Della Turchia in Europa
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Della Turchia in Europa


 


Generalmente i Turchi e la Turchia sono percepiti come "non-Europei" e, giocoforza, la mera prospettiva della loro entrata nell'Unione Europea ha provocato non poche preoccupazioni. Preoccupazioni in parte giustificabili in quanto si creerebbe un precedente per altri paesi del Mediterraneo, musulmani e d'ordinamento laico quali Egitto, Tunisia, Algeria, Libano ecc., oltre che per Israele. Tutti questi paesi potrebbero avanzare istanza per "entrare in Europa" vantando, apparentemente, le stesse "credenziali d'europeità" della Turchia, ponendo Bruxelles di fronte ad ulteriori problemi identitari. Abbiamo fatto qualche domanda sulla questione dei rapporti turco-europei a Giuseppe Cossuto


Per prima cosa: in che cosa la Turchia è stata ed è Europa?


Il problema di fondo è quindi stabilire "cos'è" l'Europa, quale è la sua "identità", e se questa sua "identità" è compatibile con quella turca, arabo-mediterranea ed israeliana. Si tratta di una questione basilare poiché, per definire l'"Europa" dovremmo definire anche e soprattutto, ciò che "Europa" non è, e riformulare, o meglio finalmente formulare, il concetto di "identità europea".


Se si ripercorre, anche per sommi capi, il processo che ha portato alla formulazione dell'idea di Europa, ci si accorge che gli stessi stereotipi che oppongono gli "occidentali" (non necessariamente solo Europei) agli "orientali" (non necessariamente solo Asiatici) odierni traggono origine, linfa e, soprattutto, linguaggio, nelle elucubrazioni greche classiche.
Si sa, infatti, che i primi formulare l'idea d'Europa furono i Greci dell'età classica che la contrapposero ad un altro "mondo": l'Asia. Questa differenziazione verrà costruita tra l'età delle guerre persiane (età dell'"attacco dell'Asia all'Europa") e l'epoca di Alessandro Magno, quando l'Europa si prese la sua rivincita conquistando e, in alcuni casi, colonizzando l'Asia.
L'Europa si differenzia dall'Asia soprattutto per ciò che concerne il sistema politico, grossomodo è la "Terra della Libertà" contro la "Terra del Dispotismo".
Questa "Europa greca" è piuttosto limitata geograficamente, racchiusa dapprima tra l'Adriatico e l'Egeo, in seguito "allargata" ai luoghi frequentati ed abitati dai coloni Greci, per essere ancora più estesa.


Nel periodo romano repubblicano, l'"Oriente" sembra perdere i suoi connotati "dispotici" ma per ironia della Storia, un sussulto anti-orientale ebbe la Roma d'Ottaviano contro l'erede ellenistica dall'Impero d'Alessandro: la "divina" Cleopatra, portatrice (per i Romani) degli stessi "valori negativi" che i suoi antenati attribuirono agli "Asiatici".
L'Impero romano, infatti, si caratterizza per l'opposizione tra romano e barbaro, piuttosto che per quella tra europeo e asiatico.
Se ci rifacciamo alla mera concezione geografica si noterà che, mentre i confini occidentali dell'Europa sono ben identificabili, attualmente, con il limite delle sponde iberiche, diverso è il discorso per ciò che riguarda l'"Est", il "Levante", l'"Oriente".


Per risolvere questo problema, mi sembra che attualmente si sia adottato l'abile éscamotage che elaborò la civiltà dove nacque il concetto d'Europa: i Greci dell'età classica.
L'Europa dei Greci aveva certamente un "centro" riconoscibile (l'Ellade "culturale" coincidente con quella "territoriale") ma i confini, anche ad occidente, variano da autore ad autore. Questa "Europa" coincideva, quindi, grossomodo, con l'"Europa greca", ovvero le terre dove è riconoscibile la civiltà ellenica, soprattutto "moralmente", come face notare Federico Chabod.
Nell'immediato nord-est dell'"Europa greca" vi era uno spazio immenso definibile anch'esso come "Europa", ma "non del tutto". I suoi confini erano incerti: si sa dove inizia (dove finisce la civiltà ellenica) ma non si sa dove finisca, proprio come oggi quella "europea".


