LA “PEDAGOGIA DELLA MEMORIA” PER LA TUTELA DEL BENE CULTURALE E IL RECUPERO DELL’IDENTITA’STORICA LOCALE.
LE TRASFORMAZIONI DEL PAESAGGIO IN TERRA DI BRIANZA.
LAURA TUSSI
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La regione città e la conurbazione metropolitana
LE TRASFORMAZIONI DEL PAESAGGIO IN TERRA DI BRIANZA.


LA “PEDAGOGIA DELLA MEMORIA” PER LA TUTELA DEL BENE CULTURALE E IL RECUPERO DELL’IDENTITA’STORICA LOCALE.


di LAURA TUSSI




Brianza: ex giardino d’Europa


Le profonde trasformazioni economico-sociali vissute nel nostro secolo dal territorio a nord di Milano, definito “della bassa Brianza”, hanno apportato decisivi ed irreversibili cambiamenti, modifiche e metamorfosi a livello di ambiente, nel “paesaggio quotidiano”, causando una profonda e degradante perdita d’identità culturale originaria, autoctona, comportando mutamenti dell’assetto territoriale urbanistico, nel complesso, paesaggistico, che hanno contribuito alla formazione di una nuova realtà e struttura territoriale di matrice urbana, che prende il nome di “regione-città”, trasformando l’antica idea percettiva di paesaggio territoriale quotidiano.


Gli aspetti del paesaggio territoriale


Il paesaggio unità fisica, antropica e culturale è insieme dimensione estetica, depositaria di civiltà, di immaginari mitologici, simboli e leggende….
Il termine “paesaggio”, armonica unione e fusione di componenti diverse, elementi naturali e tracce lasciate dall’uomo, è ricollegabile ad un aspetto del territorio che racchiude in sé valori estetici, influenzabili dalla ricezione percettiva del soggetto, da un personale, individuale e “soggettivo” senso estetico, suscitando commozione, piacere, stupore e soddisfazione di fronte alla bellezza del creato, ma comprendente anche valori oggettivi perché riconoscibili, percepibili e apprezzabili in modo condivisibile, comune e riconosciuto, appunto obiettivo, avulso e privo dell’esclusivo giudizio soggettivo, estetico, perché ambiente diventa “forma visibile”, oggettiva, del territorio.
Il paesaggio circostante risulta formato da due diverse categorie di elementi: i fenomeni naturali e i fattori antropici (le tracce, i segni lasciati dall’uomo nel corso del tempo, della storia, nel passato prossimo o remoto).
Dall’unione dell’aspetto morfologico, fisico di un territorio, con i segni antropici (iconemi), immagini visibili, le tracce della civiltà nei tempi, il paesaggio si trasforma, secondo fattori che non sono caratterizzati da staticità, ma da mutabilità e movimento.
Gli elementi naturali, gli aspetti fisici del territorio, collegati agli eventi imprescindibili e inesorabili dell’ambiente naturale, sono caratterizzati da un’implicita mutabilità: il susseguirsi delle stagioni, le intemperie, gli assestamenti geomorfologici in ere antiche o recenti ecc…
Invece, il movimento, le trasformazioni implicite all’idea di territorio dipendono e risultano connessi, appunto, a fattori antropici, variabili che modificano il paesaggio per ragioni economiche e sociali.
Questi aspetti fisici, naturali, e antropici sono realtà in continua connessione e interdipendenza. Il paesaggio quotidiano circostante è definito, appunto geografico, perché caratterizzato da immagini e forme sempre storicamente interpretabili.
Il territorio diventa così lo specchio veritiero della società che lo anima, perché evolve, si sviluppa e modifica, registrando le vicende, i problemi, i contrasti le decisioni che la comunità stessa vive.
La società abita la città ed in essa organizza i suoi spazi e ambienti, intesse le sue relazioni, celebra e demolisce leggende, miti, ideali ed ideologie, manifesta le sue intrinseche o acquisite diversità, per cui storia sociale e storia urbana procedono in una complessa interazione, dove guerra e pace lasciano tracce, i segni dei tempi, sedimentano fasti e tragedie. La costruzione della città si sviluppa in un continuo processo di modificazione, demolizione o ricostruzione in accordo o contrasto con le trasformazioni sociali della storia.
Dunque il paesaggio territoriale risulta caratterizzato da elementi apportati dall’intervento umano, le tracce insediative di carattere rurale o urbano, i segni dei tempi, fattori che modificano gli aspetti naturali, fisici, dell’ambiente, percepibile attraverso immagini portanti, definite iconemi, (unità elementari della percezione, segni di valore simbolico e funzionale nella visione del soggetto percipiente), che ne costituiscono l’impalcatura antropica: la piazza, la chiesa, le fabbriche, le scuole, le abitazioni, le corti, i campi…La storia degli abitanti del territorio si svolge in questi luoghi (topoi), “teatro” del quotidiano. Così si giunge ad una “lettura” del paesaggio, ad un’interpretazione storica, mettendo in relazione, a confronto, gli aspetti e assetti morfologici più recenti con elementi originari della realtà territoriale, recuperando, cercando di risalire nel tempo, il vissuto degli uomini, “attori” di diverse generazioni. Per individuare i luoghi importanti di questa “rappresentazione” umana sul palcoscenico dell’esistenza,  “teatro” del  territorio, risulta necessario individuare, recuperare, tutelare il bene culturale e ambientale, indagare, riportando alla luce antichi documenti, anche iconografici, antiche stampe, incisioni, fotografie, reperti, testimonianze del passato e integrare, arricchire, valorizzare ulteriormente tale recupero di una memoria storica collettiva, con il supporto pedagogico di animazione autobiografica, ascoltando e registrando le storie di vita degli anziani, depositari e testimoni di un passato che va ormai, inesorabilmente, estinguendosi, nelle trasformazioni e transizioni repentine e irreversibili verso un diffuso e spesso alienante concetto di modernità.
 Dal recupero della storia, ricostruendo l’aspetto precedente, antico della zona analizzata, individuando gli “attori” protagonisti della vita economica e sociale, risulta possibile comprendere gli interventi antropici territoriali, vale a dire le motivazioni che spingono l’uomo ad apportare trasformazioni e cambiamenti al proprio ambiente di vita: come gli abitanti sentono e vogliono il territorio e come decidono di tutelarlo, nella salvaguardia dell’esistente, delle tracce del passato, in una continua e duplice tensione fra trasformazione/cambiamento e conservazione/rivalutazione delle strutture preesistenti.



