I MATRIMONI TRA CATTOLICI E MUSULMANI
Tesina di laurea in Mediazione Linguistica e Culrurale di Roberta Fassoli
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I MATRIMONI TRA CATTOLICI E MUSULMANI




Il termine “matrimonio misto” viene comunemente utilizzato per indicare tutti quei matrimoni (civili e/o religiosi) i cui contraenti appartengono a nazionalità, culture, lingue e a volte religioni differenti. In realtà “matrimonio misto” è sinonimo di “matrimonio interconfessionale” e concerne una particolare forma di matrimonio religioso, quello previsto in caso di unione fra un cristiano cattolico e un cristiano battezzato che però non è cattolico (protestante, ortodosso, ecc.). Bisognerebbe quindi genericamente parlare di unioni miste e non di matrimoni misti.



         I matrimoni islamo-cattolici sono invece “matrimoni interreligiosi”, ovvero unioni tra cattolici e non battezzati (che possono appartenere ad una religione non cristiana oppure non appartenere ad alcuna religione).



         Per poter capire al meglio le dinamiche di questa particolare forma di unione è indispensabile analizzare il matrimonio secondo il diritto musulmano (fiqh) e secondo il diritto canonico.



 



1.1  Il matrimonio secondo il diritto musulmano



 



“E uno dei Suoi Segni è che Egli v’ha create da voi stessi delle spose, acciocché riposiate con loro, e ha posto fra di voi compassione ed amore” (XXX, 21).[6]



Da questo versetto è chiaro che per il Corano il matrimonio è:



Ø      un segno di Dio;



Ø      un contratto che legittima i rapporti sessuali fra i coniugi;



Ø      un rapporto fondato sull’amore e la compassione.



Il matrimonio musulmano è un contratto civile senza nessun valore sacramentale, ciò non vuol dire però che sia una realtà esclusivamente profana.



In questo paragrafo andremo ad analizzare le prescrizioni della šarī‘a (Corano e sunna), tenendo presente che negli odierni Stati musulmani il diritto di famiglia è stato più o meno recentemente modernizzato e quindi in parte modificato.



1.1.a Validità del matrimonio





Perché il matrimonio sia valido, occorre che sussistano le seguenti condizioni: l’assenza di impedimenti temporanei e permanenti, il consenso dei due futuri coniugi, la fissazione di una dote e l’osservanza delle modalità prescritte.


 



Impedimenti temporanei





  1. Parentela delle mogli.  È vietato ad un musulmano sposare due mogli che sono sorelle di sangue, sorellastre o di latte.

  2. Precedente matrimonio della moglie. Le mogli divorziate devono aspettare a risposarsi per un periodo di tre mesi conseguenti allo scioglimento del matrimonio, a meno che abbiano divorziato senza aver mai consumato. Le vedove devono invece attendere quattro mesi e dieci giorni prima di rimaritarsi. Per consuetudine anche le donne rimaste vedove senza aver consumato devono rispettare il periodo di lutto sebbene nella šarī‘a la questione non venga regolamentata esplicitamente.

  3. Triplice ripudio. E’ proibito il matrimonio con la donna ripudiata tre volte, a meno che dopo il terzo ripudio ella si sia sposata con un altro uomo e da lui sia poi stata ripudiata.

  4. Disparità di culto fra i coniugi. Un uomo musulmano non può sposare una donna politeista, anche se gli è concesso sposarne una ebrea o cristiana, che professi cioè una “religione del Libro”. Una donna musulmana, invece, può sposare solo un uomo musulmano[7].

Nel caso invece si tratti di due coniugi musulmani, se uno dei due si converte ad un’altra religione, peccando così di apostasia, vi è lo scioglimento immediato del matrimonio.



Impedimenti permanenti





  1. Parentela stretta fra i coniugi. Il Corano vieta ad un musulmano di sposare la madre, le nonne, le zie, le figlie, le sorelle, le nipoti e le pronipoti.

  2. Affinità. È inoltre vietato sposare le madri delle proprie mogli, le figliastre, le ex-mogli dei figli, dei padri e dei nonni.

  3. Parentela di latte. Proibite anche le nutrici, le sorelle di latte e, di conseguenza, le loro ascendenti e discendenti.


Altri impedimenti





  1. Fidanzamento. Un musulmano non può chiedere la mano di una ragazza già richiesta da un altro musulmano prima di lui, a meno che quest’ultimo rinunci a reclamare o autorizzi lo stesso fidanzamento.

  2. Cattiva condotta. Un uomo dedito all’adulterio e alla fornicazione può sposare solamente una donna anch’essa adultera e fornicatrice. Il connubio con loro è proibito ai credenti.


