Dio, un religioso, per i sufi in generale uccidere è proibito. Un sufi non può essere un combattente, perché qualsiasi combattente prima o poi è portato a uccidere. Quindi è contrario alla guerra. D'altra parte loro seguono in questo il detto corretto del Corano. Quando il Corano dice: “Ti è vietato uccidere anima alcuna, perché Dio ha reso sacra la vita”, questo è un comandamento che va osservato.


La guerra è autorizzata solo nei casi di legittima difesa. Perché se qualcuno vuole uccidere me e io lo lascio fare, divento complice in questo omicidio. Quindi quando una guerra è portata al prossimo, è un atto di prevaricazione; quando invece ci si difende, il Corano dice: “Dio aiuta i deboli, quando genti malvage e prepotenti vi attaccano, perché altrimenti le abbazie, le chiese, le sinagoghe – luoghi in cui molto si prega Dio – verrebbero distrutte. E Dio è con tutti coloro che molto lo pregano”.


Secondo il Corano, dunque, non si uccide e non ci si uccide. Il secondo peccato grave per l'Islam (il primo è adorare più il denaro e il potere di Dio) è il suicidio. Chiunque lo commette, va all'inferno. E meno che mai è possibile uccidersi uccidendo gli altri. È indubbio allora che il moderno kamikaze non è da considerarsi un martire, e non andrà mai in paradiso. Questo è il verbo del Corano, come i sufi vogliono che sia correttamente letto.


Come prima cosa i sufi amano la cultura, l'arte. Essi privilegiano questo detto del Profeta: “Certo, Dio è bello e ama la bellezza”. Di conseguenza, cercano di fare bellezza. Dunque se Lei tocca un pittore, un architetto, un calligrafo, un poeta del mondo islamico, sicuramente tocca un sufi. I più grandi furono tutti sufi. L'arte è un privilegio che ci porta più vicino a Dio.


Pensi a come la rarefazione della musica ci fa sentire l'afflato divino. Se la religione “predica” la pace, l'arte “è” la pace. Tanto è vero che il più grande nemico dell'arte, è la guerra che distrugge le opere d'arte. Per cui i sufi, essendo amanti dell'arte o addirittura creatori di opere d'arte, con questo stesso fatto sono contrari alla guerra e lo dichiarano apertamente.


Gilles Kepel, nel suo ultimo libro, Fitna , parla di una lotta che sarebbe in corso all'interno dell'Islam fra la corrente dei mistici e l'ala dura. Lei è d'accordo?


Concordo nello specifico, che questo è in atto da sempre. E non solo nell'islam, ma in tutte le culture e le religioni della Terra. Non dimentichiamo che il mondo è nato con Caino e Abele: erano fratelli, ma uno ha ucciso l'altro. E questo è il simbolo dell'umanità. C'è sempre un'umanità che vive nella luce, e un'altra che vive nel buio.


Questa cerca – e cercherà sempre – di prevaricare sul bene.


Quale dialogo inter-religioso esiste fra i mistici sufi e le correnti mistiche ad esempio del cristianesimo?


Abbiamo l'immagine di un cerchio. Se Lei pone la punta di un compasso al centro e poi traccia con l'altro il perimetro. Lungo quest'ultimo si dispongono tutte le varie religioni: i cristiani, gli ebrei, i buddisti, i musulmani, ecc. Ora i mistici sono coloro che dal cerchio cercano di arrivare a Dio, cioè al punto centrale. Se sono sul cerchio sono lontani fra di loro; più si avvicinano al centro, più si avvicinano fra di loro. Finché, arrivati al centro, sono tutti uguali. I mistici pensano Dio, vivono Dio, e Dio è uno per tutti, per tutta l'umanità e universo mondo. Quindi, quando un mistico si perde in Dio, non è più né bianco né nero, né cristiano né musulmano. Voi, ad esempio, avete s. Teresa d'Avila. Noi abbiamo Rabbi'a, la donna mistica più importante. Se lei interscambia i nomi, i loro testi sono molto simili. Tanto è vero che, nelle nostre riunioni, leggiamo anche mistici ebraici, cristiani, ecc. Come modello uno per tutti, Jalâl âlDîn Rûmî (il san Francesco dei Sufi, 1207-1273). Egli scrisse: “Le vie sono diverse, la meta è unica. Non sai che molte vie conducono a una sola meta? La meta non appartiene né alla miscredenza né alla fede; là non sussiste contraddizione alcuna. Quando la gente vi giunge, le dispute e le controversie che sorsero durante il cammino si appianano; e chi si diceva l'un l'altro durante la strada ‘tu sei un empio' dimentica allora il litigio, poiché la meta è unica”. È Dio.


Lei ha un sogno ricorrente?


No.


E per i suoi nipoti c'è qualcosa che desidera in particolare?


No. Non sogno, perché è già la mia vita stessa un sogno. Vivo cercando di ragionare su questo mistero, che è Dio. Nel Corano sta scritto: “Dio dice: né i cieli né la terra mi contengono; mi contiene il cuore del mio fedele”. Di conseguenza è col cuore che io lo sento, non certamente con la mente. Per cui coltivo il mio cuore e, in un certo senso, questo mi fa vivere in un sogno. Quindi tutta la mia vita è dedicata a Dio. È il più bel sogno che possa sognare, dunque lo vivo. E non vado in cerca di altri desideri che questo.


Alessandra Garusi


 


http://www.saveriani.bs.it/missioneoggi/arretrati/2005_04/islam.htm


 




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