La trasformazione nella percezione del paesaggio: la “regione-città” milanese


L’evoluzione percettiva nell’osservazione del paesaggio territoriale risulta molto accentuata nell’area Briantea, un tempo definita “Giardino d’Europa”, luogo rinomato di villeggiatura soprattutto per gli aristocratici milanesi.
Con l’avvento delle trasformazioni ingenti e radicali apportate dall’insediamento di massicce realtà sia artigianali, sia caratterizzate da attività della media industria (fabbriche, filande, opifici, ecc…) e il conseguente diffuso e dilagante consumismo di massa, la terra di Brianza divenne sinonimo di operosità e industriosità. Negli anni ’60, in seguito al vertiginoso incremento demografico, dopo la ricostruzione postbellica e il successivo boom economico, la trasformazione del territorio Brianteo procede in modo pressante e drammatico. Il decentramento industriale dalla metropoli milanese diretto a più vantaggiose sedi, crea consistenti opportunità d’impiego lavorativo, provocando maggiori esigenze di strutture e alloggi insediativi. Improvvisamente, i paesi brianzoli da un lato assumono forme e dimensioni urbane, dall’altro mutano completamente l’attività economica primaria, relegando la pratica agricola in settori sempre più marginali.
Agli anni 70 sono legati drammatici aspetti e componenti negative, risvolti inevitabili conseguenti all’ottimistica fiducia per l’idea di progresso, verificatosi con il boom economico ed edilizio: si rivelano, in modo drammatico, i disagi derivanti da politiche inadeguate per un territorio che ha vissuto transizioni repentine e trasformazioni dettate da scelte politiche spesso irrazionali, poco ponderate, superficiali e incontrollate nella gestione degli assetti territoriali e in termini di salvaguardia ecologica e recupero ambientale (“Brianza dei veleni”).
Attualmente assistiamo ad una diversa forma di organizzazione dell’assetto territoriale, in cui si generano strutture, forme e modi tipici della città, una struttura urbana denominata, appunto, “regione-città”, determinatasi da un’inversione di tendenza della popolazione che dalla metropoli si trasferisce alla ricerca di aree periferiche più qualificate dal punto di vista della vivibilità (qualità della vita urbana), della qualità esistenziale, portando, contrariamente a quanto avveniva negli anni 60 e 70, a una maggiore presa di coscienza, di volontà e insita esigenza di recupero delle strutture esistenti, da parte della base collettiva, spesso organizzata in entità associative.  La regione-città presenta caratteri ed elementi comuni e distintivi nell’assetto territoriale:
 La presenza di una complessa ed articolata rete urbana, con un centro polare polivalente, dotato di forza attrattiva e una rete molto fitta di centri minori, collegati tra loro.
 Una complessa rete viaria che assicuri il flusso continuo di uomini, merci, capitali.
 Un alto grado di motorizzazione, strettamente connesso alle esigenze di trasporto, di mobilità lavorativa, di pendolarismo e divertimento.
 Un intenso utilizzo degli spazi con la drastica riduzione del verde che sopravvive a stento negli ambiti ”vuoti” risparmiati dal continuo edificato di case, fabbriche, strade
 La presenza di complessi produttivi e la diffusione massiccia e omogenea di piccole e medie industrie
 Un’alta densità abitativa che inevitabilmente comporta la costruzione di fabbricati insediativi e una fitta rete di infrastrutture di servizio.