Consenso dei due futuri coniugi



 Nel diritto classico non esiste limite d’età: i futuri coniugi diventano maggiorenni per consumare il matrimonio con la loro pubertà (reale o presunta), mentre anche un neonato può essere titolare del rapporto matrimoniale. Di conseguenza nei matrimoni cosiddetti precoci, poiché i nubendi non hanno sufficiente maturità per poter decidere del proprio matrimonio, è il padre che si arroga il potere di costringere il figlio al matrimonio. Nel caso si tratti di figlio maschio il suo potere può essere esercitato fino alla pubertà, mentre se si tratta di una figlia femmina, sarà la sua verginità a giustificare l’esercizio del potere del padre (secondo la scuola malikita). Il fidanzamento comunque è considerato un affare fra le famiglie dei due futuri sposi. Inoltre alla donna è vietato contrarre matrimonio da sola, senza cioè farsi rappresentare da un walī[8] (di solito il padre o il fratello).



Fissazione della dote



“Date spontaneamente alle donne la dote; e se loro piace farvene partecipi godetevela pure in pace e tranquillità” (IV, 4).[9]



La dote è quindi un dono che il coniuge fa alla propria sposa, che ne diventa proprietaria a tutti gli effetti. Viene fissato il suo ammontare e se ne decide il pagamento (anticipato o a termine), anche se oggi vi è la tendenza a considerarla più come un cifra simbolica, stipulata per dichiarare il valore che la sposa rappresenta per lo sposo, ma che non viene effettivamente pagata.



         Nel caso di ripudio con consumazione o di scioglimento del matrimonio a causa della morte del marito con o senza aver consumato, la moglie ha diritto alla totalità della propria dote. Se invece il ripudio avviene senza aver consumato, allora le spetta solo la metà. Infine, in caso di adulterio provato della moglie o in caso di annullamento, ella perde tutta la dote.



Osservanza delle modalità prescritte



Il consenso orale viene fatto in un’unica seduta alla presenza di due testimoni musulmani praticanti, puberi, liberi, sani di mente e maschi.



1.1.b Il rito e la festa di matrimonio





Essendo un contratto civile, il matrimonio non è inserito in una particolare cerimonia; possiamo però distinguere gli elementi principali:



v     il contratto tra le due parti: lo sposo e il walī della sposa;



v     la consegna della dote (mahr) alla sposa;



v     la testimonianza di due musulmani maschi;



v     la presenza di una figura religiosa che sancisce il valore morale del matrimonio;



v     la festa di matrimonio, per renderlo pubblico alla comunità intera.



Bisogna precisare che i tempi e le modalità in cui avviene il matrimonio, in particolare la festa pubblica, variano non solo da una nazione all’altra, ma anche da una zona all’altra dello stesso Paese e dalla classe sociale delle famiglie. Quello di cui tratteremo di seguito è un esempio che si rifà soprattutto alla zona Siria, Libano, Egitto.



Il contratto di matrimonio (katb kitāb)



Prima della festa di matrimonio vera e propria (nikāh), abbiamo il contratto di matrimonio (katb kitāb). Quest’ultimo è detto anche festa di fidanzamento, poiché non consente ai due nubendi la convivenza e quindi la consumazione del matrimonio. Essi infatti potranno considerarsi marito e moglie a tutti gli effetti solo dopo il nikāh. Il katb kitāb viene generalmente fatto a casa della sposa, in presenza di funzionari giuridici e di una figura religiosa, lo šaikh. Questo momento prevede la partecipazione dello sposo e del walī della sposa, il quale firma il contratto dietro suo consenso. Possono inoltre presenziare alcuni parenti maschi che testimoniano l’avvenuto legame tra gli sposi. A conclusione del contratto, agli altri ospiti eventualmente ammessi verrà offerto un rinfresco e una serata danzante. Da questo momento lo sposo può vedere la sposa senza velo e i due possono incontrarsi, parlare e passeggiare in luoghi pubblici, mantenendo comunque un comportamento rispettoso l’uno dell’altra. Generalmente il katb kitāb ha luogo il giorno prima del nikāh, ma non è raro che avvenga lo stesso giorno oppure mesi prima.[10]



La festa pubblica (nikāh)



Quando il giorno della festa si avvicina, le famiglie degli sposi si dedicano ininterrottamente ai preparativi, con grande cura e attenzione ai particolari. Nel giorno del nikāh lo sposo va a prendere la sposa che lo aspetta a casa dei genitori insieme alle amiche ed ai parenti più stretti. Particolare è la vestizione della sposa: amiche e parenti strette la cospargono di oli profumati e creme ammorbidenti, prima di farle indossare l’abito, solitamente bianco. In queste zone non viene praticato il rito dell’henné.[11] La sposa poi indossa i gioielli regalati dallo sposo per l’occasione, senza però eccedere nello sfarzo. Quando la sposa è pronta lo sposo le si avvicina, la saluta, le porge dei fiori e tutti insieme, tra urla femminili (zalghouta)[12] e petali di rosa ci si reca presso il locale adibito ai festeggiamenti. Spesso poi la festa prosegue in due stanze separate, una per gli uomini e l’altra per le donne. Le donne possono quindi togliersi il velo e sfoggiare i loro abiti da sera e le acconciature. I pranzi sono sontuosi e molta cura viene recata anche al tovagliato e alle posate. Il primo giorno di festa si conclude con l’allontanamento degli sposi nella loro nuova abitazione, in cui avverrà la consumazione. Il giorno dopo, se tutto è andato come previsto[13] le donne vanno a casa degli sposi e danzano gioiose, andando poi a divulgare la lieta notizia. I festeggiamenti poi continuano per altri tre giorni, tra musiche, colori e cibarie di ogni tipo.



