La diversa appartenenza culturale può influire sull'apprendimento di una seconda lingua?
di Lucia Maddii - IRRE Toscana
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La diversa appartenenza culturale può influire sull'apprendimento di una seconda lingua?



Lucia Maddii - IRRE Toscana


In questo contributo, articolato in domande chiave, saranno analizzati gli aspetti linguistici ed extralinguistici della competenza comunicativa e i problemi della comunicazione interculturale. Vorrei dimostrare che per favorire l'apprendimento di una L2 occorre tener presente, nella didattica della lingua, anche la variabile culturale, poiché essa può avere una grossa influenza sul processo acquisizionale.


Dopo aver dato una definizione di lingua e di competenza comunicativa, mostrerò, rifacendomi ai lavori del prof. Balboni e dei suoi collaboratori dell'Università "Ca' Foscari" di Venezia, come la diversa appartenenza culturale può causare incomprensioni nella comunicazione e veri e propri "incidenti interculturali". Poiché, come sostiene Krashen, i filtri emotivi influenzano la qualità, la quantità e i tempi dell'apprendimento, trovarsi in situazioni di disagio o di vera e propria "dissonanza cognitiva" può causare rallentamenti e blocchi nell'apprendimento di una L2. In conclusione cercherò di dare alcuni spunti di lavoro che saranno poi sviluppati in successivi contributi.



  1. Che cos'è la lingua ?
  2. Che cos'è competenza comunicativa?
  3. Che cosa significa apprendere una seconda lingua?
  4. Quali sono i problemi di comunicazione legati ai linguaggi non verbali?
  5. Quali sono i problemi di comunicazione interculturale legati alla lingua?
  6. Quali sono i problemi di comunicazione legati a concezioni e valori non condivisi dai parlanti?
  7. Come influisce la cultura sull’apprendimento?
  8. Che cos'è la dissonanza cognitiva?
  9. Quali strategie didattiche potrebbero essere adottate per favorire il superamento dei problemi di comunicazione interculturale?


1. Che cos'è la lingua ?


 


La lingua è generalmente definita come strumento di comunicazione e di espressione del pensiero, ma la lingua è anche strumento di costruzione e trasmissione di una cultura. Essa è


è un oggetto multifunzionale (perché serve non solo per dire, rappresentare, ma anche per "agire")


multistratificato ( perché in essa il piano cognitivo, affettivo, sociale ,contestuale si intrecciano strettamente)


multicanale poiché si serve di molteplici canali: gestualità, mimica, prossemica, prosodica, vestemica (cioè i vestiti che si indossano) che concorrono alla costruzione del significato di un messaggio.


2- Che cos'è la competenza comunicativa ?


Balboni, dell'Università "Cà Foscari" di Venezia, definisce la competenza comunicativa come


lo spazio interno ad una piramide a tre facce costituite da


saper fare lingua (comprendere, leggere, scrivere, monologare, dialogare, tradurre)


saper fare con la lingua (che include la dimensione sociale, pragmatica, culturale)


sapere i linguaggi verbali e non verbali che comprende la competenza linguistica (morfosintattica, testuale, fonologica, paralinguistica) e la competenza extralinguistica (cinesica, prossemica vestemica e oggettemica, cioè gli oggetti che si portano e si regalano)


La comunicazione si realizza in eventi che si verificano in un contesto situazionale.


Secondo Balboni, la situazione comunicativa può essere definita secondo alcune variabili:



  • il luogo nel quale si svolge la comunicazione, che può essere distinto in setting fisico e scena culturale. "La caratteristica qualificante della comunicazione interculturale è quella di avvenire tra persone che vengono da scene diverse e che, indipendentemente dal setting fisico in cui si trovano, conservano le regole e i valori del luogo culturale dal quale provengono" (Balboni, 1999, pag 26);
  • il tempo, il cui concetto, come sappiamo, varia da cultura a cultura;
  • l'argomento, che può sembrare condiviso dagli interlocutori, ma occorre ricordare che i valori sottostanti possono non essere gli stessi (e quindi si possono verificare fraintendimenti)
  • il ruolo dei partecipanti, che viene attribuito e mantenuto diversamente nelle varie culture.