La diffusione di modelli urbani: il paesaggio industrializzato.


All’interno del contesto sociale contemporaneo si riscontrano fenomeni degenerativi, dall’alto tasso di densità demografica, dovuta anche ad ingenti insediamenti migratori, alla crescente mobilità della popolazione, per cui si è creata una fitta rete di infrastrutture e servizi che ha contribuito alla trasformazione organizzativa territoriale, apportando pesanti rifacimenti e massicce modifiche strutturali del paesaggio, caratteristiche nel diffuso “modello urbano”, ormai preso in prestito e omologato su quello della vicina metropoli.
L’area nord –milanese presenta somiglianze e caratteri comuni agli altri hinterland metropolitani, comunque territori investiti da un massiccio e repentino fenomeno di rivoluzione industriale, con il trionfo della tecnologia legata al consumo di massa espropriante ed alienante.
Di frequente si verificano nelle aree periferiche fenomeni degenerativi di degrado esistenziale, tipici anche della realtà metropolitana
Di conseguenza anche l’hinterland vive problematiche comuni che si dipartono dalla metropoli, legate all’inquinamento, alla carenza di spazi verdi, al traffico, al disagio sociale, e dal punto di vista estetico, al profondo contrasto tra le presistenti strutture rurali, caratteristiche di un mondo contadino quasi scomparso e le nuove strutture architettoniche moderne di matrice urbana.
Tale processo di transizione e trasformazione territoriale può apportare il rischio della formazione di un omologante, standardizzato e uniforme paesaggio anonimo senza caratteristiche originarie intrinseche, ma comune a tutte le realtà fortemente industrializzate. Non per questo motivo si deve scadere nel mito esasperato del ruralismo, o nell’utopia illusoria di un idilliaca civiltà contadina.
Ma si presenta il rischio di un’irreversibile e irrefrenabile “perdita di identità” del territorio, dei suoi aspetti culturali, in una acritica e totalizzante uniformazione a modelli architettonici ripetitivi e standardizzati, ad una generale sensazione di appiattimento estetico, con la formazione di aree insediative indifferenziate e irriconoscibili, prive di un’identità originaria e di matrici culturali comuni in cui riconoscersi, individuarsi e identificarsi.
In questa “regione-città” milanese/briantea si presenta in termini drammatici, il rischio della diffusione sul territorio di anonimi scenari urbani, caratterizzati da un palese decadimento di senso estetico per una realtà indifferenziata, piatta, anonima, dove risulta impossibile riconoscere e assimilare, per identificarvisi, le forme del paesaggio quotidiano e del relativo passato storico. Forse l’unica soluzione per ricreare un positivo rapporto tra uomo e ambiente, in una prospettiva di riqualificazione dell’esistente, consiste nel rivalutare una nuova identità territoriale, valorizzando le tracce del passato risparmiate da repentini e profondi processi di trasformazione, dettati anche  da decisioni politiche errate volte alla speculazione edilizia e alla svendita irrazionale ed egoistica del territorio.
Per tali imprescindibili motivi si auspica un intervento pedagogico di supporto, da parte delle Università, rivolto alle varie realtà collettive , organizzate in associazioni di volontariato culturale, che si spendono in attività di ricerca, indagine e archiviazione dell’esistente e nella salvaguardia territoriale con risvolti didattici, che coinvolgono anche il mondo della scuola, dove il cardine e il fondamento dei progetti siano l’uomo e la sua memoria, perché come sostiene il filosofo “l’uomo è memoria”. 



L’associazionismo socioculturale per il recupero del territorio tramite la riattualizzazione della “cultura della memoria”.


