L'AUTOBIOGRAFIA IN EDUCAZIONE - DAL RACCONTO AUTOBIOGRAFICO AL METODO AUTOBIOGRAFICO
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DAL RACCONTO AUTOBIOGRAFICO…

Il racconto autobiografico è da sempre presente nella storia dell’umanità: fin dall’antichità l’uomo ha avvertito il bisogno di fissare la propria esperienza, non solo nel tentativo di vincere la caducità della sua esistenza, ma anche per riflettere sul proprio vissuto, comprenderne il senso ed acquisire nuovo slancio vitale. Non solo coloro che hanno dato alla scrittura di sé una forma artistica di riconosciuto valore, ma chiunque abbia provato a tenere un diario, magari in un momento particolare della propria vita, ha sperimentato un sentimento di quiete, di ordine interiore e si è convinto, se non proprio del potere curativo dell’autobiografia, almeno della sua utilità o del piacere che porta.

…AL METODO AUTOBIOGRAFICO

Attualmente l’autobiografia conosce un nuovo successo, dovuto ad una maggiore elaborazione teorica e tecnico – procedurale e alla sua diffusione sia nel lavoro sociale che educativo, senza esclusione di ambiti e di destinatari. La scuola, i servizi di comunità e di animazione, l’educazione di strada, le iniziative per la prevenzione e, inoltre, bambini, adolescenti, adulti e anziani (nelle loro differenze di genere o etniche) sono oggi rispettivamente i luoghi e i protagonisti di quello che è diventato un vero e proprio metodo, non più affidato, come qualche anno fa, esclusivamente al trattamento clinico e terapeutico.
Diverse scuole regionali, diplomi universitari e corsi di laurea utilizzano il metodo autobiografico sia per formare i futuri professionisti dell’educazione, sia come contenuto disciplinare poi trasferibile nel lavoro sociale.
Nel 1998, ad opera di S. Tutino con la direzione scientifica di D. Demetrio, è stata fondata ad Anghiari (AR) la Libera Università dell’Autobiografia, dove, oltre ad approfondire lo studio di questo metodo, si tengono corsi, seminari, laboratori e soprattutto una "scuola biennale" di formazione. 

L’autobiografia in educazione

Da sempre le autobiografie sono una parte importante degli studi sull’educazione: memoriali, diari, resoconti delle più varie esperienze educative sono una fonte storiografica straordinaria ai fini della ricostruzione di climi, contesti, vicende, situazioni, scelte pedagogiche. Anche i "romanzi di formazione" di chi si è cimentato nel mestiere di educatore, o di chi ha ricostruito in tal modo il senso delle sue vicende, delle peripezie affettive, delle avventure conoscitive sono riconducibili a questo ambito.
Nella prospettiva delineata dagli studi più recenti, l’autobiografia viene considerata un vero e proprio metodo educativo, capace di portare concreti risultati in termini di recupero, cambiamento e nuova progettualità.

I fondamenti teorici

L’ utilità e l’importanza dell’uso del metodo autobiografico nelle pratiche educative, sono oggi motivate da Duccio Demetrio con le seguenti ragioni:

l’ammissione, da parte delle scienze fondate sui metodi quantitativi, che anche l’individuale, il soggettivo, il punto di vista differente, deve trovare posto e riconoscimento. Le diversità, i casi non riconducibili a parametri, a tipi umani o a comportamenti sociali preventivamente catalogati, rappresentano un incentivo utile per la continua revisione di premesse e stili cognitivi. 
per l’attenzione a come l’individuo, raccontandosi, costruisce l’immagine di se stesso, degli altri, del mondo che vive, attraverso procedimenti cognitivi ed emotivi che ci dicono molto più di quanto il narratore esponga. 
per l’originalità pedagogica della situazione con cui si racconta di sé non saltuariamente, ma con regolarità e con l’assistenza di un ascoltatore discreto ed attento. Il racconto si fa dialogo fra chi ascolta e pone nuovi interrogativi e il narratore stimolato ad esplorare dentro di sé. 



Gli effetti

Gli effetti dell’applicazione delle pratiche narrative in educazione/formazione, secondo Duccio Demetrio, sono:
effetto di eterostima presente nel momento relazionale dell’incontro tra chi è protagonista di una vicenda e qualcuno che si mostri interessato ad essa: il narratore si sente confermato e riconosciuto dalla disponibilità di uno sguardo, da parole incoraggianti, dal tempo offerto. Anche cronologicamente, questo è il primo risultato che ci si prefigge di raggiungere. 
effetto di autostima durante il processo narrativo, che dimostra a chi parla o scrive che sa narrare e che gli vengono offerte occasioni per esprimersi meglio: il narratore viene aiutato a ritrovare la sua soggettività attraverso la riscoperta della propria storia di vita, nel piacere di sentirsi autorizzati a ritrovare la dignità dell’uso della prima persona. Con questo lavoro ci si prefigge, cioè, di far riguadagnare un narcisismo primario disperso o mai nato. 
effetto di esostima al termine degli incontri, quando al narratore vengono riproposte le sue storie, affinché, da solo o ancora con un’assistenza, possa precisare ed arricchire quanto detto attraverso altri linguaggi (grafici, visuali, fotografici): l’autobiografo si riconosce attraverso quanto realizza e produce. 