1.1.c Gli effetti del matrimonio





 La sottomissione della donna al marito




“Gli uomini sono preposti alle donne, perché Dio ha prescelto alcuni esseri sugli altri e perché essi donano dei loro beni per mantenerle” (IV, 34).



Nell’Arabia pre-islamica la donna era considerata un essere insignificante, tanto che alla nascita di una figlia femmina il padre si chiedeva se valesse la pena di crescerla per darla in matrimonio a qualcuno oppure se convenisse seppellirla viva. Il Corano ha quindi migliorato decisamente la condizione della donna, lasciandola però subordinata all’uomo e negandole pari opportunità e diritti. Il motivo di tale subordinazione sta nella volontà di Dio, che ha prescelto alcuni esseri sugli altri; mentre il mantenimento sembra piuttosto una conseguenza della subordinazione della donna. Ella infatti deve obbedire in tutto al marito e in cambio di tale obbedienza ottiene il mantenimento, che comprende il cibo, il vestiario, l’abitazione e le spese sanitarie. In caso di disobbedienza grave, ma non per ogni singolo capriccio del marito, quest’ultimo può sospendere il mantenimento della moglie, ricorrere alle correzioni corporali (al-ta’dib), ripudiarla o minacciarne il ripudio. Gli obblighi che la donna è tenuta a rispettare sono:



v     Acconsentire all’atto sessuale, fine stesso del matrimonio;



v     Abitare nella casa indicata dal marito;



v     Non uscire e non lavorare senza il permesso del marito;



v     Non ricevere visite senza autorizzazione;



v     Seguire il marito in caso di trasferimenti o viaggi.



La poliginia



Se temete di non esser giusti con gli orfani, sposate allora di tra le donne che vi piacciono, due o tre o quattro, e se temete di non esser giusti con loro, una sola…” (IV, 3).



Anche la poliginia sembra essere un’azione correttiva del Corano alla società pre-islamica, nella quale l’uomo per motivi economici e politici arrivava a sposare ben più di quattro mogli. Il versetto IV, 3 sottolinea però che la condizione per poter sposare più di una moglie è quella di trattarle tutte allo stesso modo, senza fare alcuna differenza. Nel versetto 129 della stessa sūra viene ribadita l’impossibilità di questa condizione, quasi ad incitare alla monogamia: “Anche se lo desiderate, non sarete capaci di agire con equità con le vostre mogli…”.



La filiazione



Per quanto riguarda il rapporto genitori-figli, l’Islam stabilisce dei ruoli: il padre ha la potestà sui figli, ovvero il potere di decidere della loro educazione, istruzione, avviamento al lavoro, matrimonio, amministrazione dei beni, punizioni da infligger loro; la madre invece ha la loro custodia, cioè il potere/dovere di allevarli, sorvegliarli e curarli.



         Quando si parla di figli, si intendono quelli legittimi e biologici, poiché un bambino illegittimo non può esser riconosciuto per la severa condanna del Corano all’adulterio; l’Islam inoltre vieta l’adozione. 



         In caso di ripudio, la madre non musulmana può essere privata della custodia dei figli se esiste il timore che possa educarli ad una religione diversa dall’Islam. La tutela di un minore, infatti, può essere affidata soltanto ad un musulmano.       




1.1.d Scioglimento del matrimonio: il ripudio


 



Nel diritto musulmano classico basta una semplice dichiarazione dell’uomo, anche se non motivata, per poter ottenere il ripudio (al-talaq) della moglie. Il limite di non superare il numero di tre ripudi verso la propria moglie, imposto dal Corano,[14] fu una riforma per contrastare l’instabilità matrimoniale della società pre-islamica.



         La donna non può ripudiare l’uomo, ma può venirle concesso dal marito il diritto di auto-ripudiarsi, oppure può porre termine alla relazione coniugale con il consenso del marito, in cambio del quale la moglie offre un compenso.



1.1.e La modernizzazione della šarī‘a





All’inizio del XX secolo il diritto di famiglia era ancora regolato dalla šarī‘a, a differenza di altri settori che non avevano invece opposto resistenza alla modernizzazione. Tuttavia lo sviluppo economico e sociale iniziò a modificare la tradizionale organizzazione familiare e anche i giuristi sentirono l’esigenza di riformare il diritto di famiglia.



         Nel 1915 l’Imperatore ottomano emana un decreto in materia di diritto matrimoniale, seguito dalle leggi fondamentali del 1917. Le riforme tendono a migliorare le condizioni dei componenti più deboli della famiglia: la donna e i bambini. I legislatori dei Paesi musulmani, dopo lo smembramento dell’Impero Ottomano, hanno principalmente puntato a ridurre il potere dell’uomo sulla donna, in particolare quello del padre sulla figlia.