Diversi istituti associativi  di carattere culturale operanti sul territorio brianteo, tra cui il G.R.A.L. (Gruppo Ricerche Archeostoriche del Lambro) di Biassono, “Il Cortile” (gruppo di ricerca e canto popolare) di Nova Milanese, il Museo Etnografico di Galbiate (Camporeso), il Museo Etnologico di Monza e Brianza, il Civico Museo della Seta a Garlate, il Museo Agricolo di Ronco Briantino, il Museo Civico di Lentate sul Seveso, si spendono in un volontariato culturale militante per la tutela e salvaguardia delle tracce del passato, “i segni dei tempi”, lasciati sul territorio dai nostri predecessori, retaggio di una cultura popolare contadina autoctona, operando in una rinnovata prospettiva culturale ed educativa militante di valorizzazione del bene culturale e ambientale in ambito territoriale, finalizzata al recupero di una memoria popolare collettiva, al fine di riconquistare un’identità culturale quasi smarrita, necessaria all’ “incontro” e confronto, tramite una rinnovata consapevolezza del sé, con le diversità multietniche apportate dal fenomeno migratorio, che un tempo, negli anni 70 era proveniente dal Sud Italia ed oggi interessa i paesi extracomunitari.
A Biassono si è costituito dal 1973, una nuova entità associativa, il G.R.A.L., poi organizzatasi nel Civico Museo “Carlo Verri” (il cui presidente e conservatore è il Prof. Ermanno Arslan, Direttore delle Civiche Raccolte Archeologiche e Numismatiche di Milano), con un notevole esempio di decentramento culturale, in seguito ad una serie di circostanze fortuite, per il ritrovamento in loco di importanti reperti archeologici, su interesse di un gruppo di appassionati ricercatori che hanno coinvolto il mondo della scuola in questa loro attività di studio e indagine  relativa al passato, dalla cui esperienza è sorto, appunto, il Gruppo di Ricerche Archeostoriche del Lambro. Tale realtà associativa con espliciti intenti culturali, finalizzati al recupero di un’identità culturale locale e di una memoria storica collettiva, popolare, ha trovato, appunto, sede nel civico museo intitolato a “Carlo Verri” (fratello del celebre illuminista…), composto da una collezione archeologica e numismatica (soprattutto a carattere  didattico, con reperti risalenti ad epoca preistorica, egizia, romana e medievale, spesso di qualità molto elevata) e da un allestimento permanente, appunto museale, di carattere etnoantropologico, dedicato alla cultura popolare locale, comprendente al suo interno varie ricostruzioni di ambientazioni, piccoli microcosmi culturali, e raccolte di documentazioni, testimonianze e reperti che ricostruiscono i vari aspetti dell’esistenza nelle abitazioni rurali, coloniche, l’oggettistica in generale, dal vestiario antico agli utensili da lavoro, beni di valore e oggetti  di uso quotidiano, tra cui cimeli domestici, spesso adibiti al culto religioso, attrezzi agricoli per le varie fasi di lavorazione del raccolto e strumenti specifici utilizzati nella preparazione e coltivazione dei campi.
Nell’ambito del territorio Brianteo risultano disseminate realtà associative con tali caratteristiche comuni, nell’intento di tutela, salvaguardia e recupero di un’identità culturale di matrice popolare originaria a livello locale.
Queste importanti esperienze di realtà associative e museali andrebbero supportate da corrette strategie di politica culturale sul territorio. Le amministrazioni locali dovrebbero sensibilizzarsi maggiormente, per il coinvolgimento, in queste azioni culturali, del mondo universitario (ma spesso si riscontra chiusura, indecisione e diffidenza nei confronti della novità…). L’Università potrebbe dare un contributo, supportando la presenza sui territori di realtà museali, con la rilevazione, in loco, di storie di vita degli anziani, unici testimoni del passato rurale, appartenenti alle generazioni che hanno vissuto direttamente l’epoca tra le due guerre e risultano intrinsecamente plasmate da quella antica cultura, propriamente detta popolare, caratteristica di una preesistente civiltà contadina preindustriale, il cui retaggio va ormai scomparendo per diversi fattori di carattere sociale ed economico.
La facoltà di Scienze della Formazione in Bicocca, ha istituito un’associazione denominata “Libera Università dell’Autobiografia”, che ha sede ad Anghiari nell’Aretino, coinvolgendo importanti studiosi, pedagogisti, sociologi, antropologi e geografi, di vari atenei italiani, accomunati dal nobile intento di approfondire le tematiche relative alla “cultura della memoria”, vale a dire il recupero delle storie di vita del popolo, della gente, delle singole persone, soprattutto anziane, in una rinnovata prospettiva di pedagogia sociale ed attività di animazione socioculturale e di educazione militante in diversi ambiti territoriali, attraverso un metodo di indagine scientifico basato sul racconto autobiografico del soggetto. Solo riappropriandoci, come popolo, di una ormai confusa identità ottenebrata e degradata dal consumismo esasperato, dall’eclissi del sacro, da stravolgimenti economico/sociali apportati dagli ingenti fenomeni di capitalizzazione industriale delle risorse collettive, nel miraggio di una prospettiva di “villaggio globale” dettata e imposta dai massmedia, solo diventando attori del proprio sé, protagonisti consapevoli della propria storia di vita e formazione, sarà possibile recuperare i valori di confronto e arricchimento culturale interetnico, di interscambio e accettazione, non falsamente e ipocritamente tollerante,  del “diverso”, dell’immigrato, straniero portatore di cambiamento, di novità, nella certa e riconquistata consapevolezza, data dalla riflessione, sul personale passato storico e soggettivo, individuale e collettivo, volta a rispondere alle domande esistenziali ultime, cardine dell’uomo: chi siamo, da dove veniamo, dove andiamo.
