IL SOGNO DEL GIARDINO E LA DIMENSIONE APOLLINEA.L'utopia della vita collettiva di giustizia e serenità
L’idea di giardino nell’immaginario collettivo come valore culturale. Risvolti di riflessioni umanistiche, antropologiche, ambientaliste e storiche
Laura TUSSI
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L’idea di giardino nell’immaginario collettivo come valore culturale.
Risvolti di riflessioni umanistiche, antropologiche, ambientaliste e storiche:
“Il sogno del giardino” .


di Laura TUSSI



Il ‘900 si apre con diverse idee di carattere filosofico, antropologico, relative al sogno analizzato da Freud, per primo, in chiave psicologica ed analitica, nel 1899 con “L’interpretazione dei sogni”, opera relativa al problema dell’inconscio teorizzato, suddiviso, da scandagliare negli anfratti più remoti, reconditi ed ancestrali della psiche, i cui studi sul contenuto latente, relativi al processo di rimozione e di autocensura hanno aperto innovative prospettive a tendenze irrazionaliste del secolo passato.


Per Nietzsche il sogno è “l’Apollineo”, contrapposto al”Dionisiaco”, l’ebbrezza, la creatività, l’irrazionale per cui, come studioso è stato ripreso e rivalutato per merito di Heidegger che nega la sua influenza di pensiero sul compimento della tragedia nazista, poiché sosteneva e difendeva solo l’elemento innocente, inteso ed identificato nell’”irrazionale”. In un’interpretazione fortemente antihegeliana “Il sogno del giardino” è la dimensione apollinea in cui si rispecchia la possibilità utopica della nostra vita collettiva, di una società potenzialmente più giusta e serena. Evidentemente il giardino che nell’immaginario ancestrale corrisponde all’interpretazione del mondo vissuto come nei tempi lontani, arcaici, remoti, non esiste attualmente come apportatore di speranza esistenziale residua, che auspichi nelle società contemporanee di cultura occidentale e non, e tra i popoli postmoderni una convivenza non tanto giusta e pacifica, ma corretta, priva di abusi ed atrocità. “Il sogno del giardino” è l’utopia per cui venga abolita la guerra continua “interna ed esterna”in cui viviamo nella complessa epoca postindustriale, è una fantasia razionale che non dimentica il duro rapporto con la realtà, una razionalità resa meravigliosa, lieve da una fantasia non chimerica ed arbitraria che diviene parabola ed allegoria della possibilità di un mondo fraterno di liberi ed  uguali, nel rispetto di altre diversità, “perchè crediamo nel valore educativo dell’utopia, contrapposta alla rigida conservazione, come passaggio obbligato dall’accettazione passiva del mondo alla capacità di criticarlo, all’impegno di trasformarlo” . Il giardino è l’utopia che risulta tradita, mistificata e falsata dall’uso più recente ed improprio dell’elemento naturale plasmato dall’artificio, dalla techne in determinate scelte impositive, mistificanti, condizionanti, che rendono difficile il lavoro degli urbanisti nella complessa società protagonista degli eventi epocali, fautrice dell’evoluzione storica postmoderna. Come è possibile giudicare od inventare la città oggi che viene vanificata in processi e dinamiche progettuali di pura mistificazione, dove l’elemento culturale non consiste più in un riferimento, tangibile, visivo, come manifestazione delle evoluzioni della storia, del relazionarsi degli eventi in tempi remoti, nella trasmissione e conservazione degli elementi ambientali e dei beni culturali, andando oltre l'utopia, tramite il concetto di recupero dell’ideale “giardino”, che diviene nell’immaginario dei popoli condizione essenziale per ristabilire l’antico accordo tra uomo e natura? Progetto utopico e simbolica promessa di rinascita nel recupero del rapporto autentico, organico con la terrestrità, il senso della grande madre terra, ormai, attualmente, da tutelare, difendere, valorizzare nel recupero dell’esistente, nell’attenzione per il rispetto ambientale del pensiero ecologista, delle migliori e ponderate strategie urbanistiche che ristabiliscano i legami, le relazioni dell’uomo con la Terra, l’origine, come valore esistenziale, tramite il senso e sentimento di una geograficità originaria. Le Corbusier, con l’opera “La carta d’Atene” sfronderà le barriere del secondo ‘900, perché in essa è criticata la struttura ed impostazione della città tipo, per un nuovo modello di città moderna da abitare, in cui lavorare, muoversi e distrarsi. Ipotizzava centri urbani in cui l’elemento vegetale, il verde, si amalgamasse ai volumi costruiti. L’idea di “città verde” composta da elementi sia fisici, naturali, sia antropici, culturali che emergono dall’elemento vegetale, risale agli anni ’20 e ’30 del secolo trascorso ( “tutta la città sarà coperta di verde; l’aria e la luce vi si troveranno in profusione”). Attualmente, l’urbanistica contemporanea, prevede la riduzione nelle città dell’elemento fisico/naturale in parchi con una funzione mistificante di finzione rispetto al proprio tempo, perché propongono ambiti e spazi di divertimento, distrazione fine a se stessa, evasione nell’artificio, per cui detraggono, ostruiscono e volgono attenzione in un “altrove" fittizio, imposto dalle dinamiche di mercato, consumistiche del sistema capitalistico vigente, veicolatore dello strapotere formalizzato dell’economico, in uno sradicamento forte rispetto agli ideali del ‘900 che tentavano ancora un recupero ambientale, come valore comune e condivisibile, proprio del popolo, speso e praticato nella società, retaggio per l’avvenire, preziosa eredità per le future generazioni, che attualmente vivono il disagio causato dalla perdita del topos, per lo smarrimento dal luogo, privati di un’identità comune, riconoscibile in una matrice culturale originaria fondante, che accomuni le culture, le civiltà, nell’incontro, nel confronto interetnico, di interscambio tra le diversità emergenti dallo spettro prismatico dei generi, dal pluriverso delle differenze.