         Ecco le principali modifiche modernizzanti del diritto matrimoniale:





  1. Età matrimoniale: è stata fissata un’età sotto la quale è possibile sposarsi solo su autorizzazione del giudice, per ragioni di utilità o necessità accertate, dopo che il walī abbia dato il proprio consenso (es. in Libia l’età fissata è di 20 anni per entrambi, in Marocco 18  per il maschio e 15 per la femmina, in Tunisia 20 e 17); ma per evitare che i giudici, complici dei walī autorizzino unioni in tenerissima età, nei vari Paesi è stata fissata un’altra età (ovviamente inferiore a quella matrimoniale) al di sotto della quale è impossibile che il matrimonio sia registrato.

  2. Consenso al matrimonio. I legislatori hanno tutti eliminato il potere del padre di costringere la figlia al matrimonio, ad eccezione del Marocco che consente l’esercizio di tale potere nel caso di condotta sconveniente della figlia. Permane l’obbligo di rappresentanza della donna da parte di un walī, che tra l’altro non può essere scelto liberamente dalla donna. Inoltre se la donna è vergine basta il suo silenzio per acconsentire al matrimonio.

  3. Sottomissione della moglie al marito. I legislatori moderni cercano di contenere la potestà maritale consentendo di apporre clausole al contratto di matrimonio, purché queste siano conformi alla šarī‘a. In molti Paesi musulmani, infatti, la moglie può richiedere al marito di non trasferire il domicilio coniugale dalla città d’origine, di poter lavorare e partecipare alla vita pubblica, di non doverlo seguire nei suoi viaggi. Può richiedere inoltre la clausola di monogamia. In caso di violazione di tali promesse da parte del marito, la moglie può chiedere il divorzio.

  4. Poliginia. Abbiamo detto che la donna può richiedere la clausola di monogamia, ma anche in assenza di questa clausola, la prima moglie ha il diritto di chiedere il divorzio se il nuovo matrimonio del marito, da lei mai approvato, non consente una pacifica convivenza comune. Lo stesso diritto va alla nuova moglie nel caso in cui non fosse a conoscenza della precedente unione del marito.

  5. Ripudio. Alcuni legislatori hanno introdotto riforme che consentono al giudice di registrare il ripudio solo dopo un tentativo di riconciliazione dei coniugi. Tali riforme danno inoltre modo al giudice di avvisare la moglie dell’avvenuto ripudio (mentre per il diritto classico non ce n’era bisogno). Il giudice può accertare l’esistenza del danno alla moglie provocato dal ripudio e obbligare il marito a risarcirla. Alcuni Paesi, primo fra tutti la Siria, a tal proposito hanno introdotto il dono di consolazione, la mut‘ah[15] che ha la duplice funzione di risarcimento danni e di previdenza. Si è inoltre introdotto il termine divorzio, con il quale si intendono i vari tipi di scioglimento del matrimonio per iniziativa di una delle due parti attraverso il ricorso al giudice. Tra i motivi principali per cui la donna può richiedere divorzio (oltre a quelli già citati nel punto precedente) ci sono i comportamenti riprovevoli del marito, come la dedizione al vino, il tradimento e la pratica della violenza, oppure quei vizi che svuotano di significato il matrimonio: la castrazione, l’evirazione e l’impotenza. La domanda di divorzio è inoltrata solitamente dalla donna poiché l’uomo può avvalersi in modo più conveniente per lui del ripudio. Tuttavia, ogniqualvolta l’uomo abbia richiesto il divorzio gli è sempre stato concesso. 


1.2  Il matrimonio secondo il diritto canonico



Nel 1983 Giovanni Paolo II firmò la costituzione del nuovo Codice di Diritto Canonico, che riporta le riforme del Concilio Vaticano II. Fu infatti Giovanni XXIII, e in seguito il Concilio stesso, a volere la riforma del vecchio codice del 1917,[16] il cui lavoro di revisione iniziò nel 1965. Il nuovo Codice dà una visione rinnovata del matrimonio, staccandosi da quella strettamente procreazionista e assumendo invece un orientamento personalistico.



Il patto matrimoniale con cui l’uomo e la donna stabiliscono tra loro la comunità di tutta la vita, per sua natura ordinata al bene dei coniugi e alla procreazione e educazione della prole, tra i battezzati è stato elevato da Cristo Signore alla dignità di sacramento (Can. 1055), così si apre il capitolo sul matrimonio del Codice di diritto canonico.



Le proprietà essenziali del matrimonio canonico sono:



1.     l’unità: intesa come l’unione di un solo uomo ed una sola donna;



2.     l’indissolubilità: l’unica ragione per la quale avviene lo scioglimento del matrimonio valido è la morte di uno dei due coniugi.



3.     l’apertura alla vita: senza cioè preclusioni ideologiche o pratiche alla nascita dei figli.



1.2.a Validità del matrimonio



Il matrimonio per essere valido dev’essere rato e consumato, ove se ne presume la consumazione (fino a prova contraria) quando avviene la coabitazione dei coniugi. Altri fattori che influiscono sulla validità del matrimonio sono gli impedimenti dirimenti.