In un evento comunicativo esiste poi


- un testo linguistico;


- dei messaggi extralinguistici (mimica, tono della voce, gestualità..);


- degli scopi dichiarati e non, con delle regole ben definite in ogni cultura per esplicitarli, regole che variano in base allo status, alla gerarchia, al sesso delle persone coinvolte nella conversazione;


- degli atteggiamenti psicologici verso la cultura, l'istituzione, il gruppo o il sesso al quale appartiene l'interlocutore (atteggiamenti che emergono soprattutto nei messaggi extralinguistici);



  • una grammatica contestuale che prevede, oltre al luogo, tempo, argomento, ruolo, una sequenza prevista per un dato evento, che può essere più o meno ritualizzata e rigida.

3- Che cosa significa apprendere una seconda lingua?


Tenendo presente quanto detto sopra, acquisire una seconda lingua significa dunque sviluppare la competenza morfosintattica, la competenza fonologica, la competenza testuale, ma anche la competenza pragmatica la competenza sociolinguistica e la competenza culturale.


Nella comunicazione interetnica è il sistema del discorso che produce le maggiori difficoltà (il modo con cui le idee sono collegate fra loro, il modo con cui sono messe in evidenza, il modo con cui sono trasmesse informazioni di tipo emotivo). Il problema principale dunque non è capire cosa sta dicendo, ma perché lo sta dicendo. Le informazioni sul perché non sono segnalate allo stesso modo dai parlanti che appartengono a culture diverse. Le differenze provocano non solo fraintendimenti, ma anche formazione di stereotipi e tensione fra i gruppi e fra i singoli parlanti.


4- Quali sono i problemi di comunicazione legati ai linguaggi non verbali?


Noi siamo più visti che ascoltati, dice Balboni: il 70/80 % delle informazioni giunge dall'occhio e solo il 10/15% proviene dall'orecchio. Nella comprensione di un messaggio (e nella comunicazione), il linguaggio non verbale, dunque, gioca un ruolo molto importante. Vediamo i problemi che possono sorgere nella comunicazione interculturale.



sorriso: è universalmente utilizzato per comunicare messaggi positivi, ma nella cultura asiatica è utilizzato anche in situazioni nelle quali la persona si sente in imbarazzo (invece di dissentire o rispondere no, spesso gli asiatici si limitano a sorridere e a stare in silenzio, situazione che un occidentale interpreta sicuramente come assenso).


sguardo: esiste tutta una complessa codifica sul tempo , sulla direzione dello sguardo che varia dal contesto , dalla gerarchia, dalla confidenza, dal sesso degli interlocutori e queste regole variano da cultura a cultura. E' noto l'incidente classico fra l'insegnante italiano e l'allievo cinese, che rimproverato, tiene gli occhi fissi a terra. Questo atteggiamento viene interpretato dal docente come segno di falsità, o comunque di poco pentimento da parte dell'allievo e quindi l'insegnante richiama ulteriormente il ragazzo dicendogli "Guardami negli occhi mentre ti parlo!". Per l'alunno cinese tenere gli occhi bassi era invece segno di rispetto nei confronti dell'insegnante.


Pensiamo poi a quanto varia nelle culture il tempo concesso allo scambio di sguardi fra due persone di sesso opposto, prima che venga scambiato come proposta erotica….


espressione del viso: le espressioni sono abbastanza universali, ma varia molto la quantità e il controllo intenzionale sulle espressioni stesse. Nell'area del Mediterraneo si lascia che le emozioni e i sentimenti emergano abbastanza liberamente attraverso la mimica facciale (un discorso a parte andrebbe fatto per l'uomo che non deve lasciar trasparire la propria "debolezza"). In altre zone del mondo, soprattutto in Asia, si chiede invece un certo controllo sulla propria espressività: questo controllo dà a noi mediterranei la sensazione che gli asiatici siano imperscrutabili, o che comunque, provino i sentimenti con minore intensità rispetto a noi, cosa che è naturalmente falsa.


braccia e mani: probabilmente le mani, insieme al viso, sono gli strumenti di comunicazione non verbale più utilizzati e maggiormente codificati, sarebbe dunque difficile fare una panoramica dell'estrema variabilità, anche da una regione all'altra dell'Italia. Pensiamo ad esempio a come vengono utilizzate le mani per salutare, dal palmo alzato alla stretta di mano, ai gesti per dire "vieni qui", "cosa vuoi"," vai via" ecc.. Talvolta gesti che hanno un significato positivo in una cultura, come il gesto dell'o.k. americano, risultano offensivi in altre culture.