Con il supporto degli studenti e di vari ricercatori specializzati circa il metodo autobiografico, l’Università realizza progetti di recupero della memoria storica anche in diversi paesi dell’hinterland milanese, soprattutto a sud della metropoli.
Dunque i progetti relativi all’ascolto, alla raccolta, registrazione e pubblicazione delle storie di vita possono supportare ed integrare, anche e soprattutto per un risvolto didattico ed educativo/pedagogico, coinvolgente i più giovani e il mondo della scuola, le realtà associative di carattere culturale che si occupano del recupero del “materiale”, di reperti antichi e oggetti anche di uso quotidiano o votivo appartenenti alla storia di un passato recente, la civiltà contadina, per riattualizzare, riconsegnare al presente, rilevare, dall’approccio educativo, il valore insito e soggettivo del bene culturale e ambientale, tramite l’ausilio dell’apporto pedagogico di animazione autobiografica, rieducativa al senso e significato del com-memorare e ri-membrare gli eventi passati, soggettivi e collettivi, permeanti l’esistenza trascorsa, in costante rapporto eso-sistemico con l’ambiente, attualmente, appunto, oggetto di tutela, di studio e ricerca.   “L’oggetto culturale e ambientale è sempre collocato all’interno di una geografia, di un paesaggio, di una latitudine, in sintesi in uno spazio/ambiente. Il bene culturale è sempre protagonista di una storia cognitiva di formazione che il soggetto esibisce nella descrizione dell’oggetto specifico considerato. La storia di formazione e di genesi del bene culturale e ambientale deriva sempre dalla nostra autobiografia, come sostiene il Professor Duccio Demetrio (Università degli studi di Milano-Bicocca) e comporta la definizione di criteri di comprensione e interpretazione. Noi scegliamo il patrimonio culturale e ambientale sulla base di propensioni e tendenze cognitive che molto spesso sfuggono e che la prospettiva pedagogica, avvalendosi del metodo autobiografico, cerca di ricostruire.
Le opere artistiche e naturali interessano i pedagogisti perché è presente in esse sempre qualcosa di personale, di emotivo nella loro fruizione estetica, con un significato educativo, di formazione della sensibilità, compresa nella Paideia, nella formazione del sapere umano.
Noi consideriamo con un certo grado di emotività e di affezione gli oggetti se in qualche modo li abbiamo già visti e vissuti nel nostro passato, nella memoria e ritornano alla mente grazie all'aiuto e alla consulenza di un apporto autobiografico, antropologico e pedagogico. Abbiamo bisogno di capire come il bene artistico possa essere un oggetto che suscita fascinazione, interessi, emozioni, in rapporto alla sua necessaria difesa e valorizzazione.
A questo punto anche la Pedagogia è presente.
Come pedagogisti siamo impegnati nella preservazione, nella trasmissione di questi beni. Il lavoro educativo prevede la diffusione, conservazione e promozione rispetto al capitale artistico/culturale. Abbiamo bisogno di esercitare uno studio sempre molto attento affinchè l’incontro tra geografia ed educazione conduca alla costruzione di sensibilità sempre più diffuse e attente a questi patrimoni.
Beni culturali e ambientali si possono intendere quelle realtà naturalistiche e umane che si rivelano di particolare valore estetico, artistico, civile o anche solo emozionale per coloro che possono fruirne, avendo tali oggetti un valore pedagogico.
Questo progetto concerne la valorizzazione del soggetto che da solo si confronta con un oggetto (patrimonio artistico e ambientale) che diventa parte della sua soggettività, della sua storia di formazione. E’ necessario che le capacità dei potenziali fruitori possano riavvicinarsi a tali realtà culturali per capirle, rispettarle e godere dei messaggi positivi che da esse giungono, migliorando la qualità della vita di chi li sa cogliere (altro motivo di natura educativa e pedagogica)”.
Il supporto, secondo progetti prestabiliti dagli operatori, da parte dell’università di tali realtà museali otterrebbe l’intento pedagogico rivolto alla società di recupero e riattualizzazione della “cultura della memoria”, per identificare e valorizzare, far rivivere, rianimare, attraverso il ricordo, riaffiorante dalle storie di vita, i reperti materiali, rilevando dal racconto autobiografico anche tradizioni, usi, costumi, canti e rituali caratteristici della vita nel passato, in una rinnovata e attuale prospettiva culturale di recupero storico, a livello individuale, locale e nazionale, per ritrovare il significato e il senso di appartenenza ad una identità culturale e popolare tipica di una specifica nazione, quella italiana, e di un popolo con una propria storia e ideali, valori comuni e condivisibili.
 In sintesi, questi importanti organismi associativi di carattere educativo e culturale dovrebbero incontrarsi per attuare un proficuo confronto e creare un comune accordo di intenti e progetti, una federazione per la “cultura della memoria”.
Ma si nota la difficoltà di interrelazione e assenza di integrazione tra le parti operanti anche relativamente a comuni obiettivi condivisi, all’interno del contesto socioculturale, del nostro comune Paese d’appartenenza. Dalla diversità intersoggettiva delle “parti” scaturirebbe il confronto e la presa di coscienza e consapevolezza di una comune crescita culturale nel raggiungimento degli obiettivi comuni prefissati. 