Impedimenti dirimenti



L’impedimento dirimente rende la persona inabile a contrarre matrimonio e può essere pubblico o occulto. Solo il Papa può dichiarare quando il diritto divino proibisca o dirima il matrimonio. Andiamo ora ad elencare questi impedimenti:



                   i.            E’ invalido il matrimonio celebrato da coniugi che non abbiano raggiunto l’età matrimoniale. Il Codice fissa quest’età a 16 anni per l’uomo e a 14 per la donna,[17] lasciando però spazio alle decisioni prese in merito dalle Conferenze Episcopali. La Cei (Conferenza Episcopale Italiana) ha stabilito nel 1983 l’età matrimoniale a 18 anni.[18]



                 ii.            L’impotenza copulativa antecedente e perpetua, assoluta o relativa, invalida il matrimonio. La sterilità invece non costituisce un impedimento, a meno che non venga nascosto al coniuge e questo sia causa di turbamento per la vita coniugale.



              iii.            Finché non sia stata constatata la nullità o lo scioglimento del precedente matrimonio, non se ne può contrarre uno nuovo.



                iv.            La disparità di culto (che viene rappresentata con l’essere o meno battezzato) costituisce impedimento dirimente.



                  v.            Chiunque fosse vincolato dal voto di castità emesso da un istituto religioso o abbia ricevuto il sacramento dell’ordine non può contrarre matrimonio.



                vi.            Chiunque al fine di sposare una determinata persona, abbia ucciso il proprio coniuge o il coniuge di quella persona è invalidato a contrarre matrimonio con essa. Invalidato lo è anche se ha cooperato a tale omicidio.



             vii.            E’ vietato sposare un consanguineo nella linea collaterale fino al quarto grado e tra ascendenti e discendenti sia legittimi sia naturali.[19]



           viii.            E’ vietato sposare gli affini in linea retta a qualunque grado.



               ix.            E’ vietato per un uomo sposare le consanguinee in linea retta di primo grado della donna che abbia convissuto notoriamente con lui.



                 x.            E’ infine proibito sposare una persona divenuta parente con l’adozione, in linea retta e fino al secondo grado in linea collaterale.



L’Ordinario del luogo può dispensare da tutti gli impedimenti eccetto quelli riservati alla Sede Apostolica:



v     Impedimento dei sacri ordini o del voto pubblico perpetuo di castità emesso da un istituto religioso;



v     Impedimento di crimine.



In pericolo di morte urgente l’Ordinario può dispensare anche dall’impedimento di crimine (al punto iv). Inoltre, se si scopre un impedimento quando è già tutto pronto per le nozze e non è possibile, senza che ci sia un grave danno, posticipare il matrimonio in attesa di ottenere dispensa, il sacerdote può dispensare subito i coniugi da tale impedimento, sempre che la sua autorità lo consenta. Mai si dà dispensa da impedimento di consanguineità in linea retta o secondo grado in linea collaterale.



1.2.b Consenso matrimoniale





L’atto del matrimonio è fondato sul consenso delle due parti, che devono essere giuridicamente abili. Il consenso è l’atto della volontà con cui l’uomo e la donna danno e accettano irrevocabilmente se stessi per costituire il matrimonio. Perché ci possa essere il consenso matrimoniale, è necessario che i contraenti non ignorino che il matrimonio è la comunità permanente tra l’uomo e la donna, ordinata alla procreazione della prole mediante cooperazione sessuale. Tale ignoranza non si presume dopo la pubertà.



Sono considerati incapaci a contrarre matrimonio:



v     Coloro che mancano di sufficiente uso di ragione;



v     Coloro che difettano gravemente di discrezione di giudizio circa i diritti ed i doveri essenziali del matrimonio;



v     Coloro che per causa di natura psichica non possono assumere gli obblighi essenziali del matrimonio.



Il consenso interno dell’animo si presume concorde alle parole ed ai segni utilizzati nella celebrazione del matrimonio; in ogni caso è invalido il matrimonio celebrato per violenza o timore grave incusso dall’esterno per liberarsi dal quale sia costretto a scegliere il matrimonio (anche non intenzionalmente). Infine per contrarre matrimonio è necessario che i contraenti siano presenti e quindi esprimano il loro consenso contemporaneamente, sia di persona sia tramite procuratore.[20]



1.2.c Forma della celebrazione



Validi sono i matrimoni che si contraggono alla presenza dell’Ordinario del luogo o del parroco o del sacerdote o del diacono delegato da uno di essi (o in mancanza di questi anche un laico designato dal Vescovo), nonché alla presenza di due testimoni. Alla sola presenza dei testimoni, è valido se c’è pericolo di morte o, al di fuori di questo pericolo, se si prevede prudentemente che tale stato di cose durerà per un mese. Per una grave e urgente causa l’Ordinario del luogo può permetterne la celebrazione in segreto.