La riscoperta di sé nel giardino-territorio-ambiente, genius loci, luogo utopico dell’anima . Brianza Ex giardino d’Europa…


I beni culturali e ambientali attraggono per il loro insito valore simbolico, non solo perché dentro di noi si è sviluppata un’affezione positiva nei confronti di queste forme primarie e primigenie, ma anche perché la visione del bene rinvia ad un mondo simbolico tutto da analizzare e approfondire con il racconto autobiografico e attraverso il gioco dell’immaginario.
Il giardino possiede una storia interessante sul piano simbolico , genius loci per eccellenza, per antonomasia, perché nella nostra storia di vita i giardini ci hanno educato anche al senso della bellezza e all’importanza del loro rispetto. Una sensibilità per il bene culturale e ambientale si costruisce nella genesi della nostra infanzia e della nostra storia di vita, di formazione e diventa poi luogo magico, topos mitico e leggendario che si innesta nel nostro patrimonio mentale, nell’immaginario individuale, e non ci abbandona. Ciascuno di noi ricorda un giardino nella propria storia, che diventa significativo perché esistono sottili forme di richiamo al nostro mondo infantile, corrispondenze e sintonie tra oggetto esterno e qualcosa che si è costruito dentro di noi, che con la prospettiva autobiografica, pedagogica, antropologica, cerchiamo di far riaffiorare.


