La regina Rania: ''Così le donne cambieranno il mondo arabo''
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INTERVISTA. Parla la moglie di Abdullah II, inserita
da "Time" tra le 100 persone più potenti del Pianeta

La regina Rania: "Così le donne
cambieranno il mondo arabo"



Appello della sovrana giordana: "Aiutate la Palestina"
dal nostro inviato ALIX van BUREN


AMMAN -  "Si dice "la donna araba" e si parla di un universo sconosciuto. Se avesse visto la sorpresa di alcune leader occidentali nell'ascoltare le arabe al convegno per la Rete di azione globale: una riserva inesplorata di talento, un motore essenziale per lo sviluppo e la pace. Però la sfida più imponente adesso è la guerra alle nostre frontiere, la Terra santa e l'Iraq che continuano a soffrire. Mi auguro che in Palestina il mondo non voglia stare a guardare, trascurando la pace".

La regina Rania al-Abdullah di Giordania entra a palazzo e la sala s'illumina del suo sorriso. E' svelta e sottile, tailleur-pantaloni chiari, tacchi alti, carnagione d'avorio lucente, capelli corvini sciolti sulle spalle. E poi l'antica gentilezza orientale, gli occhi d'ebano allegri, il gusto di chi assapora le sfide, tutta intenta, si direbbe, a inventare un modo nuovo di riordinare i rapporti fra Oriente e Occidente.

Della sua grazia molto si è scritto, meno del suo potere: dell'audacia con cui affronta i consessi dei potenti mondiali, della caparbia con cui interpella i leader sui grandi temi etici e pragmatici della loro missione. Alla sua ascesa al trono, sette anni fa, re Abdallah II chiarì che Rania avrebbe retto il regno al suo fianco per traghettare il Paese nella modernità. Quest'anno Time l'ha scelta fra i 100 personaggi più influenti sul pianeta.

Allora, regina, lei si batte per la conquista delle libertà?
"Ascolti, mio marito e io apparteniamo a una nuova generazione, siamo vicini ai giovani, sappiamo interpretarne le aspirazioni, e il 70 per cento della nostra popolazione ha meno di 30 anni d'età. Vuole un nuovo futuro, e presto. Oggi viviamo in una società globale, abbiamo più strumenti rispetto ai nostri padri, dunque perché aspettare? Certo, il lavoro da fare è grande, affrontiamo sfide diverse, però disponiamo dei progressi tecnologici nell'area dell'istruzione, dell'economia, della medicina. La nostra fretta rispecchia quella della maggioranza in questo angolo del mondo".




I progressisti la lodano, ma i tradizionalisti? Lei preme per l'ingresso delle donne in politica e in Parlamento.
"Le resistenze ci sono, è vero, però hanno radici culturali, non c'entra l'Islam, che invece predica il rispetto e la parità dei diritti. Senza il contributo delle donne, la nave araba naviga con le vele a mezz'albero. Nel Corano il Profeta garantisce l'uguaglianza. Khadja, la sua prima moglie, era una astuta donna d'affari, la sua confidente e consigliera. Si tratta di cambiare la società dall'interno. I tempi sono maturi, il progresso nel mondo arabo c'è e si vede".

I liberali obiettano che il passo delle riforme non corrisponde alla sua impazienza.
"I grandi mutamenti non avvengono in una notte, questo bisogna accettarlo. La Giordania è avviata verso la democrazia, le riforme economiche e sociali. Purtroppo viviamo in un'area tormentata e questo ci rallenta. Non che il conflitto regionale valga come scusante, ma ha un effetto importante".

Riforme e democrazia sono la carta vincente contro l'estremismo islamico?
"Vi prego, non appaiate nel vocabolario Islam ed estremismo: se vogliamo parlare di fondamentalismi, allora bisogna ricordare che possono esistere in ogni religione, musulmana, cristiana ed ebraica. Con le riforme e la democrazia si apre un nuovo futuro a chi è senza prospettive: chi ha perso la speranza imbocca vie sbagliate, siano la delinquenza o il fondamentalismo. Ma la maggioranza dei musulmani, per sua natura, non è estremista. Anzi, l'equivoco dilagante sull'Islam è uno sviluppo sfortunato dei nostri tempi".

Si spieghi, regina.
"La nostra storia non è nata solo pochi anni fa. La storia che ha fatto grande l'Islam ha una ricca eredità di cultura, di scienza; reca un messaggio di convivenza, di pace, giustizia, progresso, rispetto dei diritti umani. E nessuno può ignorarlo. Ora una esigua minoranza di fanatici vuole prendere l'Islam in ostaggio, trascurando le convinzioni di oltre un miliardo di musulmani. Noi non possiamo permettere che ciò accada: non ci rappresenta e dobbiamo dichiararlo con voce forte e sonora".