1.2.d Il rito





La celebrazione del Matrimonio avviene abitualmente durante la Messa, anche se per validi motivi si può scegliere la liturgia della Parola. Il rito del matrimonio vero e proprio, preceduto dai riti di introduzione in cui vengono rinnovate le promesse battesimali e dalla liturgia della Parola, è costituito da vari momenti:



Ø      interrogazioni prima del consenso: servono ad appurare che i nubendi stiano celebrando il loro matrimonio in piena libertà;



Ø      manifestazione del consenso: gli sposi prendendosi la mano destra si promettono fedeltà eterna nella buona e nella cattiva sorte;



Ø       accoglienza del consenso: il sacerdote stendendo la mano sulle mani unite degli sposi accoglie il loro consenso;



Ø      benedizione e consegna degli anelli: le fedi ,dopo essere state benedette dal sacerdote, vengono consegnate agli sposi i quali provvedono a scambiarsele  in segno di amore e fedeltà;



Ø      incoronazione degli sposi: è una vera e propria incoronazione con corone dorate o argentate e sobriamente decorate, che avviene solo nei luoghi in cui è già esistente la consuetudine;



Ø      benedizione nuziale: può avvenire anche alla fine, è la benedizione che il sacerdote fa agli sposi inginocchiati;



Ø      preghiere dei fedeli e invocazione dei santi: da sottolineare che tra i santi invocati figurano anche quelli di cui portano il nome gli sposi, se esistenti.



Al termine del rito del matrimonio si procede con il rito eucaristico se il matrimonio è celebrato durante la Messa, altrimenti nel caso si abbia optato per il matrimonio nella celebrazione della Parola, con la recita del Padre Nostro e la consegna della Bibbia agli sposi, per poi passare in entrambi i casi ai riti di conclusione. Dopo la benedizione finale c’è la lettura degli articoli del Codice Civile che riguardano i diritti e i doveri dei coniugi, secondo la norma concordataria. Il sacerdote provvederà poi alla redazione in duplice copia dell’atto di matrimonio; una delle due copie verrà inviata all’ufficiale dello stato civile, che a sua volta provvederà alla trascrizione.



1.2.e Effetti del matrimonio


 



Il matrimonio è un vincolo perpetuo ed esclusivo. I coniugi hanno pari diritti e doveri nella vita coniugale. I genitori hanno il dovere di curare l’educazione fisica, sociale, culturale, morale e religiosa dei figli. Quando si parla di figli si intendono quelli legittimi e quelli legittimati, in tutto equiparati ai primi.



1.2.f Separazione




Il matrimonio rato e consumato non può essere sciolto da nessuna potestà umana e per nessuna causa, eccetto la morte di uno dei due coniugi, mentre il matrimonio non consumato può essere sciolto dal Papa su richiesta di almeno una delle due parti. I coniugi hanno il dovere e il diritto di osservare la convivenza coniugale, eccetto che esista una causa legittima. Si raccomanda inoltre a ciascun coniuge di perdonare la parte adultera e di non interrompere la vita coniugale; tuttavia se il coniuge innocente non vuol condonare la colpa, ha diritto di sciogliere la convivenza (a meno che non fosse d’accordo, non gli abbia dato motivo o non abbia commesso a sua volta adulterio). Entro sei mesi il coniuge innocente deve comunicare la sua decisione alla competente autorità ecclesiale e questa deve valutare se è il caso di indurlo a perdonare la colpa e a ricongiungersi col coniuge. Se uno dei due coniugi compromette gravemente il bene sia spirituale sia corporale dell’altro o della prole, oppure rende troppo dura la vita comune, dà all’altro una causa legittima per separarsi. In tutti i casi, cessata la causa di separazione, si deve ricostituire l’unità familiare e anche se tale causa non fosse cessata, il coniuge innocente, con atto degno di lode, può ammettere nuovamente l’altro coniuge alla vita coniugale, rinunciando così alla separazione. Infine, effettuata la separazione, si deve comunque provvedere al debito sostentamento ed educazione dei figli.



 1.2.1 Il matrimonio per disparitas cultus



Il matrimonio per disparitas cultus è quello che avviene tra una persona cattolica e una persona non battezzata, il cosiddetto matrimonio interreligioso. Questo può essere contratto da un cattolico e un agnostico, oppure da un cattolico e un appartenente ad un’altra religione, nel nostro caso all’islam. Per la celebrazione è necessaria la dispensa dell’Ordinario del luogo, senza la quale il matrimonio è invalido per disparità di culto (vedi paragrafo precedente). La dispensa può essere concessa solo quando sussistano giuste e ragionevoli cause e alle seguenti condizioni:



1)     La parte cattolica si dichiari pronta ad allontanare i pericoli di abbandonare la fede e prometta sinceramente di fare quanto è in suo potere perché tutti i figli siano battezzati ed educati nella Chiesa cattolica.



2)     La parte non battezzata sia informata della dichiarazione e della promessa della parte cattolica, così che ne sia realmente consapevole.



3)     Entrambe le parti siano istruite sui fini istituzionali e le proprietà essenziali del matrimonio e cioè sappiano e vogliano che il loro matrimonio sia uno, indissolubile, aperto alla procreazione.



4)     Tale matrimonio sia di norma celebrato nella Chiesa cattolica secondo la forma canonica.



