Raccontar(si)- Laboratorio di mediazione interculturale
Progetto di formazione per mediatrici interculturali organizzato dalla Società Italiana delle Letterate in collaborazione con l'Associazione Il Giardino dei Ciliegi di Firenze e l'Università di Firenze
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Alla terza edizione  (Prato - 30 agosto - 6 settembre 2003)
Raccontar(si) individua parole chiave e punti femi su cui poggiano le tematiche annuali:



trasmettere i presupposti dell'intercultura largamente adottati nei corsi di cultural studies nella cultura anglosassone dove si incontrano e incrociano legittimamente questioni di razza, classe, genere, età, sessualità;

sperimentare percorsi multiculturali e interdisciplinari attraverso la contaminazione dei generi e delle risorse [vari tipi di lett(erat)ura, la sperimentazione informatica, e altri strumenti del raccontar(si)];

applicare -- attraverso l'interazione, lo scambio, e l'analisi dei processi di trasmissione e apprendimento -- una forma di pedagogia critica attraverso la quale esercitare alcuni meccanismi della mediazione interculturale. Parte integrante del metodo proposta dal laboratorio è la discussione in piccoli gruppi che poi confluiscono in un gruppo allargato. Questi scambi strutturali si basano su un misto di assunti e buone norme.


Eccone alcuni:



praticare rapporti positivi, rispettosi delle differenze


trovare un tono empatico per meglio comunicare


riconoscere le somiglianze nelle differenze culturali


dare spazio ad altre/i favorendo l’empowerment anche nel discorso


praticare l’autocritica per meglio apprezzare le altre e gli altri, e per sperimentare la diversità


osservare attentamente e criticare fattivamente i meccanismi della comunicazione e interazione nei gruppi


chiedersi "da dove parlo, dove mi colloco, dove mi situo, per e con chi parlo, chi parla per me o attraverso di me"


diventare coscienti del ruolo del corpo nella comunicazione


rendersi conto della costruzione normativa e storica dei corpi, in continuo mutamento


accettare il fatto che i corpi sono precari, multipli, marcati da un’infinità di differenze


accettare che i corpi si ri/creano


individuare come e perché vengono marcati i corpi


notare come il genere attraversi altre differenze, creando situazioni conflittuali


cercare le prove dell’opinione che il genere sia una lettura socio-culturale di un fattore cosiddetto biologico


indagare se, come dice Stuart Hall, anche la razza è un concetto socio-storico dove la traccia biologica fissa la diversità attraverso il codice inclusione/esclusione.


usare la categoria dialogica dell’UN-L’ALTRA/O, assumendoci la responsabilità l’una/o degli altri e dell’ambiente


assumersi la responsabilità di pensare il (nostro) divenire e di discuterlo nel gruppo


interrogarsi sul come le passioni e le emozioni intervengono nel discorso, lo modificano, o viceversa ne sono modificate/censurate


sorvegliare le dinamiche di potere/autorità che spesso ledono e snaturano il processo comunicativo


monitorare i propri interventi e quelli altrui tenendo d’occhio l’economia complessiva di ogni situazione comunicativa.


 


L’impostazione del Laboratorio


Di solito, per mediatore/mediatrice culturale si intende una persona, magari di origine straniera, che lavora per facilitare l'inserimento delle/i proprie/i connazionali o altre/i immigrate/i nel contesto italiano. Dal punto di vista dei soggetti che hanno organizzato il corso, la definizione di mediazione è molto più larga.


Innanzitutto, la mediazione è un procedimento che tutti intraprendiamo nel comunicare, ma la professione di mediatori e mediatrici interculturali, come spiega da specialista Giovanna Gurrieri, serve per facilitare "l’intesa e lo scambio" accettando "i rischi della contaminazione, del meticciato e del nomadismo, che rappresentano specifiche modalità di cogliere la singolarità e la ricchezza dell’esperienza postmoderna".


Di necessità il profilo professionale deve partire dalla pratica dei meccanismi dell’intercultura, quindi della comunicazione e dello scambio, e dalla riflessione sul loro funzionamento, perché la sensibilità interculturale non è affatto una cosa spontanea, "naturale". La storia del mondo anzi ci dice che i contatti tra estranei creano ansia e sono spesso cruenti. Il superamento degli etnocentrismi si impara. L’interazione tra culture diverse ha come scopo non solo uno scambio, ma la trasformazione del modo di pensare, indispensabile nella nuova società plurale.