gambe e piedi: tenere le gambe accavallate con la caviglia appoggiata al ginocchio o levarsi le scarpe può essere segno di rilassatezza in alcune culture e risultare offensivo in altre: far vedere la suola delle scarpe nella cultura araba è molto offensivo, così come per noi italiani è segno di poco rispetto levarsi le scarpe (non nella cultura araba dove è necessario levarsi le scarpe per entrare nella moschea).



odori, rumori e umori corporei: senza entrare nei particolari, c'è una diverso grado di tolleranza verso ciò che esce dal corpo ed è corporeo. Quasi tutte le culture considerano impuro ciò che esce dal corpo, variano però alcune regole: nella cultura occidentale, ad esempio, è permesso soffiarsi il naso, mentre in Giappone, ma anche in Cina è considerato irrispettoso. Mi è capitato più volte di vedere i bambini cinesi che si infilavano sotto un banco o che cercavano di nascondersi in qualche angolino per cercare di tamponare (non soffiare) il naso poiché farlo davanti all'insegnante sarebbe stato maleducato.


Distanza fra i corpi: ognuno di noi ha, in maniera più o meno consapevole, una specie di "bolla" all'interno della quale si sente al sicuro. Quando qualcuno oltrepassa il limite di questa bolla avvertiamo la sua vicinanza come aggressione e ci sentiamo a disagio. Faccio un esempio: più o meno nell'Italia centrale e in molta parte del Mediterraneo riteniamo che la "giusta" distanza da tenere fra due interlocutori, che non siano intimi amici chiaramente, è di circa un braccio. Nel nord Europa percepiscono il limite di questa bolla a circa due braccia di distanza. Nell'Italia del sud e nel mondo arabo, ma anche in altre parti del mondo, la distanza fra i due parlanti può essere invece inferiore ad un braccio e capita spesso di toccare l'interlocutore. Capite bene come sia fonte di estremo disagio la conversazione fra due persone che hanno bolle di dimensioni diverse: chi è abituato a stare a due braccia di distanza percepisce la vicinanza dell'altro come una aggressione personale, mentre il suo interlocutore percepirà il mantenere la distanza fisica come manifestazione di freddezza, di distanza emotiva e di poca partecipazione affettiva.


Oltre a queste regole a carattere molto generale ci sono tutte le norme che regolano il contatto fra le persone dello stesso sesso e del sesso opposto e fra persone più o meno in confidenza.


Infine le regole per baciare chi, come, dove, quando e quanto variano in ogni cultura: in Italia il bacio fra gli uomini è poco diffuso, mentre invece è normalmente utilizzato come saluto nell'area meridionale del Mediterraneo. Il bacio in pubblico (fra uomo e donna, ma anche fra padre e figlio ) è diversamente tollerato e/o ammesso.


vestiario: "l'abito fa il monaco" e il concetto di eleganza, formalità varia fra le culture anche all'interno di quella occidentale.


oggetti di status symbol: gli status symbol variano da cultura a cultura, ma anche da una classe sociale all'altra e da un gruppo all'altro. Gli oggetti, i simboli (stemmini, marchi), le "firme", che denotano benessere e ricchezza, sono valide spesso solo per una cultura, ma risultano irrilevanti per un'altra. Avere il vestito firmato, avere la penna o l'orologio di una determinata marca può comunicare lo status di "ricco" in una cultura, ma certi particolari possono risultare insignificanti per gli altri. Il mostrare la ricchezza, portare pesanti monili in oro o pesanti anelli, può essere interpretato da alcune culture come segno di poca raffinatezza, ma in altre può indicare benessere sociale e anche il proprio titolo di studi (come i grossi anelli da uomo che vengono regalati per la laurea).


oggetti che si offrono: il gesto dell'offrire è sempre segno di rispetto verso l'ospite, così come l'accettare. Variano però le regole sugli oggetti che si offrono e sul modo in cui si deve insistere nell'offrire o schernirsi nell'accettare. In Italia ad esempio si tende molto (tendenza che fortunatamente si sta attenuando) a insistere nell'offrire soprattutto cibi e bevande, cosa che mette in imbarazzo persone provenienti da altre culture (ad esempio anglosassone) abituate a tutt'altre maniere.