L’associazionismo culturale e la partecipazione collettiva: una nuova prospettiva educativa militante di recupero storico e ambientale.


Solo da qualche anno nel nostro Paese, istituzioni e mass-media iniziano a seguire e a prestare attenzione con maggior presa di coscienza ad un costante fenomeno, in diffusione, di forme variegate di associazionismo privato in diversi settori di competenza.
Contemporaneamente alla crisi di rappresentanza delle grandi ideologie che animavano le organizzazioni partitiche, si sono moltiplicati nuovi poli di aggregazione, di interessi e valori, gravitanti intorno al proliferare del volontariato, delle associazioni che si occupano di beni culturali e ambientali, di diritti umani, di pace, di multiculturalità. Si tratta di ambiti diversi tra loro come intenti, ma che presentano il denominatore comune,  di una concreta volontà di pluriappartenenza che supera la logica classista.
La crescita dell’associazionismo è un parametro importante di sviluppo della stessa democrazia ed è indicatore di progresso in una società aperta al cambiamento, dove gli individui si aggregano ed entrano in costante interazione, in un continuo flusso di interessi e valori, per cui la coscienza condivisa nella difesa della tradizione culturale passa attraverso un esercizio costante e quotidiano della memoria: dedizione al volontariato e impegno culturale, di carattere civico nella partecipazione, nello studio comune, nella comunicazione e diffusione dei risultati. Tale impegno di partecipazione in ambiti di appartenenza collettivi, non rappresenta esclusivamente un’attività culturale, ma soprattutto un diretto e legittimo esercizio democratico.  “Se l’associazionismo è una fonte di rigenerazione dei valori e delle spinte vitali di una società, deve praticare, con il massimo rigore, le sue dimensioni qualificanti. Senza l’esercizio pratico di queste dimensioni, l’associazionismo non può aspirare a giocare un ruolo sociale originale ed autonomo. La sua forza sta nella capacità di essere segno di contraddizione, scomodo ed esigente, rispetto al modo di amministrare la cosa pubblica. Per questo è fondamentale che la sua identità sia contraddistinta da una pratica di valori che saldi l’ispirazione ideale, le dichiarazioni di principio, con la prassi nel quotidiano. E’ necessario che le associazioni curino costantemente il nesso tra valori predicati e valori praticati (...) fra ispirazioni ideali e assetto organizzativo dell’associazione stessa. Non si può infatti affermare il valore della ricerca cooperativa, della sperimentazione, dell’ascolto dell’altro, senza produrre nel contesto formativo e senza garantire nel proprio assetto organizzativo, concrete condizioni di ricerca, di sperimentazione, di ascolto”.
La preoccupazione di sviluppare attività formative, costituisce una caratteristica particolare che contraddistingue tutti i tipi di esperienza associativa in qualunque ambito. L’educazione e la formazione sono lo strumento privilegiato attraverso cui veicolare le ispirazioni etiche, i contenuti ideali che costituiscono la base dell’associazionismo, con il compito di suscitare e rinsaldare le motivazioni al volontariato e alla partecipazione, per trasformare e per trasformarsi, quindi, per educare e educarsi. E’ interessante esaminare il rapporto tra tempo libero e formazione culturale, colta nel significato intrinseco di cambiamento, di educazione al “nuovo” che entra a far parte del campo relazionale individuale, per cui il soggetto modifica le proprie strutturazioni personali, gli habitus precedenti, in una diversa rappresentazione di sé e delle relazioni intersoggettive.
