Mezzanotte profonda - di Tahar Lamri
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di Tahar Lamri


Nella mia lingua Dio si dice “Allah”.


Nella mia lingua mamma si dice “mama” e papà si dice “baba”.


No, non c'è differenza, loro mi rispondono lo stesso.


Sara El Assad (Marocco, 6 anni) – Premiata al concorso Eks&Tra, Mantova, Ed. 2004


Il baobab è l'unico albero, che per forma, assomiglia ai narratori, perché quando è spoglio sembra aver le radici per aria


“Nel mio cammino verso sud, mi fermo a Velingara dove due bambini liberiani mi dicono «Ci sono stati combattimenti terribili vicino a casa nostra. Allora siamo fuggiti. Abbiamo camminato, camminato e ancora camminato. Siamo andati a Dakar, ma lì non c'è niente da fare, poi siamo scesi a Thiès. Forse è meglio andare a Bamako. Se non ce la facciamo neanche lì andremo ad Abidjan».


A Dialakoto, incontro due talibé. Bassirou, il più giovane mi racconta che si alza all'alba, e dopo aver fatto la preghiera, prende il suo vecchio barattolo di pomodori e così percorre la città porgendo il barattolo agli uomini di buona volontà. Mi dice che ha ormai imparato diversi capitoli del Corano, adesso che ha tre anni di «daara» alle spalle, e che se non porta abbastanza soldi la sera il Marabout lo bastona. Mi fa anche vedere alcuni segni, «però sono più fortunato di quello lì» dice, indicandomi un bambino che veniva dalla nostra parte. Arrivato alla nostra altezza il bambino dice:


«Salve, sono Iqbal Massih, vengo dal Pakistan. Ho otto anni e lavoro 18 ore in una fabbrica di tappeti per riscattare il debito contratto dalla mia famiglia per far sposare mia sorella. Sono stato assassinato un 16 aprile perché avevo detto: «non comprate il sangue dei bambini», però più che per me, piango per lui là, e mi indica un altro bambino, che veniva dalla parte di Dienoun Diala, questi dice:


«Ciao sono Mirko di madre serba e di padre bosniaco, mio nonno era croato e mia nonna slovena, mio bisnonno montenegrino e mia bisnonna macedone. Non so dove andare. Questo mio amico – e mi indica un bambino che veniva da Niokolo Koba – può venire con te? Il bambino, mi dice: «Non ho un nome, mia madre era Tutsi e mio padre Hutu, vengo dal Ruanda». Poi sono arrivati tanti altri bambini. Non li posso ricordare tutti. C'erano bambini Rom che venivano da Roma, bambini turchi che venivano dalla Germania, bambini presi in trappola nella Casbah, bambini della Cambogia, poi c'era una bambina nuda, in bianco e nero, perché veniva dalla memoria, era vietnamita. Tanti bambini, da Medellin e da Cartagena, da Bandung e da Brescia. Abbiamo formato una lunga colonna. Poi quando siamo arrivati a Niokolo Koba, all'entrata del Parco Nazionale di Tambacounda, tutti i bambini si sono trasformati: chi in zebra, chi in elefante, chi in koala, chi in airone e c'è persino chi ha scelto di essere una leggera, leggerissima cavalletta.


Io ho proseguito il mio viaggio a Fodekounda, né triste né contento. Cercavo negli occhi della selva i miei amici senza trovarne alcuno. Ad un certo punto sento un baobab millenario che mi chiama. Il baobab è l'unico albero, che per forma, assomiglia ai narratori, perché quando è spoglio sembra aver le radici per aria. Abbraccio i suoi dieci metri di circonferenza, mi arrampico sui suoi rami. Arrivato quasi in cima mi faccio un nido e sto lì.


Da allora, io Nicola di Mira, dopo aver abbandonato le mie renne e sparso inutilmente i doni ai quattro angoli della terra, non sono più sceso dal mio baobab


http://www.racine.ra.it/meticcia/NUM6/controluce6.htm



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