I Greci avevano, tuttavia, le idee più chiare dei moderni "Occidentali". Infatti la "Scizia", questa "Europa orientale non del tutto Europa" era il paese abitato dagli "Sciti".
Gli Sciti si differenziano dai Greci, secondo Erodoto per un dato fondamentale: la mancanza di città costruite in muratura e la vita nomade.
La differenza sostanziale che determina, quindi, la differenza tra gli abitatori d'Europa "Europei" (i Greci) e quelli "non-Europei" (gli Sciti), è che i primi sono "stabili", i secondi "nomadi".
Da questa contrapposizione basata sul differente modo di vita si evolveranno, in differenti maniere e misure, buona parte delle concezioni europee riguardo i nomadi: se lo spazio europeo viene attualmente percepito come "civile", di conseguenza tutto ciò che non è "civile", o meglio "urbano", non può essere definito "Europa". Ed il nomade certamente non è "urbano", quindi non è "europeo".
L'"Europa civile" dei Greci è sempre "minacciata", più o meno direttamente, dai non-Europei veri e propri.


Con la divisione dell'Impero Romano in "occidentale" ed "orientale" e soprattutto con il Grande Scisma che divise la Chiesa Romana e quella Costantinopolitana (greca) la definizione di Europa "morale" diviene più chiara e, allo stesso tempo più ristretta geograficamente, corrispondente grossomodo all'Europa occidentale attuale. Il termine "Europa" viene usato, in epoca carolingia (Carlo Magno, ad esempio, è definito "Rex pater Europae"), soprattutto in un senso geografico che, tuttavia può includere quello ideologico di "Christianitas", ovvero (all'epoca) di "cattolicesimo".
Questa "Europa Cristiana" si ritiene erede di Roma e si oppone proprio ai "cristiani" orientali, ai Bizantini, ai Greci, che si definivano essi stessi "veri" cristiani e "veri" romani.
Per un "europeo occidentale" (intendo con questo termine un abitante dell'Europa occidentale) medioevale, insomma, bisognava essere "fidelis" (fedele alla Chiesa di Roma) per possedere le "credenziali" per essere "europeo". Dove erano i cattolici, in sintesi, là era l'Europa "morale", che non coincideva necessariamente con l'Europa geografica.
Fu Papa Enea Silvio Piccolomini, nel XV a coniare il termine europaeus e ad "unificare" i diversi concetti: il fidelis abita l'Europa o da questa proviene.


Con l'entrata della Grecia nella Comunità Europea si è compiuta quindi una sorta di "rivoluzione", di "rottura delle frontiere ideologiche" di questa Europa cristallizzata da più di un millennio: l'"opposto in negativo" diviene a pieno titolo "Europeo", spostando il problema più ad "Oriente", verso un altro opposto più "radicale": la Turchia, che ingloba in sé alcuni, se non tutti, gli stereotipi più incidenti nella costruzione dell'identità europea (intesa sempre come europea occidentale, ma ora con il surplus dei "nuovi entrati" cristiani ortodossi).


Vale quindi la pena di enumerare queste "opposizioni", almeno le due più evidenti:


1) I Turchi vengono e si riconoscono come eredi degli Sciti e degli altri popoli nomadi che abitavano la "Scizia", l'Europa geografica che si confonde con l'Asia.

2) I Turchi sono stati per secoli, musulmani, e quindi nemici "ideologici" dei cristiani, siano stati essi "Romani" o "Greci".


Quello di cui non si tiene conto, esaltando le differenze con la Turchia, è che la cultura turca è una cultura "inglobante" non una cultura "escludente" (e da questo nascono, ad esempio, buona parte dei problemi con i Curdi: i Turchi, generalmente non riescono a vedere la differenza tra un turco ed un curdo, e viceversa, poiché sono eredi dello stesso passato.