 “L’associazionismo è un’occasione unica di ricostruzione di quella continuità culturale che è andata via via sparendo nelle società industrializzate”, con la potente rivoluzione di costume e di stili di vita.
L’associazionismo culturale porta all’interno di una realtà territoriale un contributo pregnante al rinnovamento sociale e, al contempo, assolve il ruolo di entità di riferimento nell’ambito locale, suscitando e realizzando il sentimento di appartenenza insito in qualsiasi comunità. L’ambito aggregativo a fini culturali svolge un ruolo importante nello sviluppo dell’individuo e della comunità a cui esso appartiene, perché rappresenta l’alternativa, produttrice di valori, in grado di eludere i meccanismi mercificatori e consumistici, in una prospettiva a-finalizzata, edonistica, estetizzante della fruizione di tempo libero, dettati dall’industria dei mass-media.
 “La base associazionistica, fonte di una cultura propria ed originaria del luogo in cui cresce, nella prassi del quotidiano, nella ricerca e verifica continue sulla vita e sull’operato del collettivo, nella sua specifica articolazione pluralistica e democratica, potrebbe maggiormente incontrarsi e stabilire contatti proficui con la “cultura colta” delle università e con le altre agenzie educative, perché il territorio locale può costituire il punto di partenza su cui indirizzare e focalizzare l’indagine micropedagogica e gli interventi di studio, (miranti alla stesura di una politica coordinata di recupero ambientale e di fruizione del patrimonio esistente) che partano dall’analisi della realtà e attualità del presente, garantendo una corretta strategia educativa in grado di interferire, significativamente, con i continua esistenziali del soggetto nell’arco della sua formazione permanente. In questo contesto culturale e sociale, risulta insostituibile il contributo attivo e il ruolo militante e partecipativo delle associazioni, rappresentanti uno spaccato della base comunitaria, importanti forze e risorse umane, in grado, oggi, di sensibilizzare, educare, preparare al futuro, aiutando la formazione di nuove coscienze, volte al miglioramento della qualità della vita in questa nostra complessa società postindustriale. Tale obiettivo può essere raggiunto attraverso la conoscenza consapevole, perché è attraverso di essa che si giunge alla formazione di una coscienza. Solo in tal modo ci si potrà avvicinare ad un modello di cambiamento e trasformazione continui del paesaggio, evitando gli scempi già irrimediabilmente perpetrati.
In conclusione, una corretta politica culturale e ambientale non può prescindere dal protagonismo educativo dell’associazionismo, che occupa un settore qualificante all’interno del sistema formativo (privato sociale, volontariato, iniziative educativo- culturali) e che pertanto si propone quale risorsa pedagogica irrinunciabile per lo sviluppo in direzione pluralistica e democratica di un Paese aperto alle frontiere europee”.
Contro i miti del primato dell’economico e dell’individualismo, contro i tentativi di omologazione internazionale, si vanno oggi riscoprendo i valori dell’identità personale, culturale, sociale e quindi, i valori della comunità. Il bisogno di radicamento è sotteso all’attuale insorgenza del fenomeno associazionistico, del volontariato, dell’etnicità. Nell’associazionismo e nel volontariato si riconoscono attività pratiche, materiali, capaci di ristabilire legami sociali e simbolici, di rigenerare il senso di comunità, per ricolmare le fratture tra i comportamenti di produzione, consumo, ricomponendo in questo modo il senso unitario del vivere.


