Islam, terrorismo e scontro di civiltà irrompono al Festival di Mantova. Prima il Nobel ebreo Elie Wiesel attacca il capo del governo iraniano Ahmadinejad, definendolo «una persona corrotta a livello politico e mentale». Poi lo scrittore algerino Mohamed Moulessehoul (che per anni ha firmato i suoi libri con il nome della moglie, Yasmina Khadra, per sfuggire alla censura) si scaglia contro i giornalisti perché fanno della «disinformazione sul mondo arabo».
«IGNORANTI SUL MONDO ARABO» - Ex ufficiale dell'esercito algerino, oggi residente in Francia, Khadra si è inalberato durante la presentazione del suo nuovo romanzo «L'attentatrice»: «Io sono un intellettuale a metà tra due mondi, conosco bene la cultura araba ma anche quella europea, ho letto i vostri classici. Voi invece non conoscete il mondo arabo e parlate di terrorismo a sproposito» è stato in sintesi l'accusa rivolta alla platea. «Qualsiasi cosa succede nel mondo arabo per voi è terrorismo. Invece in Iraq è in corso una guerra civile in un contesto di occupazione straniera, in Palestina c'è una guerra di resistenza, e in Cecenia stanno vivendo qualcosa di molto simile alla resistenza che c'è stata in Italia». Ne è seguito un acceso scontro verbale con i presenti in sala. A nulla sono valsi i tentativi di replica. L'Occidente, per lo scrittore algerino, sarebbe vittima dei propri mass media che non sanno spiegare la complessità del mondo arabo: senza nessuna possibilità d'appello.
«CONDANNIAMO AHMADINEJAD» – Più pacato ma non meno incisiva l'invettiva lanciata dall'«altro fronte» da Elie Wiesel. A 78 anni l'azzurro degli occhi di quell'uomo esile sopravvissuto ad Auschwitz è più vivo che mai e si accende ancora di più quando il passato fa corto circuito con il presente: «Israele non sta utilizzando l'Olocausto per giustificare i suoi comportamenti. Piuttosto c'è un folle, il capo del governo iraniano, Mahmoud Ahmadinejad, che è una persona corrotta a livello politico e mentale, è un personaggio pericoloso che dovrebbe essere scomunicato dalla società civile. Dobbiamo condannarlo, isolarlo. E rivolgerci alle forze moderate dell'Islam per spiegare che è un pericolo anche per loro» dice quasi tutto d'un fiato con tono calmo e fermo l'autore de «La notte», la sua testimonianza di deportato divenuta un classico della letteratura mondiale. Lui non ha smesso di sperare, proprio come 60 anni fa davanti all'orrore che gli ha strappato genitori e fratelli: «Ancora c'è una speranza, anche se debole» confida ai giornalisti. Una speranza che lo vede impegnato in prima linea anche su un altro fronte, quello del Darfur (
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L'EBRAISMO VISTO DA UN INDIANO - Un testimone indiretto della questione ebraica è lo scrittore indiano Vikram Seth. Minuto, camicia bianca e modo di fare da vero gentlemen, è arrivato a Mantova nel giorno in cui esce in Italia il suo libro, «Due vite», dedicato a una storia di famiglia: la storia del suo prozio Shanti, fuggito dall'India del Raja, e di sua moglie, l'ebrea Henny, scappata dal Terzo Reich, che negli anni '70 lo ospitarono a Londra. Elemento fondamentale per la ricostruzione della loro vita alcune lettere della prozia, ritrovate quando lei ormai era morta. «Mia zia non aveva più voluto parlare della Germania, ma nelle lettere lo faceva» spiega Seth. «Io ho affrontato la questione dell'ebraismo con una prospettiva nuova. In Medioriente sono giorni tragici, nessuna ingiustizia può essere una scusa per una ingiustizia altrettanto grande» (
guarda l'intervista).
Alessandra Muglia