Tano D'Amico racconta la storia di una sua foto che rappresenta una bimba che poi si sarebbe fatta esplodere a Gerusalemme "La bambina diventata kamikaze" di ANDREA DI NICOLA
Ayat Akhras (Foto di Tano D'Amico)
ROMA - Quattro anni di seconda Intifada, migliaia di morti da una parte e dall'altra. Bambini, adolescenti, ragazzi dei campi profughi palestinesi o giovani israeliani colpiti nella loro quotidianità dai devastanti attacchi dei kamikaze. Una di loro, Ayat al Akras, si fece esplodere all'ingresso di un supermercato a Gerusalemme uccidendo anche una ragazza israeliana, Rachel Levy, la cui colpa era di entrare in quello stesso luogo insieme con la coetanea che sarebbe diventata la sua assassina. Quella ragazza palestinese era stata fotografata dodici anni prima da Tano D'Amico, ancora bimbetta, viso imbronciato, capelli in disordine, "un volto che racconta un luogo e un'epoca" come dice il fotoreporter.
Tano D'Amico, come nasce quella foto? "Ero nel campo profughi di Deshaise, sotto Betlemme, erano i primi anni Novanta, in piena prima Intifada. Ho passato con quei bimbi un pomeriggio e mi hanno raccontato di non aver mai visto Betlemme o Gerusalemme e nemmeno il mare. Mi fecero impressione".
Perché? "La vita per loro era correre in mezzo al fango d'inverno, nella
polvere d'estate, per scappare da giovani indivisa che gli passavano con gli scarponi sulle manine se solo facevano il segno della vittoria e se continuavano li prendevano e poi li abbandonavano in campagna o al buio in gabbie per cani".
Come le erano sembrati quei bambini? "Pieni di vita, Ayat poi mi dava retta, voleva raccontare si vede dagli occhi. Per un fotografo i bambini sono più attenti alla vita, anche alla vita che gli è tolta".
Poi ha visto la bimba trasformata in kamikaze... "Ho visto le immagini in tv ma non volevo vedere. Meno male, ho pensato, non sarò mai sicuro che è lei. Poi quando sono tornato a Betlemme il collega giornalista che mi aveva accompagnato la prima volta voleva parlarmi di Ayat, io cercavo in tutti i modi di non farmi dire quella cosa. Alla fine lui mi disse: 'Ricordi quella bambina?' Ricordavo, per me era impossibile dimenticare".
A quel punto non poteva chiudere gli occhi... "Continuavo a dirmi 'lei no, lei no'. Ci sono persone che ti sono epidermicamente care ed ho continuato a sperare che potesse essere qualcun altro. Ho coltivato la speranza che fosse un'altra anche quando ho incontrato il padre e la madre di Ayat, speravo mi dicessero: 'Non era la nostra bambina...'".
Durante la seconda Intifada è tornato in quei luoghi? "Si ci sono stato e penso di tornarci presto e devo dire che nella prima Intifada c'erano dovunque grandi speranze, nella seconda no e questo si rispecchia nella vita e nella morte della bambina".
(27 settembre 2004)
http://www.repubblica.it/2004/g/sezioni/esteri/moriente10/tano/tano.html
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