I “giardini”, luoghi dell’ignoto e dell’immaginario ancestrale, mitico e fantastico, archetipi arcani e iniziatici della mente, abitano la nostra storia. Nei giardini urbani e suburbani, in un intreccio di rimandi e richiami subitanei, epocali, intergenerazionali, si svolge la rifondazione umanistica della cultura, perché il giardino è terra promessa, feconda e sacra di vita, di rinascita e resurrezione, in ciclicità storiche, stagionali, rituali, recupero del rapporto organico e rifondante, rigenerante con la natura, è narrazione e metafora, luogo di filosofia e politica, d'arte e poesia, di fecondità ricche e fertilità inesauribili, matrice dell’origine del tutto, grembo di vita ed antro di morte, Grande Madre rigeneratrice, Potnia primigenia, araba fenice di ricorsive esistenze e continue rinascite. Il giardino d’illusione, di seduzione dei sensi, in profumi, luci e ombre, pieni e vuoti, voci e silenzi, albe e tramonti… è manipolazione cosciente ed estetica della natura, paesaggio portato alla perfezione archetipica, spazio mitico, luogo d’evasione, lontano dalla città e dalla vita sociale a cui si contrappone, avulso dalla gretta realtà, ambiente di reverie, sogno, reminescenza,  metafora di paesaggi intatti, immagine di remote essenze di nature incontaminate, dove la techne non ha esercitato dominio. Il giardino del ritorno alle origini, punto centrale, ombelico della terra madre, dove l’universo viene condensato in simboli e leggende e riportato ad unità d’insieme, è recinto protettivo dell’infanzia e permea le nostre esistenze… Il territorio stesso da salvaguardare dai soprusi  di un’urbanizzazione incontrollata e irrazionale, nella speculazione edilizia incalzante che deturpa l’estetica degli aspetti naturali, fisici e paesaggistici dell’ambiente antropico e culturale, diventa un valore, un “giardino delle intenzioni”, delle idee, degli ideali, di valori etici ed estetici, dove opera l’attività di animazione e dove l’operatore socioculturale si spende alla luce dell’integrazione, del rispetto del pensiero altrui, del confronto reciproco, nello scambio di opinioni e nella riflessione comunitaria. Nella “città invisibile” dove si intrecciano trame di storie e vissuti personali, di incontri e scontri, il territorio/giardino è l’hortus conclusus dei chiostri medievali, il ballatoio degli antichi cortili, nell’austerità di altarini sacri ai crocicchi delle vie, nel silenzio di cascine ricolme di penombre estive, nelle solitudini spasmodiche, solipsistiche di lugubri giornate uggiose, in cui si formulano idee, progetti e si approntano intenzioni, si riesumano ricordi, si riscoprono affinità emotive, immaginando situazioni e raccontandosi, raccogliendo narrazioni e metanarrazioni, condividendo la memoria storica collettiva; il luogo della mente, della riflessione, dello stupore di conoscere, in intime melanconie, in intrecci proteiformi di pensieri sospesi tra la vita e la morte; il locus amoenus dell’ascolto di sogni e aspirazioni latenti, della ricerca, consapevolezza e riconquista di sé in scomode e continue transizioni… “ è questo il nostro kepos: lo spazio cognitivo interno”. Un ambiente finalmente a misura d’uomo (forse un’utopia?) da salvaguardare, preservare, valorizzare e rispettare nel recupero dell’esistente, dei “segni dei tempi” lasciati dai nostri predecessori. Il territorio multiculturale e interculturale che vede l’avvicendarsi degli spostamenti dei popoli, che mette a confronto diversità, etnie e difficoltà, aspiranti all’integrazione, all’accettazione dell’altrui differenza, non per sconfiggerla, deturparla, discriminarla, omologarla, ghettizzarla, ma per riconoscerla, rispettarla, nella valorizzazione reciproca, nel confronto socievole, è il luogo del vissuto personale, il genius loci per antonomasia, senza il cui significato si perde il senso di appartenenza ad un contesto comunitario, e si trascura l’importanza della consapevolezza nella partecipazione alle decisioni collettive, di cui non solo il legislatore, ma anche l’operatore socioculturale deve tener conto al fine di garantire il rispetto dei “segni dei tempi”, i beni culturali e ambientali, appunto, e preservarli intatti o sufficientemente leggibili e decifrabili per le generazioni future, difendendoli dalle aggressioni dell’inciviltà che tende ad omologare i caratteri del territorio, in nome di un falso progresso.


Il giardino come immaginario storico delle origini. Dal periodo arcaico alla modernità.