regali: il regalo è sicuramente un mezzo per comunicare rispetto, amicizia, affetto, ma possono essere oggetto di incidente interculturale. Ogni cultura ha oggetti che assolutamente non possono essere regalati in determinate occasioni: in Italia, ad esempio, non si regalano crisantemi, e non si portano fiori ad una partoriente (perché risulterebbero di cattivo auspicio, prima che il bambino sia ancora nato). In Germania portare i fiori nel cellophane è offensivo. Anche la regola dello scartare o non scartare i regali di fronte a chi li ha portati varia: in Occidente si scarta il regalo per dimostrare il proprio gradimento, mentre in diversi paesi orientali si ringrazia senza aprire.


5- Quali sono i problemi di comunicazione interculturale legati alla lingua?


Vi sono alcuni aspetti più strettamente linguistici che possono causare incidenti interculturali o incomprensioni


tono e intonazione: in Italia utilizziamo un tono di voce piuttosto alto. Diversi stranieri (soprattutto del nord Europa) mi hanno raccontato che non riuscivano a capire perché i loro interlocutori urlassero: che cosa avevano fatto di male? perché erano arrabbiati con loro? Se aggiungiamo poi il fatto che la distanza fra i corpi è più ristretta, che parlando gesticoliamo, possiamo comprendere il disagio, la sensazione di essere aggrediti dei nostri interlocutori abituati a toni pacati, a gesti controllati e a distanze fisiche maggiori


velocità: parlare con uno straniero rallentando la velocità del parlato è segno di rispetto verso chi è meno competente. Non tutti utilizzano questa accortezza e ciò può far scattare reazioni negative nell'interlocutore.


sovrapposizione di voci: le culture del Mediterraneo normalmente accettano la sovrapposizione delle voci. In una discussione è anzi segno di partecipazione sentita. In altre culture invece si concede un tempo per la riflessione e la risposta. Possiamo dire che in Italia, come in altre culture mediterranee, c'è l'horror vacui per cui i tempi fra una battuta e l'altra sono sempre piuttosto ristretti e la tolleranza del silenzio è bassa (troviamo sempre tutta una serie di frasi fatte, dei riempitivi per non stare in silenzio). I popoli scandinavi, al contrario, sono infastiditi dalla sovrapposizione e chiedono il rispetto rigido dei turni di parola; nelle conversazioni non sono necessari i riempitivi e il silenzio non mette a disagio gli interlocutori.


scelte lessicali: a parte il problema della traducibilità di un termine da una lingua all'altra esistono altri problemi legati alle scelte lessicali, soprattutto quando si hanno scambi culturali in particolare a livello scientifco o tecnico. Si ha cioè lo scontro fra l'esigenza della precisione degli occidentali e la maggiore "tolleranza alla ambiguità" degli orientali


aspetti morfosintattici: escludendo in questo momento il problema delle differenze fra lingue con una morfologia verbale molto ricca (come l'italiano) e lingue non flessive (come il cinese) ci concentriamo momentaneamente sull'uso di alcuni tempi verbali come il futuro e l'imperativo. Senza approfondire il tema delle diverse concezioni di tempo , diciamo che agli interlocutori non occidentali può dar fastidio il modo così sicuro con il quale invece gli occidentali parlano del futuro: si Dios quiere, se Dio vuole, inshallah dicono gli arabi, perché il futuro è nelle mani di Dio: nessuno sa effettivamente che cosa farà domani, ed è pura presunzione poterlo affermare con sicurezza. Scollon e Scollon (1981) riferiscono che una fra le cause dei cattivi rapporti fra gli statunitensi e gli athapaska (nativi del nord America) è ad esempio l'usanza, da parte degli statunitensi, di chiudere la conversazione con "ci vediamo presto" o " ci vediamo domani", frasi che suonano arroganti agli orecchi dell'athapaska, in quanto gli americani trattano il futuro come se fosse in loro possesso( in più parlare del futuro per gli athapaska, può essere di cattivo auspicio). Anche nella lingua italiana, comunque, il tempo futuro non è molto utilizzato, spesso esprime l'incertezza, il forse, mentre per le azioni ancora da svolgere, ma delle quali siamo certi, utilizziamo il presente (prendo il treno alle 7, fra poco vado fuori).