La terra di Brianza.
La riscoperta di sé nel giardino-territorio-ambiente, “genius loci per eccellenza”.


I beni culturali e ambientali attraggono per il loro insito valore simbolico, non solo perché dentro di noi si è sviluppata un’affezione positiva nei confronti di queste forme primarie e primigenie, ma anche perché la visione del bene rinvia ad un mondo simbolico tutto da analizzare e approfondire con il racconto autobiografico e attraverso il gioco dell’immaginario.
Il giardino possiede una storia interessante sul piano simbolico , è un genius loci per eccellenza, perché nella nostra storia di vita i giardini ci hanno educato anche al senso della bellezza e all’importanza del loro rispetto. Una sensibilità per il bene culturale e ambientale si costruisce nella genesi della nostra infanzia e della nostra storia di vita, di formazione e diventa poi luogo magico, luogo mitico e leggendario che si innesta nel nostro patrimonio mentale e non ci abbandona. Ciascuno di noi ricorda un giardino nella propria storia, che diventa significativo perché esistono sottili forme di richiamo al nostro mondo infantile, corrispondenze e sintonie tra oggetto esterno e qualcosa che si è costruito dentro di noi, che con la prospettiva autobiografica, pedagogica, cerchiamo di far riaffiorare.
I “giardini”, luoghi dell’ignoto e dell’immaginario ancestrale, mitico e fantastico, archetipi arcani e iniziatici della mente, abitano la nostra storia. Nei giardini urbani e suburbani, in un intreccio di rimandi e richiami subitanei, epocali, intergenerazionali, si svolge la rifondazione umanistica della cultura, perché il giardino è terra promessa di rinascita e resurrezione, in ciclicità storiche, stagionali, rituali, recupero del rapporto organico e rifondante, rigenerante con la natura, è narrazione e metafora, luogo di filosofia e politica, d'arte e poesia, matrice dell’origine del tutto, grembo di vita ed antro di morte, Grande Madre rigeneratrice, Potnia primigenia, araba fenice di ricorsive vite e continue rinascite. Il giardino d’illusione, di seduzione dei sensi, in profumi, luci e ombre, pieni e vuoti, voci e silenzi, albe e tramonti… è manipolazione cosciente ed estetica della natura, paesaggio portato alla perfezione archetipica, spazio mitico, luogo d’evasione, lontano dalla città e dalla vita sociale a cui si contrappone, avulso dalla gretta realtà, ambiente di reverie, sogno, reminescenza,  metafora di paesaggi intatti, immagine di remote essenze di nature incontaminate, dove la techne non ha esercitato dominio. Il giardino del ritorno alle origini, punto centrale, ombelico della terra madre, dove l’universo viene condensato in simboli e leggende e riportato ad unità d’insieme, è recinto protettivo dell’infanzia e permea le nostre esistenze… Il territorio stesso da salvaguardare dai soprusi  di un’urbanizzazione incontrollata e irrazionale, nella speculazione edilizia incalzante che deturpa l’estetica degli aspetti naturali, fisici e paesaggistici dell’ambiente antropico e culturale, diventa un valore, un “giardino delle intenzioni”, delle idee, degli ideali, di valori etici ed estetici, dove opera l’attività di animazione e dove l’operatore socioculturale si spende alla luce dell’integrazione, del rispetto del pensiero altrui, del confronto reciproco, nello scambio di opinioni e nella riflessione comunitaria. Nella “città invisibile” dove si intrecciano trame di storie e vissuti personali, di incontri e scontri, il territorio/giardino è l’hortus conclusus dei chiostri medievali, il ballatoio degli antichi cortili, nell’austerità di altarini sacri ai crocicchi delle vie, nel silenzio di cascine ricolme di penombre estive, nelle solitudini spasmodiche, solipsistiche di lugubri giornate uggiose, in cui si formulano idee, progetti e si approntano intenzioni, si riesumano ricordi, si riscoprono affinità emotive, immaginando situazioni e raccontandosi, raccogliendo narrazioni e metanarrazioni, condividendo la memoria storica collettiva; il luogo della mente, della riflessione, dello stupore di conoscere; il locus amoenus dell’ascolto di sogni e aspirazioni latenti, della ricerca, consapevolezza e riconquista di sé in scomode e continue transizioni… “ è questo il nostro kepos: lo spazio cognitivo interno”. Un ambiente finalmente a misura d’uomo (forse un’utopia?) da salvaguardare, preservare, valorizzare e rispettare nel recupero dell’esistente, dei “segni dei tempi” lasciati dai nostri predecessori. Il territorio multiculturale e interculturale che vede l’avvicendarsi degli spostamenti dei popoli, che mette a confronto diversità, etnie e difficoltà, aspiranti all’integrazione, all’accettazione dell’altrui differenza, non per sconfiggerla, deturparla, discriminarla, omologarla, ghettizzarla, ma per riconoscerla, rispettarla, nella valorizzazione reciproca, nel confronto socievole, è il luogo del vissuto personale, il genius loci per antonomasia, senza il cui significato si perde il senso di appartenenza ad un contesto comunitario, e si trascura l’importanza della consapevolezza nella partecipazione alle decisioni collettive, di cui non solo il legislatore, ma anche l’operatore socioculturale deve tener conto al fine di garantire il rispetto dei “segni dei tempi”, i beni culturali e ambientali, appunto, e preservarli intatti o sufficientemente leggibili e decifrabili per le generazioni future, difendendoli dalle aggressioni dell’inciviltà che tende ad omologare i caratteri del territorio, in nome di un falso progresso.



Laura Tussi



 

email: tussi.laura@tiscalinet.it  

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