5)     Sia fatto salvo il principio che per la validità è richiesta una qualche forma pubblica.[21]



Natura dell’impedimento di disparità di culto



Secondo la dottrina cattolica, il matrimonio ha dignità sacramentale solo se avviene tra due battezzati; di conseguenza un matrimonio interreligioso non è propriamente sacramento, nonostante la parte cattolica possa considerarsi “in regolarità” , e possa quindi accostarsi ai sacramenti (cosa che non potrebbe fare un cattolico che abbia scelto solo la convivenza o il matrimonio civile). La Chiesa, attraverso l’impedimento di disparità di culto, intende salvaguardare la fede della parte cattolica; allo stesso tempo però riconosce il diritto di un uomo e una donna che non condividono la stessa fede di scegliersi liberamente come compagni di vita, attraverso le nozze, e di costruire una famiglia secondo il diritto naturale. Per questo l’Ordinario del luogo può concedere la dispensa.



Preparazione al matrimonio



I fidanzati che hanno intenzione di contrarre matrimonio interreligioso devono fare un colloquio col parroco o un sacerdote della diocesi incaricato dal Vescovo per questo ruolo, il quale, una volta verificata la “giusta e ragionevole causa” e le condizioni alle quali sono tenuti i futuri coniugi, provvede ad inoltrare richiesta di dispensa all’Ordinario del luogo. Solitamente il sacerdote si attiene alle indicazioni del Card. Ruini, presidente della Cei, che nel 2005 ha pubblicato “I matrimoni tra cattolici e musulmani in Italia”. Secondo tali indicazioni il sacerdote incaricato del colloquio con i fidanzati dovrebbe:



v     prima incontrare separatamente i nubendi (ma la parte musulmana non è obbligata a farlo), poi quando lo si valuta conveniente si estende il colloquio ad entrambi;



v     incontrare anche la famiglia della parte cristiana;



v     verificare che la parte musulmana, se extra-comunitaria, non abbia come fine l’ottenimento di vantaggi politici (es. cittadinanza).[22] Al fine di garantire maggior protezione possibile alla parte cattolica, sarebbe utile chieder loro come si sono conosciuti e innamorati, cos’hanno in comune, cosa si aspettano dal matrimonio, approfondendo gli aspetti religiosi e culturali della loro vita futura, il rapporto con le famiglie d’origine, il luogo di residenza futuro, l’educazione dei figli, le garanzie giuridiche (eredità, custodia dei figli).



Una volta accertata la consapevolezza dei fidanzati riguardo al matrimonio cristiano, si può procedere alle pratiche burocratiche per ottenere la dispensa; i nebendi (compresa la parte musulmana, ma senza obbligo) saranno così invitati a partecipare al corso parrocchiale per fidanzati. Nel caso in cui il sacerdote ritenga al contrario che la coppia non sia pronta a contrarre matrimonio interreligioso, può sollecitarla a riflettere ulteriormente e, in ultima istanza, consigliarle il matrimonio civile.



Forma della celebrazione



Per quanto riguarda la forma della celebrazione del matrimonio, ci si attiene allo stesso canone, il 1108, che regola i matrimoni tra battezzati. Il luogo della celebrazione può essere la Chiesa o altro luogo conveniente. Perché sia valido deve comunque essere osservata una forma pubblica di celebrazione. Inoltre può conseguire gli effetti civili secondo la norma concordataria, provvedendo quindi alle pubblicazioni alla casa comunale ed alla  successiva trascrizione.



Il rito



Il rito è quello speciale previsto dal Rituale Romano senza la Messa (quindi senza l’eucaristia). Esso infatti si distingue dal rito del matrimonio nella celebrazione della Parola per i seguenti elementi:



v     nei riti introduttivi non vengono rinnovate le promesse battesimali, dato che uno dei due contraenti non è battezzato;



v     dopo la recita del Padre Nostro non viene consegnata la Bibbia, essendo testo sacro solo per la parte cattolica.



 Non è possibile dar luogo ad altra celebrazione con rito islamico; al contrario non è vietata la festa di matrimonio islamica. In presenza però di ragioni che rendano inopportuna la celebrazione liturgica, è possibile chiedere la dispensa dalla forma canonica.[23]



Accompagnamento dopo il matrimonio



Le indicazioni del Card. Ruini sottolineano poi il dovere dei sacerdoti di seguire queste coppie anche dopo l’avvenuta celebrazione del matrimonio. Esse potrebbero infatti aver bisogno di supporto riguardo alle problematiche di tipo religioso che possono scaturire, ad esempio riguardo all’educazione dei figli.



         Nella mia piccola esperienza, ho notato che questo tipo di cammino post-matrimoniale non è realmente attivo, se non a livello personale coppia-sacerdote. Solo la Diocesi di Milano ha aperto un Consultorio per famiglie interetniche all’interno del Cadr, che tiene delle riunioni periodiche per tutte le coppie miste interessate. Queste possono, oltre che chiedere e ricevere consigli, confrontarsi con altre coppie che stanno affrontando simili difficoltà.