I Turchi attuali, cioè, hanno assorbito culture molto differenti tra loro e di tutte si sono considerati discendenti e partecipi, creandone non un ibrido sterile, ma al contrario una continua produzione di "parentele" (fittizie o reali che siano) con i più svariati popoli (antichi e/o ancora esistenti) ad esempio Indiani d'America e d'India, Cinesi, Baschi, Etruschi, Celti, Caucasici, Mediterranei, Ittiti, Troiani, Romani, Bizantini, mantenendo tuttavia il distinguo identitario basato soprattutto sulla lingua: è "turco" chi parla turco.


Va da sé che i Turchi di Turchia credono fermamente di essere europei per diritto, proprio come lo sentono i Bulgari, i Rumeni, i Greci e tutti gli altri popoli esclusi per secoli, per un motivo od un altro, dal processo costitutivo dell'identità europea. Tutti coloro, cioè, per i quali dire "andare in Europa" significa muoversi verso l'Europa occidentale ed i valori, evidenti o meno che siano, che essa incarna e con i quali spesso sono in aperto conflitto (penso ai diritti umani, al rispetto delle minoranze e delle diversità sessuali o religiose).


La Turchia è quindi "Europa" poiché ha nella sua identità tanto di "europeo", ma ha anche una parte "bizantina" ed una "asiatica". Con il suo ingresso l'Europa completerebbe e chiuderebbe finalmente un processo di differenziazione durato più di due millenni, sarebbe cioè più "matura" ed eliminerebbe i propri timori ancestrali di origine medioevale. Ciò ci aiuterebbe, come Europei occidentali, a renderci conto che in realtà non siamo poi così diversi da quelli descritti per secoli come nostri nemici.


Cosa accomuna o divide dal punto di vista religioso?


Se l'Europa è anche, ma non solo, "Christianitas", così la Turchia è anche e non solo "dar al-Islam". Penso sia stato proprio l'affrancamento cruento dai valori e dai poteri religiosi che unisce la Turchia all'Europa più di molti altri paesi dell'Est Europa.


Come l'Italia del Risorgimento si è fondata sull'anticlericalismo, ed "Italiani" erano coloro che volevano l'unità del Paese al di fuori di ogni separatismo religioso sancito dalla Chiesa cattolica (ebrei, valdesi, liberi pensatori, ecc. finalmente cittadini italiani sotto ogni punto di vista) così "Turchi" (atei, alevi, islamici "razionalisti") erano coloro che hanno combattuto la corruzione e l'oscurantismo dell'ultimo periodo dell'impero ottomano, hanno lottato contro ottusi e sanguinari mullah, hanno deposto, a furor di popolo, il Sultano-califfo ed abolito la Legge islamica. Come i nostri patrioti hanno avuto liste di proscrizione e pena di morte da parte della loro "stessa gente", così le hanno avuto i patrioti turchi. Cosa che non è avvenuta in Grecia (stato teocratico fino a qualche anno fa) ed in buona parte dei paesi dell'Europa dell'Est, dove il Risorgimento nazionale, al contrario, è avvenuto supervalutando l'appartenenza religiosa ed incarnandosi con essa, fino a fondare Chiese nazionali autocefale da Costantinopoli (il più delle volte con l'autorizzazione del Sultano).