Anche l'utilizzo dell'imperativo è diversamente regolato: in alcune culture è ammessa la richiesta diretta come per gli israeliani, mentre in altre culture la richiesta, l'ordine, viene mitigato fino ad essere quasi del tutto velato come nella cultura giapponese ( si va dal "passami il sale, per favore" a "per favore, puoi passarmi il sale?" a "c'è il sale?")


Interrogativi e negativi: ogni cultura ha codificato regole diverse per dire no e per dissentire: rispondere no ad una richiesta o ad una domanda di un interlocutore, soprattutto se di una certa autorità, è praticamente vietato in alcune culture. Quando l'insegnante chiede al suo alunno cinese "Hai capito?", l'alunno non può che rispondere "Sì" anche se non è vero, perché rispondere "no" sarebbe un'offesa, sarebbe come dire al suo insegnante "non hai spiegato bene". Il "sì" (quando dovrebbe essere un no) delle risposte dei genitori e degli studenti asiatici non è una mancanza di rispetto, una "presa in giro", è semplicemente dovuta al fatto che (ai loro occhi), se noi formuliamo una risposta chiusa, vuol dire che "vogliamo" sentirci rispondere sì, e così fanno per rispetto.


Titoli e appellativi: ogni cultura ha proprie regole per quanto riguarda il mettere in evidenza o meno i titoli professionali della persona (dottore, ingegnere, professore, architetto) così come esiste un diverso utilizzo del "signore" " signora" "signorina". Quello che comunque può causare maggiormente incidenti interculturali è il nome e il cognome delle persone. In Cina non si può chiamare una persona per nome proprio, ma solo per cognome- nome o per cognome preceduto da "signor x" o "signora y". Anche all'interno della famiglia non si usa il nome proprio, ma il grado di parentela: gli stessi coniugi si chiamano con degli appellativi. Può capitare che i bambini non conoscano il nome proprio dei nonni, ma anche degli stessi genitori: gli insegnanti scambiano questo per volontà di nascondere qualche situazione illegale , in realtà, i bambini veramente non conoscono il nome proprio dei loro parenti. Se pensiamo che in cinese c'è un termine specifico per indicare non solo il grado di parentela, ma anche se è di parte materna o paterna e se è più anziano o più giovane, possiamo comprendere come sia possibile questo (ad esempio c'è un termine specifico per indicare la zia materna maggiore o il fratello maggiore o ancora il lo zio paterno minore..).


formale - informale: senza approfondire molto, c'è un diverso uso del registro formale e informale, nelle diverse culture, così come ci sono diverse regole per stabilire chi decide quando si deve passare all'informale e con quali formule. Darsi del tu fra colleghi di lavoro è cosa abbastanza frequente, molto meno utilizzare il tu con il capo….


struttura del testo: è molto importante tener presente che la struttura del testo varia da cultura a cultura. I testi argomentativi in italiano, tedesco, slavo spagnolo vanno da un punto A ad un punto B con tutta una serie di digressioni e potrebbero essere rappresentati graficamente come una linea spezzata; i testi anglosassone e scandinavo vanno dritti al punto e tutte le informazioni accessorie vengono poste in seguito; il testo asiatico e in parte quello arabo vengono strutturati per progressivi avvicinamenti al punto, con un andamento che potrebbe essere definito a spirale. Pensiamo alle difficoltà che i ragazzi, abituati ad una determinata struttura testuale, e quindi ad una diversa disposizione delle informazioni nel testo, incontrano nello studio delle discipline. Probabilmente, in una certa fase dell'apprendimento, i ragazzi tendono a trasferire, nei loro elaborati, la struttura testuale della loro lingua: ai nostri occhi possono apparire confusionari, ripetitivi, in realtà semplicemente scrivono applicando le regole testuali della loro lingua.


6- Quali sono i problemi di comunicazione legati a concezioni e valori non condivisi dai parlanti?


Oltre agli elementi linguistici e non linguistici accennati sopra, ve ne sono altri di carattere più generale che provocano disagio (o dissonanza, come sarà precisato meglio in seguito) nell'apprendimento delle lingue, soprattutto in ambiente scolastico



  • Il contesto sociolinguistico e cioè la predominanza, nella scuola, dello scritto sull’oralità, della razionalità sulla affettività, della Cultura sulla cultura: queste differenze sono fonte di difficoltà non solo per gli studenti provenienti da culture "altre", ma anche da diverse "classi" sociali.