Nella civiltà, negli usi, costumi, canti, feste e rituali, e globalmente nell’immaginario delle “popolazioni altre” non appartenenti alla nostra cultura prettamente occidentale, la foresta, il bosco sono luoghi di vuoto, pieno di potenza, in quanto contenitori di tutti “i possibili”, le potenzialità da volgere in atto, fondando il cardine dell’essere. Non siamo più connessi alla madre, alla matrice originaria del tutto potenziale, privi di riferimento con l’origine, la natura, l’ambiente, il creato, di conseguenza interpretiamo ed intraprendiamo la fusis, il selvaggio, l’esotico per evasioni, fughe, dimenticanze, finzioni, così si annoda un rovesciamento/ribaltamento da tutto il possibile (il bosco) al nulla dell’artificio, dinamica che rientra nel percorso consapevole, ma irrefrenabile di una situazione collettiva attuale. La critica nel presentare la storia e l'evoluzione dell'idea di giardino è profonda. L'esigenza contemporanea, attuale di risacralizzazione ricrea l'ambiente utopico e archetipo del bosco ed insegue, nel miraggio della foresta vergine, i percorsi dell'anima. Ma questa società verso chi vuole proteggere la natura se non verso se stessa? Inoltre anche le riserve naturali costituiscono una sorta di risarcimento, un ignobile pretesto, una licenza illecita alla distruzione delle zone non protette. La parola cultura, strettamente legata alla nozione di coltivazione (colere), con le caratteristiche di non essere cultura dell’utile, ma dimensione particolare del giardino, prima Hortus, luogo delle primizie, diventa subito anche giardino dell’estetica, della dimensione formale della cultura. Il giardino dell’arte miscela lo spazio fisico, l’esterno, con la domus, l’interno, in un intimo intreccio tra vita e cultura, in cui si posizionano, entrando in relazione, le esperienze, i racconti di rimandi narrativi ed assumono significato di tradizione, nel rapporto tra civiltà e sacralità, tra saggezza materiale ed immaginario.


Il paesaggio fantastico, simbolico, rituale, leggendario, arcano della reverie, di reminescenze remote e memorie passate, storiche, collettive o personali, quindi luogo mitico, magico, sacro, ormai avulso dalla mera esperienza, ma retaggio di un passato da custodire nel ricordo commemorativo della rimembranza, si sovrappone allo spazio/ambiente reale, concreto, moltiplicandolo, in intrecci e trame incestuose di rimandi subitanei, istantanei di elementi tradizionali, culturali, antropici, diventando così un insieme fantastico, in continua evoluzione nell’interiorità creativa, non un tutto omnicomprensivo esterno, esteriore tipico di certe fantasie stereotipate in un altrove estraneo, che non ci appartiene, ma diviene recupero e riappropriazione del personale ed individuale immaginario, unico perché personale, originale, irripetibile, non riproducibile in clonazioni di sorta, dove si intreccia la sacralità, in rimandi esperienziali di vissuti significativi, fondanti di narrazioni con valori intrinseci, legati all’unicità dell’interiorità individuale. Nelle piante sacre, fortemente simboliche, presenti nella storia, nella mitologia, nell’immaginario leggendario collettivo, che fanno parte profondamente e visceralmente del bagaglio culturale dell’umanità, come il Grande Albero Cosmico, nel suo movimento di discesa e salita verso l’Eden, il Paradiso Perduto dell’età dell’oro, si intravede l’intricata trama vegetale, che impernia la nostra cultura e travalica, sfronda i muri, i perimetri del giardino, svelando senso e significato mnestico, intellettivo, esistenziale, imprescindibile, in quanto intreccio dell’immaginario, proponendo una modalità teoretica, contemplativa nello sguardo della relazione, come impossibilità di cogliere ogni elemento indipendentemente dal rapporto con l’altro da sé. La trama intrecciata, intricata, incestuosa di rimandi istantanei, subitanei, l’intreccio moltiplicatore di concreto, fantastico, onirico risulta fattore di disvelamento culturale delle coscienze, nell’evoluzione storica e parallelamente mitologica e leggendaria dell’immaginario collettivo, nell’evoluzione degli eventi, dei tempi, delle civiltà. La trama vegetale, nell’apoteosi floreale, partendo dal giardino, quintessenza concettualizzata di paesaggio, dove le concezioni estetiche si intrecciano a polimorfe percezioni etiche, filosofiche , politiche, permette la scoperta delle civiltà, delle culture d’influenza susseguitesi nei tempi, assimilate, conglobate in processi osmotici dagli spazi artificiali, suggerendo, suscitando sguardi di relazione, come impostazione di dinamiche teoretiche, contemplative, nel processo di apprendimento che permette di leggere, interpretare, scandagliare le relazioni tra elementi, che diventano patrimonio culturale di esperienze, vissuti nel ricordo, nella narrazione di sé in rapporto all’ambiente, alla creazione circostante esterna al sé ontologico. L’anima apollinea del sogno, dell’utopia, l’elemento vegetale diventa l’ambiente di vissuti, in cui esistiamo, che può essere rivisitato, ristrutturato attraverso la mente razionale, ermeneutica, interpretativa delle relazioni tra elementi attraverso la contemplazione estetica, teoretica, estatica nella sospensione riflessiva, in evidenti fenomenologie di rivelazioni in arcane essenze di elementi narrativi colti da intuizioni feraci, istintive.