I Turchi sono quindi "Turchi" al di fuori del dato religioso, hanno compiuto, da circa ottant'anni un'emancipazione dalle strutture del pensiero medioevale basato sull'appartenenza religiosa in un modo invidiabile. Quest'emancipazione però, è andata avanti a velocità differente in diverse aree del Paese. Specialmente nell'Est dell'Anatolia, come nel Sud o nel Nord-Est dell'Italia, le tradizioni islamiche più retrive si confondono il fanatismo anti-repubblicano e l'arretratezza economica si mischia a quella sociale che fa molto comodo a dei gruppi di potere ben ramificati che trovano la loro origine in una millenaria tradizione di anti-centralismo. Per chiarire meglio questo aspetto credo sia utile tornare al paragone, molto appropriato, tra Italia e Turchia. Proviamo ad immaginare quello che è successo ai patrioti italiani come Carlo Pisacane: uomini del Sud che volevano migliorare le condizioni di vita delle plebi meridionali. Al loro tentativo d'insurrezione contro i poteri forti, le stesse plebi, per ignoranza, risposero trucidandoli. Allo stesso modo le rivoluzionarie partenopee Eleonora Fonseca Pimentel e Luisa Sanfelice che volevano educare il popolino vennero impiccate dallo stesso in Piazza Mercato a Napoli. In sintesi questo è quanto è avvenuto per molto tempo in Turchia, dal tempo dell'instaurazione della Repubblica. Ogni tentativo di emancipazione dello stesso "popolo basso", anche partito da gente proveniente dallo stesso luogo finiva miseramente, in un bagno di sangue per gli idealisti. Questo periodo, durato molti anni dalla proclamazione della Repubblica Turca, è visto dai Turchi come un periodo di martirio glorioso, quello degli "Istitutori di villaggio" che andavano a portare la voce del laicismo (che conteneva, tra le altre, parole quali uguaglianza tra uomo e donna ed istruzione di base per tutti) nel lontano est, e ci lasciavano a volte la testa (non sono poche le notizie sui giornali dell'epoca di maestrine lapidate ed istruttori decapitati ed esposti, a monito, all'entrata dei villaggi).
Il governo centrale di Ankara rispose duramente, proprio come fecero gli "Italiani" nel meridione d'Italia, acuendo la differenza tra l'"occidente" e l'"oriente" della Turchia.


Non vorrei sembrare eccessivamente ottimista, ma durante il Navruz (il capodanno tradizionale curdo, turco e persiano) da sempre occasione di scontri e morti tra esercito e fazioni rivali, l'anno scorso ho visto a Diyarbakir, una delle aree più problematiche del paese, un poliziotto dei reparti antisommossa togliersi l'armatura e ballare tranquillamente tra la folla. Un piccolo segnale che qualcosa è sicuramente cambiato.


Questo cambiamento in positivo però, da fastidio a molti, soprattutto agli apparati, ufficialmente smantellati ma sempre attivi, dei servizi segreti, in primo luogo. Ed in Anatolia una scintilla provoca incendi, specialmente se il piromane è sempre lo stesso.


Dal punto di vista religioso non bisogna poi dimenticare che buona parte delle radici cristiane dell'Europa sono proprio in Turchia. Molti padri della Chiesa sono nati e vissuti lì, i Concilii che hanno sancito le varie dottrine, i luoghi santi, la splendida Antiochia, Calcedonia, Efeso.


Simbolicamente la Turchia è importante anche per le radici degli atei e degli a-religiosi. Ad Ankara si conserva, nella Piazza dei Tribunali, uno dei più importanti monumenti dell'età giulianea lasciati intatti dalla damnatio memoriae cristiana: una colonna dove una cicogna fa ancora il nido. E proprio da Ankara Giuliano l'Apostata cerco di ristabilire quella tolleranza per tutte le fedi che Teodosio aveva abolito a vantaggio del cristianesimo dogmatico.


La Turchia è inglobante e tollerante con tutti. Con tutti tranne che con gli intolleranti, e questo può dar fastidio a chi ritiene l'esclusiva della Verità, a qualsivoglia credenza religiosa o politica appartenga.


L'economia sembra l'ultimo dei problemi nei negoziati: è vero?


Sì. Certamente ci sono delle forti resistenze degli "Europei" su alcuni punti non legati all'economia ma piuttosto all'immagine che ci portiamo dietro del Turco. Mi spiego meglio cercando di sintetizzare in dettaglio i problemi principali:



1) Diritti Umani;


2) Questione Cipriota;


3) Questione Armena;


4) Questione Curda


Per ciò che concerne i diritti umani, strettamente legati ai diritti della donna e delle minoranze, la legislazione turca è abbastanza conforme, da decenni, a quelle europee occidentali più avanzate.