Per questo diciamo che le mediatrici siamo noi, chiunque noi siamo, e che il Laboratorio ce lo creiamo ogni volta su misura, non solo per (continuare a) imparare un mestiere, ma per imparare a vivere in questo mondo del terzo millennio dove i cosmopoliti convivono con gli esuli, i clandestini con gli impiegati, e dove le casalinghe, "badanti", donne in carriera, studentesse e pensionate spendono nel loro quotidiano, come tutti, la diversità, l’esclusione e la violenza di certi incontri. Ma per chi viene per meglio conoscere cosa significa mediare in un contesto interculturale, vorremmo chiarire questo: una mediatrice può essere di qualsiasi nazionalità purché abbia il desiderio e le conoscenze per specializzarsi in uno dei tanti settori dove è necessaria. Dovrà conoscere lingue, usi e costumi, tecniche della comunicazione, leggi, dinamiche, e altri fattori che influiscono sulla formazione di saperi e linguaggi. Gestire differenze etniche e culturali può voler dire semplicemente allargare e adattare le strutture esistenti a un pubblico più diversificato e meno omogeneo, ma richiede comunque una serie di conoscenze che non si acquisiscono in una settimana. Si dovranno seguire più corsi mirati a una eventuale specializzazione.


Mentre si persegue questo complesso itinerario, è utile inserirsi in un contesto di pratica interculturale, come il nostro Raccontar(si), dove si presta attenzione alle esperienze, alle culture, ai problemi, all’organizzazione dei rapporti di persone che provengono da paesi e ambienti molto diversi tra loro e dal nostro; dove si collegano analisi di specifiche situazioni a concetti e paradigmi generali.


Questi esercizi di trasversalità e glocalizzazione richiedono atteggiamento aperto, capacità di ascolto, riflessione critica, e immaginazione che possono essere formati culturalmente. Per questi motivi, il Laboratorio si basa sulla comparazione tra linguaggi e culture. Il nostro corso è letteralmente di inter-cultura. Oramai abbiamo un lungo discorso teorico su questo, che include antropologhe, sociologhe, linguiste, scrittrici, teoriche femministe, e studiosi post-strutturalisti e post-coloniali. Si dà per scontato che tutta la comunicazione, anche tra persone vicine, è intercomunicazione e traduzione. I linguaggi che usiamo sono molto diversi, la comunicazione si costruisce, le verità che produciamo sono relative, i significati si producono socialmente.


Il nostro laboratorio di intercultura si occupa di indagare criticamente sui meccanismi e modalità che collegano culture e linguaggi, in particolare ma non esclusivamente attraverso le tecniche narrative e letterarie, e attraverso la pragmatica del partire da sé: rendendoci conto delle narrazioni che usiamo, di come funzionano, di come le costruiamo, di come riflettono le tecnologie dei corpi e dei saperi che ci strutturano. È comunque orientato in senso "situazionista" perché sottolinea la relazione tra soggetti, testi e contesti. Non si tratta di un corso che prepari tecnicamente a occupazioni relative all’immigrazione. Il Laboratorio prepara culturalmente, lavorando sulla trasversalità culturale, sociale, etnica, di orientamento sempre più inter- e multidisciplinare che costituisce il contesto material-semiotico in cui viviamo. Perciò l’hanno frequentato persone che lavorano nel settore dell'intercultura vera e propria, ma anche persone che desiderano creare una comunità di pratica  interculturale, sperimentando su di sé mentre eravamo insieme nelle tre sessioni del Laboratorio (2001- 2003).


Il Laboratorio, come già si è detto, nasce dalla convinzione che non sia più possibile "fare letteratura" come si faceva un tempo, quando il testo era tutto, oppure pensare in termini di "monocultura". La cultura è prodotta dai cambiamenti sociali e li produce. Tutte le partecipanti provengono da "estranei" percorsi, e parlano lingue diverse anche perché c’è un divario tra la lingua che tutte usano e i linguaggi critici della cultura codificata che alcune usano meglio di altre.


Il Laboratorio cerca di fare interagire queste forme di comunicazione -- dalla parola al racconto, al romanzo, al video -- scavando nelle ideologie che costruiscono i soggetti. Le letterature, fondate nella comparazione fra culture, tecniche e realtà multiple, insegnano a guardare diversamente le cose.