  • Il contenzioso storico , ad esempio, dover apprendere la lingua dei colonizzatori, fattore meno sentito per quanto riguarda l’italiano (anche se può darsi che possa influire sui corsisti provenienti dall’Etiopia o dall’Eritrea) può risultare invece influente nell’apprendimento del francese e dell’inglese.


  • Logica contro sincretismo nella lingua: assenza della concordanza dei tempi, giustapposizione delle idee, poca coordinazione, assenza di congiunzioni che assicurino i legami logici- nella lingua araba o nel turco; approssimazione contro precisione nella cultura orientale.


  • Lo statuto della lingua e dello scritto

Nell’occidente la lingua svolge essenzialmente una funzione pragmatica (la lingua è uno strumento che serve per dire, rappresentare, organizzare il pensiero). Ricordiamo invece, come esempio, che l’arabo è la lingua sacra del Corano. In molte culture africane la parola ha potere, essa è riservata agli anziani mentre ai giovani spetta il silenzio; in queste culture la parola ha valore iniziatico, come rivelazione progressiva della conoscenza; la scrittura per queste culture toglie forza alla parola.


E’ vero comunque che anche nella cultura occidentale la parola ha un valore magico, evocativo e religioso; questo aspetto però resta in secondo piano ed è sempre più ridotto a fasce di utilizzo marginale, viste come facente parte della credulità e della superstizione popolare…



  • La dimensione culturale del tempo (concezione lineare vs. tempo policronico)

Nella lingua la concordanza dei tempi, la coniugazione segue criteri diversi :es. nel turco il grado di certezza di una cosa o azione, nell'uso del perfettivo e dell'imperfettivo, prevale sul tempo; nella lingua degli indiani Hopi i verbi non hanno il tempo, ma indicano la validità di una affermazione, la conoscenza e l’esperienza che il parlante ha avuto di un fatto.



  • La freccia del tempo (ad esempio il tempo musulmano è orientato più verso l’origine che verso il futuro- nella lingua araba le parole davanti e passato hanno la stessa radice QDM)


  • Differenze fondamentali nelle concezioni di famiglia, individuo, ruolo della donna e del bambino, religiosità

7- Come influisce la cultura sull’apprendimento?


Il fattore culturale gioca sia sulla motivazione, sia sull'ansia( ansietà sociale), sia sulla autostima, sia sullo stato emotivo (disagio)


Per quanto riguarda la


Motivazione


avevo già accennato, in un contributo precedente, le differenti forme di motivazione


- motivazione di tipo strumentale: di lungo o di breve periodo (ad esempio la motivazione ad apprendere l'italiano per svolgere la professione di medico è una motivazione strumentale di lungo periodo, mentre apprendere l'italiano per avere un buon voto nel compito è una motivazione a breve periodo)



  • motivazione Integrativa

(ad esempio la motivazione a vivere in Italia, a stringere rapporti di amicizia con gli italiani è una motivazione integrativa)



  • motivazione intrinseca: generale, cioè il piacere di apprendere per apprendere, legata ai testi, legata alla situazione di apprendimento


  • l'identificazione con il gruppo sociale

Per quanto riguarda l'ansia possiamo distinguere



  • una apprensione comunicativa (cioè quella leggera tensione che una persona ha quando deve parlare in pubblico o con persone che non conosce)

dalla



  • ansietà sociale, molto legata alla paura di perdere la faccia e che a livelli alti provoca problemi di apprendimento.

Come possiamo ben immaginare un apprendente che ha un basso livello di autostima, che sa di appartenere a un gruppo con basso status sociale , che proviene da una formazione scolastica tradizionale (o con nessuna scolarizzazione) avrà sicuramente un alto livello di ansietà sociale.


Indipendentemente dalla appartenenza culturale esistono attività più o meno ansiogene


L'ansia è maggiore nell’espressione orale, poiché esiste meno tempo per pianificare e c'è più imbarazzo per la pronuncia, mentre è minore nella scrittura e nella lettura.


Le attività orali più ansiogene si svolgono in presenza di tutta la classe (fare una relazione, il role play, rispondere all’insegnante) mentre le meno ansiogene sono il lavorare a coppie o in piccoli gruppi.