L’educatore autobiografo

Il lavoro con gli altri attraverso la ricostruzione della loro storia narrata mediante le più diverse forme comunicative (il racconto orale o scritto, il disegno, il mimo, la recitazione, l’autovideonarrazione ) implica, però, in primo luogo un’autoformazione da parte dell’educatore o formatore. Comporta cioè la preventiva applicazione su di sé delle pratiche e delle tecniche che, poi, si adotteranno con i soggetti con i quali si lavorerà, dal momento che la raccolta delle storie di vita altrui ed i procedimenti di analisi relativi producono effetti personali in chi studia tali racconti e invogliano ad interrogarsi sulla propria vicenda esistenziale. 
L’educatore che lavora con il metodo autobiografico incontra spesso la difficoltà di porre le necessarie distanze tra la sua vita e il racconto di coloro che aiuta, spesso a scapito di un sano equilibrio relazionale. Diventa quindi essenziale lo scambio e il contatto con i colleghi, per evitare "scivolamenti empatici (l’identificazione con le situazioni raccontate o con il narratore) o retropatici (l’identificazione con gli eventi di una storia pregressa che gli evocano momenti critici della propria)"1 . Inoltre, parlare delle storie di vita con cui si lavora insieme ai colleghi, oltre a portare un sollievo dalla fatica del parlare – ascoltare – pensare, è utile per una più obiettiva ricostruzione e analisi dei racconti autobiografici.


Il problema dell’obiettività


La ricerca basata su metodi quantitativi ha sempre criticato e messo in dubbio la validità dell’uso scientifico dei racconti autobiografici. La ricerca qualitativa, invece, afferma l’importanza dell’esperienza individuale, la quale suggerisce alllo studioso nuovi interrogativi e lo induce alla revisione dei processi.
Il maggiore punto di disaccordo fra i due indirizzi di ricerca è, per quanto riguarda il metodo autobiografico, il problema dell’aderenza della narrazione alla realtà. A questo proposito, vanno fatte alcune riflessioni sul pensiero narrativo.
La mente umana è dotata di una particolare forma di ragionamento, detto pensiero narrativo, che trasforma continuamente ciò che si vive in termini di racconto. Questa strategia di pensiero è utile per l’interpretazione della realtà, per la costruzione del concetto di sé e dell’identità. Essa compare dopo il secondo anno di vita (la sua presenza viene segnalata dai monologhi che il bambino comincia a produrre) e viene continuamente rinforzata e rinnovata per tutta la vita attraverso i racconti autoreferenziali ed autobiografici.
Un elemento fondamentale del pensiero narrativo è la coerenza, che porta il narratore di sé a trarre il proprio racconto dall’insieme caotico dei ricordi, disponendo le singole esperienze secondo un filo logico e dotato di significato.
La memoria, inoltre, è un processo dinamico e implica una reinterpretazione continua del passato, che viene aggiornato e arricchito di nuovi particolari alimentati dal vissuto quotidiano, che agisce retroattivamente modificando i ricordi. L’autobiografo ricostruisce dunque la propria esistenza attraverso una "rivisitazione creativa che trasforma i fatti in artefatti"1. L’educatore, nell’adottare questo metodo, sa già in partenza che nella narrazione autobiografica non c’è obiettività, ma il suo interesse è rivolto soprattutto alle modalità del racconto e ai significati attribuiti dal narratore al proprio vissuto.



La scrittura e la lettura dell’autobiografia


La parola, i pensieri e i sentimenti vengono continuamente rielaborati dalla mente umana. Questo processo naturale rende irrecuperabili le singole tappe della vita di una persona nella loro forma originaria, con le intuizioni, i sentimenti e le sensazioni che le hanno accompagnate. Quando, invece, il racconto di sé viene trascritto dal narratore o, nel caso in cui questo non sia possibile, da un educatore, si ha a disposizione un testo che si mantiene intatto nel tempo.
Come segnala Duccio Demetrio, la scrittura offre un duplice livello di riflessione:



  • costringe il narratore ad attuare un processo di rielaborazione, necessario a trasformare in forma scritta le proprie riflessioni. Lo sforzo di trascrizione rende maggiore e più acuta la capacità di analisi interiore e la consapevolezza di sé.
  • attraverso la lettura, è possibile un ulteriore approfondimento del contenuto del testo.

L’educatore deve pertanto valorizzare la capacità di scrittura, sollecitare alla costanza nell’esercizio della narrazione e trascrivere, quando l’autore non possa farlo in prima persona, ma sempre in collaborazione con questo, le storie che gli vengono affidate. Questo lavoro deve essere rivolto soprattutto alle domande capaci di produrre sintesi nella persona che si ha davanti ("Qual è la tua storia? Che cosa ti sta accadendo e stai dicendo? Che progetti hai?"1) e alle esperienze fondamentali della vita di ogni uomo: l’amore, il lavoro, l’ozio, il lutto.
Nella lettura e nell’analisi delle autobiografie, l’educatore può avvalersi di queste categorie1:



  • i biografemi: sono gli eventi fondamentali, considerati come punto di riferimento all’interno della propria vita, momenti importanti, svolte, tappe del proprio cammino;
  • i biosemantemi: sono le attribuzioni di significato riguardanti ciò che si sta raccontando o ricordando;
  • i bionoemi: le riflessioni del soggetto sull’esperienza evidenziano le idee generali;
  • i biomitemi: sono i miti personali presenti nella vita di ognuno (un personaggio importante, un oggetto, una condizione esistenziale, un evento, un luogo, …);
  • i biotemi: sono le tematiche ricorrenti, veri e propri fili conduttori che percorrono l’esistenza di un individuo e che emergono nel corso della narrazione;
  • i bioiconemi: sono le immagini, le metafore, le figure che il soggetto utilizza per esemplificare il suo pensiero e dare forza al racconto.

"Ogni categoria potrebbe corrispondere ad una equivalente zona critica della storia, ovvero un momento da riproporre al narratore/scrittore con domande che stimolino ulteriori chiarimenti"1.




 





1 Bolzoni A., Demetrio D., Rossetti S., Un manifesto dell'educatore autobiografo, in "Animazione sociale", n. 3 (1999)


http://www.iprase.tn.it/



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