La donna ha avuto il diritto di voto prima che in Italia ed in Francia e la sua presenza nella vita sociale, economica e politica è certamente rilevante. Tuttavia esiste una "questione orientale", dove una immensa parte del paese è ancora ancorata a tradizioni ed usi in aperto conflitto con le leggi dello Stato. Questo "oriente" si è spostato in massa, nel corso degli anni nelle bidonvilles (geçekondu: quello arrivato di notte) delle grandi città occidentali (Ankara, Smirne, Istanbul, ecc.). Agli immigrati dall'est e dal centro dell'Anatolia si sono aggiunte le masse dei profughi provenienti dai Balcani, dall'Asia Centrale e dal Caucaso, perseguitati per il loro credo religioso islamico. Costoro, generalmente culturalmente più avanzati degli anatolici orientali, hanno trovato sostegno e aiuto principalmente da parte degli enti caritatevoli islamici ma hanno importato, in Turchia, un "islam di ritorno", basato sulla tradizione e sull'osservanza. Considerati dai loro persecutori "Turchi" in quanto nati musulmani, sono diventati musulmani nella laica Turchia. E per essere Turchi ostentano un Islam di facciata.


Si presenta quindi il problema in questi termini: per garantire i diritti umani di chi nega gli stessi agli altri, l'Unione Europea mette i paletti alla Costituzione turca che li garantisce (almeno sulla carta) per tutti. Come si può uscirne fuori?
Alla questione dei diritti umani si lega il problema curdo, che attualmente è in via di risoluzione, proprio grazie al governo musulmano che trova la maggior parte del suo elettorato proprio tra i Curdi ed i diseredati delle metropoli.
Le masse sunnite dell'Anatolia vedono finalmente rispettate la proprie esigenze culturali, prima osteggiate dai governi laici. Questo ha messo in seria difficoltà il maggior partito di sinistra curda, per anni espressione politica dell'Anatolia orientale, che aveva legato istanze sociali a quelle indipendentiste. E' la storia dei "Pisacane turchi" che si ripresenta, insomma: il "popolo" esprime la propria preferenza per chi lo rappresenta al meglio nei diritti "particolari" (spesso in aperto contrasto con i "diritti umani" supervisionati dalla UE) non per chi vuole farlo vivere garantendo lui dei diritti universali. La guerra civile in Anatolia orientale è terminata, ma resta ora il problema per le altre "minoranze" (riconosciute o meno dal governo turco) che non si sentono e non sono curde e sunnite che si sentono minacciate anche fisicamente dalla massa tra la quale vivono: i Nusairi di lingua araba, gli Alevi (circa 15 milioni, tradizionalmente la sinistra ed i repubblicani turchi e curdi), i Suriani (Siriaci), gli Yazidi (Adoratori del fuoco) e vari altri. Le abitudini di vita di costoro contrastano nettamente da quelle dei sunniti che sono al potere. L'equilibrio è quindi molto difficile e delicato.