L’attività scritta che genera più ansia è scrivere il proprio lavoro alla lavagna.


Poiché, comunque, i risultati forniti dalle diverse ricerche non hanno mai dato indicazioni chiare e univoche è stata distinta una


Ansietà facilitativa (lieve stato di eccitazione legato all’impegno e al desiderio di non sbagliare)


da una


Ansietà inibitoria (evitamento del rischio, mancato coinvolgimento nelle attività, stress) conseguenze negative sulla acquisizione.


8- Che cos'è la dissonanza cognitiva?


Per dissonanza cognitiva si intende uno stato angoscioso per l'essere umano, una sorta di malessere psicologico risultante da credenze o atteggiamenti implicati simultaneamente nonostante siano incompatibili, o di una incompatibilità soggettiva fra credenza e comportamento.


Nei ragazzi spesso si verifica quando devono scegliere fra i valori della famiglia e quelli del gruppo dei coetanei.


La dissonanza provoca irritazione, panico, crisi che si aggiunge spesso al senso di estraniamento, ostilità, indecisione, frustrazione per la lontananza da casa.


Tutto questo succede perché l'essere umano ha bisogno di coerenza cognitiva; direi di più, l'organizzazione cognitiva esige di mantenere la massima consonanza tra due nozioni in presenza.


Per evitare il disagio il soggetto o tenta di ridurre la dissonanza ( si cercano cioè le informazioni che riducono la grandezza della dissonanza e si evitano quelle che la aumentano , evidenziando, ad esempio, i tratti comuni fra le due culture e adombrando le differenze)


oppure,


quando la dissonanza è spinta ai limiti, si cercano le informazioni che la accrescono (si sceglie cioè fra a o b) . Ad esempio, il ragazzo straniero, che sceglie la via della assimilazione totale, cerca e aumenta la distanza con la cultura di origine, sopravvalutando la cultura italiana e svalutando quella di origine che ha rifiutato (non per questo la dissonanza sarà ridotta).


La scuola pone spesso l'allievo nella situazione di dover agire in contraddizione flagrante con la sua identità e le sue convinzioni profonde…


Più la dissonanza attacca la pertinenza delle finalità stesse del gruppo o del sistema , più è importante e genera resistenza. Se la dissonanza è ricorrente ed è molto forte, essa genera dei meccanismi di difesa quasi permanenti.


E' comunque l'individuo che deve negoziare l'uscita dal disagio passando da una realtà binaria (o…o) ad una rappresentazione più complessa e paradossale ( sia……. sia)


Per l'individuo è probabilmente meglio una doppia o multipla appartenenza rispetto a una doppia o multipla non appartenenza


9- Quali strategie didattiche potrebbero essere adottate per favorire il superamento dei problemi di comunicazione interculturale?



  • Esplicitare le differenze di abitudini, costumi, modalità comunicative attraverso esempi (video, dialoghi scritti, immagini) e/o esperienze dirette (magari utilizzando anche il registratore o la videocamera)..


  • Sviluppare la consapevolezza nei corsisti che esistono universali pragmatici, ma anche una varietà di mezzi linguistici per attuarli.


  • Conoscere e smontare gli stereotipi reciproci e conoscere le diverse modalità di realizzazione degli atti linguistici.

Divenire abili significa saper comunicare utilizzando una serie di strategie che consentano di evitare incidenti interculturali anche se non è detto che debba essere acquisita una competenza comunicativa perfettamente identica a quella dei nativi (esistono infatti modi per abbassare la tensione comunicativa utilizzando ad esempio l’ironia, l’ammissione di incompetenza, il chiedere scusa per gli errori….).


Bibliografia


- Balboni P., Didattica dell'italiano a stranieri, Roma, Bonacci 1994



Balboni P. Tecniche didattiche per l'educazione linguistica. Italiano, lingue straniere, lingue classiche, Torino, UTET 1998


Balboni P.E., Parole comuni, culture diverse. Guida alla comunicazione interculturale, Venezia, Marsilio. 1999


- H. Dulay, M. Burt, S. Krashen, La seconda lingua, Bologna, Il Mulino, 1985 (edizione originale in lingua inglese Language two, New York, Oxford University Press, 1982)


http://www.irre.toscana.it/sell/resources/competenzacomunicativa.htm



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