Per affermare le proprie ragioni il boicottaggio culturale è sterile - Ester Fano
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Per affermare le proprie ragioni
il boicottaggio culturale è sterile

Ester Fano


È stata annunciata la presenza dello stato di Israele come ospite d'onore - in coincidenza col sessantesimo anniversario della sua indipendenza, proclamata nel 1948 - alla prossima Fiera del Libro di Torino.


È normale che l'immagine di una nazione, rappresentata da uno stato e esibita in una Fiera, sia condizionata se non determinata dai finanziamenti e dagli orientamenti politici del governo in carica. Se l'annunciato progetto si affermerà, i begli edifici moderni di Tel Aviv, i parchi e i musei, le istituzioni di ricerca, la produzione culturale e artistica israeliana: tutto ciò di cui i governanti in carica vorranno fare vanto sarà esibito suscitando ammirati consensi da parte di numerose persone; ma tutte le comunità palestinesi, una buona fetta del pubblico italiano e europeo, e anche del pubblico israeliano, in visita o no a Torino, richiamerà invece l'attenzione sulla violenza dell'esercito israeliano a Gerusalemme, a Gaza e in tutti i territori occupati dopo il 1967; sui divieti di circolazione e sulle vessazioni che la cittadinanza palestinese deve subire ai check-point; sulla prigione a cielo aperto che Gaza è diventata. Il muro di divisione appena eretto ha arbitrariamente sequestrato pezzi vitali di terra intorno ai villaggi e alle case che esso esclude; ha isolato in mille «Bantustan» frammenti non autosufficienti di territorio palestinese, condannandone gli abitanti allo strangolamento economico. È in corso, tutt'altro che in via di sospensione malgrado le sortite verbali di segno opposto da parte di Bush e Olmert, la costruzione di insediamenti israeliani che manu militari e sempre fuori di ogni legalità sequestrano le terre e le acque dei palestinesi frantumandone il territorio. Tutte iniziative di pura forza che tra l'altro documentano la crescita, nell'illegalità, del potere militare all'interno di Israele.

 


Ormai la gravità della situazione a Gaza e in tutti i territori occupati impone un blocco delle violenze che faccia capo a soggetti esterni ai contendenti, per varie ma convergenti ragioni:


1. perché la sospensione immediata dell'embargo ai valichi della striscia di Gaza, sembra l'unica soluzione a una crisi umanitaria che ha raggiunto livelli intollerabili di danno alla popolazione civile.


2. Perché se ciò avvenisse potrebbe essere fermata la spirale di odio e violenza vendicatrice che a un attacco subito risponde con un altro attacco inferto alla popolazione nemica, ma sempre colpendo nel mucchio. Ne fa le spese la popolazione civile di ambo le parti. Cresce l'odio e il desiderio di vendetta delle singole persone e dell'insieme di ognuna delle due popolazioni. Al momento la risposta all'assedio di Gaza si esprime con gli esecrabili e controproducenti lanci di razzi Qassam da parte di estremisti palestinesi sui civili israeliani, in risposta a cui seguono altre più gravi spedizioni punitive dell'esercito israeliano che, per colpire sempre più «obbiettivi mirati» fanno sempre più vittime fra la popolazione inerme. Così l'eventuale vittoria sarà soltanto determinata dai rispettivi rapporti di forza, più o meno sbilanciati a seconda dell'aiuto che ognuno dei contendenti può ottenere dall'esterno - con esiti potenzialmente catastrofici anche per gli equilibri mondiali.


3. Ciò detto, bisogna rendersi conto che il conflitto israelo-palestinese riflette in termini accentuati i tratti di una situazione mondiale di conflitti per il controllo di determinate risorse e regioni; all'obbligo di alleanza, o alla minaccia di annientamento, da parte della potenza mondiale al momento più aggressiva: che produce, vende e impiega armi, fomenta scontri interetnici, inventa guerre.


4. La consapevolezza di questi nessi impone un esame dei precedenti degli scontri in corso: le ambigue politiche della Gran Bretagna, massima potenza imperiale nella prima metà del Novecento, che promosse e protesse sia l'indipendenza (nella propria orbita) di vari stati arabi, sia gli insediamenti sionisti in Palestina, particolarmente dopo la Prima Guerra Mondiale.


5. Con la fine della Seconda Guerra Mondiale, nel 1948 fu riconosciuto da tutte le massime potenze lo stato d'Israele ignorando il problema dell'espulsione dei profughi palestinesi dalle loro terre. Gli sviluppi successivi del conflitto sono noti.


6. È pesata, su ambedue i contendenti del conflitto in corso, nel 1948, e in tutte le guerre successive, la scia di grandissime sofferenze: per gli ebrei, con la fuga prima dai pogrom dell'Europa orientale, e poi con la Shoah nella viva testimonianza dei sopravvissuti; per i palestinesi con i lutti, il dolore, l'espulsione e la perdita della terra e delle case.


Rievocare l'una o l'altra tragedia causa a ognuno angoscia e sgomento: le ragioni di ognuno sembrano intoccabili e vanno riconosciute, ma resta il dovere di non dar ragione a uno dei due soltanto. È comprensibile la minaccia di un boicottaggio di tutte le attività della Fiera da parte di ogni rappresentanza dei palestinesi e di chi intende manifestare loro un appoggio pieno. L'ipotesi di un boicottaggio nel campo delle attività culturali, tuttavia, è sterile: azzera la figura dell'antagonista, ma così rinuncia a ridimensionarlo criticamente; implicitamente decreta che solo la critica (lo scontro) delle armi, tra le due inconciliabili forze materiali, sia legittimo e possibile.


La Fiera del Libro è un forum di conoscenza e confronto tra produzioni di carta stampata; tra i loro rispettivi contenuti; perché farne invece soltanto una sfilata, un concorso di bellezza tra le produzioni letterarie di singole nazioni? Nell'attuale situazione mondiale, quanti paesi possono mettere in mostra una loro cultura unitaria, una comune narrazione della loro storia, senza collidere con quella di qualche minoranza, qualche etnia al loro interno, non ufficialmente riconosciuta? Ben pochi. Più giusto e più utile sarebbe fare appello a tutti gli scrittori e storici israeliani fortemente critici delle azioni del loro governo, e più in generale a tutti i testimoni della nuova comune cultura politica internazionalista e pacifista, che pervade tutte le iniziative di solidarietà ai palestinesi, per mettere da parte la forma-nazione come costitutiva delle identità della Fiera. Si può chiedere alle non poche case editrici che hanno pubblicato libri sul conflitto israelo-palestinese di organizzare intorno a essi un certo numero di dibattiti e seminari all'interno della Fiera. Il tema da trattare sarebbe svolto da tutti gli studiosi che hanno studiato la doppia valenza, i divergenti binari della situazione sancita dalla vittoria israeliana del 1948: «patria e indipendenza» per gli israeliani, Nakhba (cioè catastrofe) per i palestinesi.


Chiediamo che questi siano i criteri da seguire nell'allestimento della Fiera del Libro del 2008.


* docente università La Sapienza Roma

 

il manifesto del 30 Gennaio 2008

 


 


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