MILANO - Italiani e nomadi, insieme tra i banchi di scuola: fondamentale nel rapporto con allievi e genitori nomadi il ruolo delle mediatrici culturali
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Italiani e nomadi, insieme tra i banchi di scuola


All’esterno prevalgono il grigio e il rosso polvere dei mattoni pieni, i cancelli verdi e l’erba asimmetrica. L’interno è invece lo spazio dei disegni e dei murales, dei piccoli allievi italiani e dei coetanei nomadi rom e sinti, che vivono e studiano quotidianamente insieme, gomito a gomito, in una scuola dell’estrema periferia sud ovest di Milano. Così, mentre il Comune di Roma valuta, tra le polemiche, le richieste di genitori con ansie da promiscuità che vogliono scuolabus separati per i bimbi rom – sono padri e madri del 117esimo circolo didattico, nella cintura periferica che si snoda tra Centocelle, Prenestino, Quarticciolo e La Rustica – l’Istituto Statale Comprensivo Bruno Munari, quartiere Olmi, presenta già nella scelta del nome una risposta colorata di integrazione. 


Tre gli ordini di scuola che ne compongono la struttura –scuola dell’infanzia, scuola primaria e scuola secondaria di primo grado- tre anche gli edifici: al centro del quartiere, posti su una grande piazza dal cui pavimento sgorgano getti d’acqua, i plessi “Cesare Correnti”  e “Fratelli Cervi; sede staccata, invece, il plesso “Niccolò Tommaseo” di via Muggiano, collocato ai confini con il comune di Trezzano. 


“I bambini nomadi si iscrivono alla nostra scuola fin dall’asilo - ci spiega la dirigente dell’Istituto comprensivo, Fiorella Fioretti - e vengono equamente distribuiti nelle sezioni, non più di due per classe, per evitare la creazione di piccoli gruppi autonomi. Inoltre – aggiunge – in questo momento abbiamo un’ambizione alta: guidare gli alunni nel percorso scolastico anche dopo la scuola media, rimanendo un punto di riferimento per loro, una guida e un sostegno, fino al raggiungimento dei sedici anni e all’adempimento dell’obbligo scolastico”. La Bruno Munari accoglie quest’anno più di cinquanta allievi nomadi: 13 frequentano la scuola dell’infanzia, 23 la scuola primaria e 15 la scuola secondaria di primo grado. Gli esami di licenza saranno sostenuti per la prima volta da ben quattro ragazzi: l’obiettivo era stato raggiunto già due anni fa, ma con un solo allievo; uno solo anche l’anno scorso. 


Il problema principale di chi ospita tra i banchi alunni nomadi è garantire la loro presenza, trovare il metodo per averli a scuola. “A volte si ricorre ai vigili, quando le assenze sono troppe. Ma se dopo una perlustrazione delle autorità i ragazzi non vengono trovati nel campo e nessuno degli abitanti del luogo fornisce indicazioni utili a rintracciarli, non è possibile intervenire in nessun modo. Semplicemente spariscono”.


Perciò è fondamentale nel rapporto con allievi e genitori nomadi il ruolo delle mediatrici culturali. “Nel nostro Istituto ce ne sono due: sono mamme di allievi rom che hanno ricevuto una formazione adeguata per fungere da tramite. Il Ufficio scolastico provinciale di Milano (l’ex provveditorato agli studi) da tempo ha istituito un tavolo di lavoro insieme ad alcuni dirigenti di Istituti con alta presenza di alunni nomadi  per monitorare le iscrizioni e la frequenza. La stessa Regione Lombardia finanzia i progetti di formazione di mediatori culturali”.


Ma le difficoltà del contesto rimangono notevoli. Il quartiere Olmi, che nel maggio dello scorso anno ha festeggiato  i suoi  primi quarant’anni di vita, ha una struttura sociologica composita: tante le famiglie problematiche, anche dal punto di vista economico e quelle con una o entrambi i membri coinvolti in procedimenti penali. Sono presenti numerosi anziani, ma sono molte anche le coppie giovani, la cui vita lavorativa e culturale si svolge in luoghi altri rispetto al quartiere. Economicamente e culturalmente, quindi, l’utenza è variegata: alle numerose famiglie in difficoltà si affiancano famiglie con condizioni economiche soddisfacenti e famiglie con un buon livello economico e culturale. In questo contesto, poco lontano dalla scuola, è presente un insediamento comunale di nomadi rom e sinti piuttosto degradato da un punto di vista strutturale, con scarsi servizi igienici, che però riconosce il ruolo delle due mediatrici. Ci sono, invece,  altri sei terreni acquistati nel tempo da altre famiglie rom, che hanno allestito lì le proprie case: “in queste realtà private, non comunali – prosegue la dirigente - non si riesce ad intervenire e non si conosce neanche il numero dei ragazzi in età scolare”.


Un quartiere composito, quindi, ricco anche di immigrati, dove nel corso degli anni gli episodi di razzismo da parte dei milanesi si possono contare sulla punta delle dita. Qui integrazione e multiculturalità non sono un’utopia. “Contrariamente a ciò che si potrebbe credere – racconta la dirigente - la resistenza più forte arriva dai genitori nomadi che sono molto protettivi nei riguardi dei loro figli e hanno molta paura di consentire loro la piena adesione a tutte le attività scolastiche. Temono in particolare le uscite didattiche. Una volta sola – conclude - un genitore mi ha detto di aver paura dei nomadi e mi ha chiesto di poter inserire suo figlio in una classe senza rom. Io ho fatto vedere una foto di gruppo e ho chiesto alla signora di indicarmi quale fosse, secondo lei, il bambino rom. Ne ha indicato uno. Era milanese”.  


 



Maria Gallelli


http://www.ifgonline.it/pub/144/show.jsp?id=2655&iso=1&is=144



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