L’ambiente può essere selvatico, costituendo lo spazio ipotetico, potenziale dell’eventuale conquista del domani futuro, diventando spazio di addomesticazione, di azzeramento, per cui il paesaggio dichiara la resa, la rassegnazione nei confronti del rapporto di potere dell’uomo sul territorio, presentando l’utopia, l’ipotesi che si possano imparare ed instaurare relazioni di convivenza amicale con il paesaggio stesso in una dimensione, forse utopica, di piena realizzazione vitale del sé.


L’etnobotanica individua domande e problemi circa l’inserimento dell’uomo nell’ambiente, riconoscendolo e rinominandolo, scoprendo così il significato culturale originario ed economico del territorio. Quindi attorno all’ambiente/paesaggio, al giardino si costituisce un alone misterico, una dimensione utopica. Infatti il giardino è una fonte di svariate, multiformi tradizioni orali e scritte tramandate in mitologie cosmogoniche di creazioni universali del principio, del cosmos, rimiscelato, scaturito dal disordine primordiale dal caos primigenio, che rimandano ad un intreccio ibrido di culture, di testi scritti, di leggende popolari, di tradizioni etniche, racconti dell’immaginario personale e collettivo, di fonti naturali, viventi, tangibili, pietrificate, di acque, di rocce, di sorgivi, ruscelli immersi nel verde, per cui risulta una dimensione impossibile da riassumere e sviscerare completamente. Elémire Zolla dedica spazio nel libro “I luoghi dell’aura”, agli ambienti che possiedono un genius loci, un’aura spirituale, sacrale, come i giardini, luoghi sacri, sacelli di potenza e potenzialità intrinseche, di profondo e viscerale spirito, carisma, che vanno interrogati, letti, interpretati…accompagnando l’individuo nel suo evolutivo percorso storico, esponendo l’aspetto più intimo spirituale del suo esistere ed essere al mondo, nel valore significante di appartenenza alla terra madre origine comune, domanda cardine e risposta ultima dell’errare incessante dell’uomo, come riminescenza antica di una perduta età dell’oro, di una vagheggiata perfezione remota, arcana…


La perdita del territorio e l’alienazione del soggetto. La didattica del giardino-territorio: mediatore di relazioni tra individui.


La rivoluzione industriale annulla la distanza tra città e campagna, avviando la perdita, la scomparsa del paesaggio naturale, fisico, e, di conseguenza, l’annientamento del valore autentico del giardino e della capacità stessa di leggerne i segni, i simboli, i richiami, le metafore, le allegorie, le alchimie…
Il ‘900 annulla il giardino e lo ricrea a suo modo, delineando un lavoro sul paesaggio antropico, costruito dall’artificio, per cui, attualmente, non risulta ormai possibile collegare il giardino con l’arte del paesaggio, vedendolo come disse Benjamin, chiuso come una stanza ed aperto come il mondo, nell’epoca della riproduzione tecnica su larga scala, ricostruendo e vagheggiando in esso la formalità dell’armonia, della bellezza, poiché non ispira più come corpo vivente inserito nel tessuto territoriale, ma risulta meramente una struttura formale, disancorata, avulsa dal contesto ambientale originario, non costituisce ormai un punto di ricognizione peculiare relativo alle problematiche della territorialità. Esistono collegamenti, nessi, rapporti stretti, relazioni tra i giardini dei morti, dell’Ade, dell’oltretomba, come ambienti d’oasi, di rimembranza nel richiamo profondo con l’arte totale di costruire il territorio e suscitare, ripristinare la celeste corrispondenza d’amorosi sensi, con i trapassati nell’ultraterreno, così considerando il sogno della terra e del paesaggio in tutte le sue forme ed i suoi percorsi, si mantiene il riferimento tra cultura materiale e spirituale, con il grande immaginario archetipico, senza disarticolare il giardino dall’idea ancestrale originaria di matrice, come moltiplicazione all’infinito dell’immaginario mitologico, leggendario, narrazione fantastica ed interpretazione del territorio, con i suoi fenomeni naturali e soprannaturali, che si esprime in modo multiforme, proteiforme, camaleontico interagendo tra forme di giardino pensato, premeditato, rappresentato attraverso l’arte o realmente costruito, architettato, inserito in giochi di rimandi non scindibili dal tutto, ma miscelabili, amalgamabili.