Al problema curdo si lega quello armeno, poiché buona parte delle terre armene sono occupate dai Curdi, cioè dai musulmani scesi dalle montagne dell'est anatolico. Riconoscere politicamente un eventuale Kurdistan turco attirerebbe quindi le ire degli Armeni residenti al di fuori della Turchia, in quanto i due territori sono pressoché coincidenti.
Bisogna sottolineare che in Turchia gli Armeni, come i Greci (Rum) e gli Ebrei e contrariamente ai Curdi sono considerati minoranza, hanno proprie scuole, chiese, pubblicazioni ecc. e gli vengono garantiti legalmente tutti i diritti.
Questo fa sì che le comunità armene di Turchia siano abbastanza lealiste con i principi della Costituzione Repubblicana, e non vedono di buon occhio i tentativi di scardinamento della stessa da parte dei musulmani al governo.
Il governo turco attuale trova propria linfa nel passato ottomano e propria base elettorale in Anatolia orientale, nei territori anticamente abitati dagli Armeni. Al contrario, gli altri governi turchi e soprattutto le élites militari trovavano ragione nel Repubblicanesimo e nel laicismo anti-ottomano di Mustafa Kemal. Va da sé che il governo attuale non voglia riconoscere lo sterminio degli Armeni compiuto durante il periodo ottomano: sarebbe un'ammissione di colpa di difficile digeribilità per l'elettorato dell'Anatolia orientale, che sente quelle vicende come una reazione di difesa contro gli eccidi che i fanatici cristiani attuarono ai danni della popolazione musulmana.
I Kemalisti, al contrario, probabilmente a causa delle pressioni internazionali, posero fine agli eccidi, firmarono il primo loro trattato internazionale (2 dicembre 1920) con la Repubblica Socialista Sovietica d'Armenia, ed eseguirono le ordinanze del Tribunale Internazionale, impiccando i principali mandanti ottomani dell'eccidio.
Tuttavia, la propaganda anti-turca, fomentata dalla diaspora armena, ha sempre accusato i Turchi in generale per quell'eccidio, mentre i nazionalisti turchi cercano di negare l'evidenza. Un po' come se a Marzabotto si incolpassero i partigiani per le stragi compiute dai fascisti, in quanto tutti italiani.
Anche questa quindi un problema di difficile soluzione, che si è potuto creare in Europa proprio in base all'indiscriminato sentimento antiturco che porta quasi tutti a parteggiare per chi va contro i Turchi.


A questo sentimento di antiturchismo è legato il problema di Cipro, che per i Turchi non è un problema da poco.
L'esercito turco infatti intervenne militarmente a Cipro nel 1974 per salvarne la popolazione che stava per essere sterminata dai fascisti greci guidati dal fanatico monsignor Makarios, che voleva l'Enosis, cioè l'annessione dell'isola alla Grecia dei Colonnelli.
La recente entrata di Cipro greca in Europa è stata accompagnata da un referendum popolare nelle due parti dell'isola che contemplava la possibile riunificazione. Un plebiscito nella parte turca, una dèbacle nella parte greca. Anche qui colpa dei Turchi? Si aggiunga a ciò, che nella Cipro turca risiedono decine di migliaia di profughi dai Balcani (specialmente bulgari) con cittadinanza turco-cipriota e quindi apolidi sotto il profilo internazionale. Si obbligherà la Bulgaria a "riprendersi" costoro? Gli verranno ridate indietro le proprietà confiscate durante il periodo comunista? O si lasceranno vagare per l'Europa aumentando così il numero degli "zingari"?
Se l'Unione Europea usasse meno il sistema dei doppi pesi e delle doppie misure nei confronti dei Turchi, probabilmente non esisterebbe neanche questo problema.


Sembra un paradosso il fatto che questi negoziati non siano andati più di tanto avanti fino a quando non c'è stato un "demoislamico" (=democristiano) al potere...


Più che paradossale lo definirei ironico, ed ancora più strana sembra la posizione del centro-destra "moderato" italiano, che li ha fortemente voluti. Posso ravvisarci la volontà di una maggiore presenza della destra "reale" in seno all'Unione Europea, a conseguente detrazione di conquiste sociali e culturali quali laicismo, diritti delle donne, e via discorrendo. A questo si aggiunga anche la creazione di uno stato-cuscinetto nei riguardi del Medio Oriente e del Caucaso oltre ad un grande ed immensa porta del mercato verso l'Asia centrale.
Ma stiamo andando troppo avanti e bisognerebbe stemperare gli entusiasmi: I Turchi sono stati solo ammessi a parlare, a fare l'anticamera dell'Unione Europea. E questa anticamera durerà quindici anni, che non è poco.
Mi ricorda molto il sistema dei foederati della Roma imperiale e ci ritroviamo anche geograficamente.