Scioglimento del matrimonio



Una particolare eccezione all’indissolubilità del matrimonio canonico riguarda proprio i matrimoni interreligiosi: il privilegio pietrino,[24] grazie al quale il Papa può sciogliere un matrimonio interreligioso in favore della fede, al fine cioè di  tutelare la parte battezzata cattolica. La Chiesa scioglie tale vincolo solo se, col nuovo matrimonio che la parte battezzata è autorizzata a contrarre, si realizza qualche importante bene spirituale e nel caso in cui risulti totalmente impossibile ristabilire la convivenza nel precedente matrimonio. Questo è possibile anche quando il nuovo matrimonio dovesse richiedere un ulteriore dispensa per disparitas cultus.



note: ..................................


[6] BAUSANI A. (introduzione, traduzione e commento di), Il Corano, Bur Classici, Milano 2003, pag. 296




[7] Ciò è dovuto al fatto che nell’Islam i figli devono seguire la religione del padre; quindi una donna musulmana non può che sposare un musulmano per far sì che anche i suoi figli lo siano.




[8] Il termine arabo significa tutore.




[9] Ivi, pag. 54.




[10] Questo dipende dalle famiglie: se si conoscono da tempo i due momenti possono avvenire in un tempo ravvicinato; se invece le famiglie non si conoscono tendono a posticipare il nikah per consentire ai due sposi e alle famiglie stesse di potersi conoscere.




[11] In altri Paesi, come quelli del Golfo e del Nord Africa, vi è l’usanza di tatuare le mani e il viso della sposa (a volte anche dello sposo) con l’henné.




[12] Quello in corsivo è il termine dialettale che indica il caratteristico suono emesso dalle donne in segno di gioia, simile ad un ululato.




[13] In particolare ci si riferisce alla verginità della sposa.




[14] Il Corano, II, 229-230




[15] È lo stesso termine che indica il matrimonio temporaneo o matrimonio di piacere. In questo caso però l’accezione del termine indica il compenso che spetta alla donna in caso di divorzio.




[16] Il cosiddetto Codice Benedettino, dal nome del Papa Benedetto XV che lo ideò.




[17] In riferimento al seguente canone, non mancò chi fece giungere la richiesta per elevare l’età matrimoniale, ma la Commissione pontificia ritenne di non dover modificare il limite d’età per il seguente motivo: essendo il matrimonio un diritto di natura, il diritto canonico non ha il diritto di limitarlo nell’età, quando si abbia raggiunta la maturità biologica e psicologica. Questo canone si riferisce all’età biologica, per quella psicologica rimanda ai successivi canoni riguardanti il consenso.




[18] La dispensa dalla delibera della Cei, concernente la proibizione del matrimonio dei minorenni aventi età superiore a quella stabilita dall’impedimento in questione, può essere concessa dall’Ordinario del luogo soltanto in presenza di ragioni gravi,  dopo aver valutato le risultanze di un esame psicologico compiuto da esperti del settore circa la capacità del minore di esprimere un valido consenso e di assumere gli impegni essenziali del matrimonio. Di norma non si permetta la celebrazione del matrimonio canonico prima che il Tribunale per i minorenni abbia rilasciato l’autorizzazione a procedere, senza la quale non è possibile ottenere la trascrizione agli effetti civili.




[19] La consanguineità è il vincolo di sangue tra persone che discendono per generazione del medesimo stipite (avo). Sono consanguinei anche i nati al di fuori del matrimonio. La linea retta è la serie delle persone che discendono l’una dall’altra, mentre la linea collaterale è quando le persone discendono dallo stesso stipite ma non l’una dall’altra. Il grado indica la distanza tra due persone che appartengono alla stessa linea. Di conseguenza oltre a genitori, nonni e figli, è vietato sposare fratelli e sorelle (2° grado), zii e nipoti (3° grado) e cugini primi (4° grado).



 



[20] Non è più possibile infatti contrarre matrimonio per lettera. Perché un matrimonio sia celebrato validamente tramite procuratore si richiede: che vi sia un mandato speciale per contrarre con una persona determinata; che il procuratore sia designato dallo stesso mandante e che egli adempia di persona il suo incarico. Il mandato perché sia valido deve essere sottoscritto dal mandante e dal parroco o dall’Ordinario del luogo in cui il mandato viene dato, oppure dev’essere fatto con documento autentico a norma del diritto civile.



[21] La dispensa dalla forma canonica è possibile solo in caso di gravi difficoltà, inoltre il matrimonio dev’essere riconosciuto anche in sede civile. Da MATRIMONIO CANONICO IN ITALIA, Normativa e sussidi, Centro Ambrosiano, Milano 2003, pag.127.




[22] Sembra più ovvio che sia compito della futura sposa accertarsi di questo. La Chiesa però, oltre a tutelare il più possibile la parte cristiana, vuol anche accertarsi che qualora la parte cattolica sia d’accordo per un matrimonio “di convenienza”, esso non venga celebrato in quanto mancano i presupposti stessi del matrimonio.




[23] Ragioni valide per poterla richiedere sono ad esempio l’opposizione che la parte musulmana incontra in famiglia o il fatto che il matrimonio dovrà essere celebrato in un Paese musulmano, ecc.



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