L’intercultura è diventata un business, o un lavoro di sportello. E se da un lato questa professionalizzazione apre strade e speranze per una migliore comunicazione sociale, e se, dall’altro, la richiesta di know how scoraggia l’indagine culturale sulla comunicazione, il Laboratorio vuole ovviare a questa mancanza, e, da un’ottica di genere, cambiare il bersaglio della mediazione per volgerlo verso il proprio interno. Chiediamo perciò alle partecipanti di porsi come native-migranti, imparando, dialogando, riflettendo sulle stratificazioni che costruiscono l’impianto della trasmissione culturale. La Società delle Letterate e l’Associazione Giardino dei Ciliegi sono nate come progetti di donne per le donne. La scuola estiva è solo uno dei tanti incontri organizzati negli anni, ma proprio perché è un’esperienza intensa, lunga e complessa ha richiesto e richiede molta attenzione e senso di responsabilità da parte di chiunque partecipi. Stando insieme, si forma per un certo periodo quella comunità di pratica interculturale che è la scommessa di successo del Laboratorio.


Le molte docenti e ospiti presenti sono state e sono portatrici di saperi molto vari. Nello spazio di Villa Fiorelli si è potuto fare insieme un esperimento basato su alcuni semplici presupposti: nominare le cose; riflettere criticamente su di esse; pensare come questo si ripercuota sulle azioni; mettere in gioco quello che si sa; rischiare di fare domande forti. Ma anche correre il rischio di amare quello che si fa.


Si è tenuto presente, nel comunicare, che razza, classe, religione, sessualità sono costruzioni ideologiche. Non c’è innocenza nella nostra cultura. Le domande vanno cercate insieme, tra le pieghe dell’intercultura, in quel punto non espresso che sfugge. Comparazione, cooperazione, comunicazione, rispetto delle differenze, sono belle parole irte di nodi e fraintendimenti che vorremmo tentare di sciogliere attraverso la nostra comparazione al femminile, ponendo in relazione dialogica la cultura italiana con quella europea, e le culture europee con quelle extraeuropee. Ci interessa partecipare attivamente alla costruzione di nuove e complesse identità in un’ottica transnazionale ecologista, pacifista, antirazzista, attenta alle differenze tra cui quelle di genere. Lavoriamo per rendere possibile una cultura globale in una società equa e sostenibile dove si rispettano e sostengono le diversità.


Qualificare e discutere strategie di empowerment individuale e collettivo, utili a migliorare i rapporti interpersonali e sociali, e a promuovere una cultura della pace, ci sembra un modo di resistere a questa spinta. Poiché il nostro Laboratorio mette sempre in prospettiva il "genere", intendiamo per empowerment il reciproco potenziamento delle singole capacità e attitudini messo in atto da due o più donne che collaborano con finalità comuni a una più equa e solidale ripartizione sociale delle risorse disponibili. Il processo di empowerment riguarda da vicino chi cerca di entrare in ambienti estranei, spesso ostili, in particolare nel processo migratorio. Come sopravvivere innanzitutto, e subito dopo come gestire il conflitto, come adattarsi ma allo stesso tempo resistere all’assimilazione, o come impedire la cancellazione della propria storia sono problemi che tutti conosciamo, e altrettanto nota ci appare la necessità di crescere, affermare noi stesse e le nostre necessità, proporre modelli e stabilire comportamenti che ci premono.


Quest’ambito è solo una parte di quello spazio interpersonale interessato dall’empowerment, specie se diretto a far convergere personale e collettivo, in un processo di continuo e circolare allargamento. L’empowerment copre tutte le forme di presa di parola e di scrittura, dalla "venuta alla scrittura" delle donne nei secoli, in qualsiasi paese o ambiente, a ogni forma di produzione culturale contemporanea. Come evidenzia il nostro programma, ci interessano particolarmente le letterature "minori", l’arte e la cinematografia, per fare una comparazione di genere su tematiche specifiche.


Il corso si pone anche il problema di come applicare un modello di potenziamento dei talenti individuali finalizzato alla mediazione interculturale. Il lavoro si svolge a vari livelli: le lezioni frontali su argomenti che vanno dalla letteratura all’antropologia, la scienza, la politica e l’economia. Le tavole rotonde dove si intrecciano esperienze di campo, riflessioni, know-how, documentazioni e testimonianze. I workshop dove si pratica un particolare aspetto, come la risoluzione dei conflitti, o si sperimentano tecniche comunicative basate sulla fisicità; o si discutono immagini, filmati, scritture diverse. I gruppi di discussione, piccoli o allargati, dove si discutono i metodi usati durante le lezioni, si studiano e suggeriscono varianti e miglioramenti, si sperimentano applicazioni, si comunicano riflessioni ed esperienze, e si de/scrivono storie individuali e collettive di cura di sé e di empowerment.


 


Villa Fiorelli 2003 


Relazione sullo svolgimento del lavoro 



 







 


Edizione 2002


Relazione sullo svolgimento del lavoro


 


Edizione 2001


Relazione sullo svolgimento del lavoro 


 


 http://www.unifi.it/gender/



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