Riguardo alla democrazia interna vorremmo delucidazioni


In Turchia, almeno nell'occidente del Paese, i partiti, le associazioni e le organizzazioni politiche e religiose sono molto sviluppati e ramificati, non escludendo le associazioni anarchiche e quelle di sinistra estrema. L'ambiente culturale è molto vivo e basta recarsi in una qualsiasi edicola o libreria per constatare l'immenso numero di libri, pubblicazioni, riviste di ogni segno e natura, ed in ogni lingua (curdo compreso).
I metodi della polizia turca sono abbastanza sbrigativi, specialmente nel reprimere le manifestazioni di piazza non gradite, e la rendono buona allieva di quella che si è vista a Genova durante il G8 o a Parigi qualche settimana fa.
L'esercito, al contrario, è una sorta di "garante della Costituzione", del quale i cittadini si fidano ciecamente, probabilmente a ragion e, dato che, con due colpi di stato, ha sempre ristabilito la democrazia e le libere elezioni.
Questo almeno fino alla vittoria del partito al governo che, per scardinare la Costituzione, deve giocoforza ridurre il potere dei militari. Con l'avvio dei negoziati per l'entrata della Turchia nella UE, il ruolo dei militari viene conseguentemente incrinato e svalutato, a tutto svantaggio della Costituzione laica.
Buona parte delle associazioni per i diritti umani, in Turchia, sono collegate al governo musulmano ed un grande gioco è proprio quello di "provocare" la reazione poliziesca o militare. Una strategia tipica è la seguente: ragazze musulmane tentano di entrare con il velo nell'Università statale (in Turchia è vietato), la sicurezza chiama la polizia, si crea il parapiglia, intervengono i maschi e la polizia reagisce con i noti sistemi. Viene inoltrata quindi una denuncia per violazione dei "diritti umani" da parte delle organizzazioni islamiche legate al partito di governo. E questo è quello che si vede in città. Nei villaggi, nelle periferie, dove le tradizioni sono forti, probabilmente la polizia non fa rispettare la legge dello stato, e le bambine di dodici anni si devono sposare ed il diritto umano non viene violato: occhio non vede e "democrazia" garantita agli occhi della UE.


Vorremmo anche sapere cosa sta succedendo a livello "sociologico": c'è per caso una sorta di "mutamento antropologico" di massa stile Italia pasoliniana?


Parlare di un "mutamento antropologico" è abbastanza forte e probabilmente essendo la Turchia un paese di fortissimi contrasti, la definizione calza perfettamente, ma solo per alcune fasce della popolazione.
La Turchia è un fantastico prisma dalle mille sfaccettature. Il transessuale Bulent Ersoy che è molto amato dalle mamme di famiglia turche, così come il macho curdo Ibrahim Tatlises "Ibo" (Dolcevoce) che si fa vanto di violentare le ragazze straniere ed il bisex dichiarato Tarkhan che è desiderato da grandi ed adolescenti. Il vakif (la fondazione pia) della più grande moschea di Ankara si fonda su un mega ipermercato che è la base della stessa costruzione: i mercanti del Tempio finanziano lo stesso. Nello stesso ipermercato si vendono alcolici in quantità e riviste di ogni genere a mamme velate accompagnate da ragazzine punk, o più probabilmente, da mamme quarantenni in minigonna inguinale accompagnate da adolescenti intabarrate. Gli Anatolici vendono, nei piazzali delle moschee, film porno pirata insieme ad edificanti polpettoni biblici hollywodiani degli Anni Cinquanta e a discorsi sulla moralità di mullah di ogni genere. Lo scomunicato Atatürk è venerato come un santo da tutti i musulmani e la sua immagine è presente ovunque, e tutti ne riconoscono la grandiosità dell'opera. E si potrebbe continuare a lungo con gli esempi ma si è detto che la Turchia viaggia a differenti velocità ed il gap tra le diverse componenti della società, così come delle generazioni, è molto evidente e di difficile riduzione.
Certamente l'Europa è parte integrante della cultura e della società turca, lo sarà e lo rimarrà, vogliano o meno coloro che nello specchio vedono solo riflessa la propria immagine in negativo.
Per ora c'è l'anticamera da fare.




Last update: 2005/12/02

Giuseppe Cossuto @islamistica.com


http://www.islamistica.com/giuseppe_cossuto/turchia_europa.html



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