Il percorso visivo all’interno del giardino interagisce con la modificazione della coscienza, indotta dalle piante, dal repertorio vegetale, dalla trama del verde. Il rapporto fondamentale della relazione tra uomo e piante rispecchia palesemente la modalità interattiva profonda con la madre terra. Così l’etnobotanica apre un modo nuovo di leggere la storia dell’immaginario, intimamente collegato alla nostra anima vegetale, rivelando come risultiamo ibridati con le atmosfere, la roccia, l’acqua, il cielo,  l’aria, la flora, la fauna…Quando il rapporto esosistemico, esogeno e, parallelamente, endogeno, intrapsichico dell'uomo con l'ambiente ed il territorio degenera, degrada, inibendosi, diventando inabile, ingestibile, inagibile, non praticabile, occorre ritrovare e recuperare modalità per reimpostare forme di relazione, di rapporto interagente, interattivo con l’ecosistema. L’idea di giardino comporta l’esigenza di trovarne un’identità, non solo mettendone in relazione, architettonicamente, più ordini, ma considerandone l'estetica, la teatralità intrinseca, nella capacità proteiforme di istituire gradi, gerarchie dell'immaginario, suscitare sentimenti, emozioni, stati d'animo, rendendoli visibili, per cui attualmente usiamo lo spazio/giardino come grande ideatore o promotore semiotico, simbolico, metaforico di identità plurime che mancano o si vanno sfaldando.


Nel momento in cui l’identità soggettiva della città vacilla per mancanza di senso di comunità, di cui si è persa ogni sorta di valore, i nuovi giardini tentano di ricostruire un’immagine urbanistica attraverso l’arte della costruzione e la reimpostazione dello spazio/ambiente a misura d’uomo, all’interno di un ambito di riedizione, riproposizione del naturale, con cui ricollegare intimamente rapporti, esperienze, vissuti, dove vedere e vivere acque, piante, sorgivi, rocce, a volte animali, con cui nella quotidianità non si sviluppano relazioni esistenziali strette, così tramite l’arte di ricostruzione dello spazio/tempo perduto, impostando nuove esperienze con esso, riallacciandovi ricordi e legami emotivi, affettivi, nel recupero di vissuti, di eventi, tramite la rievocazione spontanea che l’elemento naturale suscita.
Il giardino carnale, sensuale, sensuoso perché interattore intrapsichico, inventore territoriale straordinario, luogo, non-luogo, della psiche, utopia della fusis, spazio fisico del naturale, quanto della techne, dell’arte, tecnica dell’artificiale, in quanto modalità interpretativa, ermeneutica di riflessioni relative all’esistente, al mondo esterno, attraverso il processo dell’artificializzazione e tramite i nessi con il paesaggio come arte territoriale globale, antropica, tipica tipologia creativa dell’essere umano in varie etnie, diversi luoghi e differenti fattori spazio/temporali.
Il giardino diventa costruttore di alterità ed altruità reciproche, vicendevoli, interagenti, interattive nello spazio, ideatore, inventore di nuove identità e di plurime esperienze dell’altrove, in ampie aperture prospettiche di pensiero verso il proprio interiore paesaggio straniero, spesso abitato da disagi e sofferenze, nella sospensione del tempo, in costruzioni diacroniche, di interiori anamnesi ed autoscopie, in commistioni sincroniche di territorialità immaginarie, come se inventasse spazio e tempo altro dalla realtà. Mentre può immergere profondamente, a livello carnale, viscerale, sensuoso nella territorialità e terrestrità, allo stesso tempo risulta straordinario creatore di diverse, ibride, promiscue alterità, di altrove infiniti, divergenti, in fantasiosi sincretismi culturali, perché il giardino diventa topos in cui rappresentare, creare, ripristinare un mondo ideale, utopico edonistico, del piacere sensuale, il Paradiso perduto, dell'età dell'oro, nei retrofondi dell'Eden carnale, sensuoso, sublime di essenze naturali, esotiche, evanescenti in giochi egoici di illusioni di chiari e scuri, di luci, umori ed ombre, in tutte le tonalità cromatiche, liriche, che come luogo costruito in determinati spazi territoriali, si trasforma in inventore, prestigiatore teatrale, narratore polifono, in allettanti lirismi, all’interno di palcoscenici scenografici proteiformi, camaleontici che non terminano mai racconti, epopee, liriche, rapsodie, rappresentazioni simboliche, fasti e tragedie, narrazioni e canti, feste, giochi, non è mai chiuso, pur essendo recinto, il giardino è un cantore, cantastorie all’infinito e creatore di rimandi di altre e molteplici narrazioni, fili sottili di trame intricate in labirinti sinuosi di pensieri e ricordi che ricollegano i differenti immaginari nel pluriverso delle identità, delle tipologie intrasoggettive, in elementi ermetici e fascinazioni incessanti di metamorfosi alchimistiche di allegorie mitologiche, metaforiche…
Il giardino assume importanza come testo storico, filosofico, politico, progetto di innovativi modelli di società, che interagiscono con le utopie, nei tempi  antichi e recenti, e diventa agente primario sulla base dell’organizzazione dell’assetto territoriale e, contemporaneamente, grande messa in scena a livello di decisioni e dispute politiche, come luogo e fonte causale di dibattiti e scontri tra diverse posizioni, progettualità, idealità e visioni della società nel suo complesso sistema…