Lei sta dicendo che il mondo islamico questa opera è pronta a farla?
"Noi ci battiamo per riaffermare l'essenza della fede. Per questo nel Messaggio di Amman sua maestà ha chiamato a raccolta le otto scuole di pensiero dell'intera comunità musulmana, concordi che si debba rifocalizzare la dottrina dell'Islam, porre fine alle fatwa, gli editti religiosi, emesse senza autorità, e condannare l'uccisione di civili innocenti. Questo è il contrario di quel che gli estremisti vogliono mostrare al mondo. Però anche in Occidente a volte c'è un grado d'inconsapevolezza".

Vale a dire?
"Nell'ignorare tutto quel che ci accomuna e nel mettere a fuoco quel poco che ci divide. Le offrirò un esempio: la figura di Gesù. Nel Corano non troverà che venerazione per il Cristo, per il suo messaggio divino, per la Vergine Maria. L'Islam in fin dei conti è un prolungamento della fede ebraica e cristiana: si fonda su di esse, ne condivide valori e principi. Qui non predichiamo la tolleranza, la viviamo. Di più: è accettazione, convivenza. E in questo mondo interdipendente, nessuno può permettersi di erigere barriere. Bisogna dialogare, conoscere l'altro. Più io viaggio e più m'accorgo come tutti ci assomigliamo: nel desiderio di un futuro, famiglia, dignità. C'è poi la prepotente richiesta di giustizia, senza la quale non si otterrà la pace".

Lei è di origine palestinese. Ha guidato una marcia di solidarietà con il popolo dei Territori occupati. Qual era il suo messaggio?
"E' tutt'ora quello di scuotere dal torpore la comunità internazionale. Molti sono poco informati su quel che accade nei Territori; ma nei più avvertiti spaventa un certo cinismo di chi s'arrende, giudicando la questione irrisolvibile; peggio, un conflitto locale. Tuttavia la pace è una opzione irrinunciabile per il mondo".

A tal punto centrale, secondo lei?
"Chi s'illude del contrario, sbaglia. Quando tramonta la speranza, quando la sofferenza si approfondisce, e i mariti non possono mantenere la famiglia, i padri guardano i figli senza riuscire a sfamarli, le donne incinte sono costrette a percorrere chilometri a piedi per partorire in ospedale, alla fine sarà il mondo intero a pagarne il prezzo. Non si può voltare lo sguardo di fronte al dolore e all'ingiustizia, sfilarsi dall'impegno. Senza dimenticare sull'altro versante il timore degli israeliani per i propri figli, per gli attentati suicidi. Su questo terreno germina la rabbia e tracima le frontiere: alimenta l'estremismo, diffonde veleni attraverso la regione. Come vede, ogni prospettiva di pace in Medio Oriente passa attraverso la soluzione di questo problema centrale. Però vorrei dirle anche questo: io ho sentito re Hussein, diceva "Voglio la pace per i miei figli e per i loro figli". Eccoci, siamo noi quella generazione futura, e nel frattempo i nostri figli sono nati e cresciuti. Quanto ancora a lungo dovremo aspettare? Più passano i giorni più si respira l'odio. Abbiamo gli strumenti per cambiare questa regione, serve soltanto la volontà politica".

Tempo fa lei inviò una lettera aperta al Times di Londra denunciando i ritardi delle forze della coalizione in Iraq nel permettere l'ingresso degli aiuti umanitari. Oggi che cosa scriverebbe?
"Oggi darei la voce agli iracheni. La mia parola non basta, ormai. Noi vediamo le immagini dei notiziari, seguiamo il computo dei morti, non conosciamo la realtà di chi non ha più lavoro, di chi vive recluso in casa per l'instabilità, dei bambini privati d'accesso all'istruzione e alle cure sanitarie, senza elettricità nel caldo dell'estate irachena. Oltre l'aspetto militare e politico, conta la sofferenza del popolo. Perciò farei parlare loro".

Lei non sapeva che un giorno sarebbe diventata regina. La sua è una bella favola?

"No, che non lo è. Pare così a chi osservi dall'esterno. Per me è vita reale, fatta di famiglia, bambini, lavoro, e della responsabilità verso il mio popolo. E' un compito che prendo molto sul serio".

(27 giugno 2006)

http://www.repubblica.it/2006/06/sezioni/esteri/inte-regina-rania/inte-regina-rania/inte-regina-rania.html



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