Non solo nel ‘700 il giardino dimostrava la potenza regale, l’altisonanza sociale dei titoli nobiliari dei legittimi detentori, proprietari, ma anche una sottile rappresentazione del potere è implicita al suo interno, come quando si strutturano straordinari e magnifici giardini incantati, contenitori di una territorialità che oramai non esiste più e di merci feticcio, di distrazione, di vacua, evanescente, futile evasione, nel tornaconto di coloro che a questi scopi patteggiano la disponibilità del territorio. Dal’900 si assiste ad un ritorno, appunto, del giardino, caratterizzato dai grandiosi parchi ludici, ricreativi, contenitori anonimi di consumismo imperante, con funzione riparatrice rispetto al degrado circostante della realtà territoriale urbana, all’inquinamento, al dilagare sfrenato, imposto da scelte irrazionali dei piani paesistici, dell’elemento cemento nella metropoli, per cui il parco divertimento diviene oasi salvifica artificiale di verde, ultima sponda riparatrice e soccorritrice  al disagio esistenziale dilagante nel sistema urbanistico, con funzioni definite sarcasticamente di “tipo igienico”. Dunque “il giardino del piacere”, che è archetipo dei luoghi come Disneyland, mondi alla rovescia di sospensione del tempo normale nello spaesamento indotto dalla trasgressione, dal riso euforico, irrazionale, irriverente, proiettato nel ludus dell’illusione, nella sospensione dalle regole dello spazio civico quotidiano, di un immaginario manipolato tramite zone incantate vissute come vere, meri scenari effimeri, troppo perfetti per essere narrati, costituisce un fenomeno preoccupante come prototipo di luogo di consumo, di speculazione non solo sul tempo libero dedicato alla ricreazione, rigenerazione del sé, ma sull’uso improprio della territorialità manipolata, resa fittizia, nella distorsione del rapporto con l’individuo. Nei parchi di divertimento si vive un’esperienza anomala, surreale, fittizia, distorta avulsa dalla realtà quotidiana, separata dal presente sperimentabile, in cui l’individuo diventa attore di molteplici, subitanee, improvvise, incessanti, assordanti finzioni, in mondi “altri” privi di rapporto intrinseco, autentico di naturale continuità con la territorialità circostante, patteggiata per la ricostruzione di dimensioni anonime e fittizie, che , come tali hanno scopo di far vivere esperienze evasivo/compensative rispetto alla realtà effettiva, secondo una componente negativa dissociativa, un aspetto distorto della fruizione del giardino ed in esso del puro elemento naturale riproposto e ricostruito creativamente, in paradossi enantiodromici, opposti, contrari, in ambivalenti percezioni di inevitabili tautologie sul senso fondante dell’esistere, circoscritto in vacui e provvisori sillogismi.


Il discorso compensativo identifica con rigore i parchi divertimento che non concernono l’idea originaria di giardino come archetipo dell’anima, dell’origine…Nel parco di divertimenti si vive il sogno fittizio, vacuo, effimero l’allucinazione dell’altisonante mondo edonistico del desiderio ricostruito, preimpostato, preconfezionato, che ha perso la naturale profondità dell’anelito al meraviglioso, per l’idea impositiva del consumo di massa che, un tempo, nel periodo postbellico, del boom economico, suscitava ripugnanza, rifrazione snobistica, oggi risulta essersi sofisticato, perché crea gerarchie, riproduce le società, diventa creatore di miti e mitologie moderne, che in parte costituiscono l’immaginario collettivo attuale.


Negli anni ’80 torna un giardino raffinato dal punto di vista del design, dell’arte, come luogo di rifondazione di una comunità ormai vacillante, precaria, grande contenitore di eventi nella promozione, nella narrazione di episodi culturali, nella moltiplicazione di infinite potenzialità in riedizioni e recuperi di connubi vincenti di arte e natura, dove le opere d’arte tornino da protagoniste. Il giardino, in realtà, si presenta sempre più come interutopia, luogo dell’astratto, astrazione fantastica  dell’immaginazione creativa che potenzialmente mette in scena identità fittizie, ricostruendole come simulacrali… Il nostro immaginario è molto colonizzato dalla società dei consumi, veicolata dallo strapotere massmediale dal mito allucinatorio dell’effimero, tanto da mettere in discussione, confutare ab imis, l’idea forte di giardino, locus amoenus di incontri amicali, di solitudini condivise e colloquiali, nel profondo rapporto con l’intima anima vegetale ed animale, attraverso giochi di rimandi nell’immaginario, germogliando idee e progettualità future dalla fantasia autopoietica, dalla creatività poliedrica e plurinarrativa del racconto simbolico promotore semantico di relazioni amicali in luoghi  utopici di rottura, scissione, a livello ludico, ricreativo, rigenerante, con le convenzioni e gli sterepotipi sociali, per cui la funzione fondamentale dell’idea giardino è far vivere il sogno nell’accezione profonda di dimensione desideriale di stupore  di fronte al meraviglioso, all’elemento interiore fantastico, nel senso imprescindibile del ‘900, nel recupero del mondo infantile come risorsa cognitiva, fautrice di sogni, creatrice di fantasie infinite, di desideri abissali, di conoscenza interna ed esterna al sé.


Il giardino si trasforma così in tematica multidisciplinare ed interdisciplinare spendibile e proponibile in labirintici laboratori di riflessioni, pensieri e parole infiniti, perché richiama ambiti didattici e curriculari diversi, come stimolo di momenti  progettuali all’interno dello spazio classe e del territorio che lo ospita e che accoglie tutti senza discriminazioni di sorta, al fine di ricostruire percorsi polivalenti di vissuti esperienziali individuali, personali con la natura, il creato, come base fondante di effettiva conoscenza ed esperienza pratica ed autentica con il mondo animale e vegetale, solitamente vissuto, da tutti noi, giovani e adulti, immersi in anonime ed indifferenziate realtà urbane,  come luogo e ambito di pura astrazione tramite i sussidi cartacei didattici e non, che i massmedia o la scuola propinano, poiché abbiamo purtroppo smarrito il contatto, l’appartenenza alla natura ed il bagaglio esperienziale, patrimonio culturale, di vissuti collettivi e personali con la fusis, l’ambiente, la creazione circostante, tramite stili cognitivi e metacognitivi che implicano la capacità di tollerare le incertezze, le solitudini, per imparare a stare mentalmente soli, indipendenti, pur insieme agli altri, ascoltando lunghi silenzi interiori rigeneranti… 


Il giardino non presenta barriere, discriminazioni, muri interrelazionali, limiti xenofobi, ma è ospitale, accoglie l’altro, le differenze senza negarle, come ricchezza di conoscenza perché concerne la novità, il meraviglioso, il fantastico nel racconto poliedrico, prismatico di immaginari ancestrali tramite ibride serie di rispondenze, sintonie, simboli, profondità spirituali, accomunati dal sentimento del sublime, divenendo immenso segno e retaggio di memorie storiche e collettive, continuando il legame profondo con il paesaggio naturale ed antropico, tramite l’invenzione creativa, l’artificio fantasioso, rinnovando il legame implicito, riedificante, con la territorialità.


LAURA TUSSI 

email: tussi.laura@tiscalinet.it  

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