''Il problema non è l'islam ma l'alienazione del ghetto'' Costruire spazi di fiducia reciproca. Tariq Ramadan
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«Il problema non è l'islam ma l'alienazione del ghetto»


da Il Manifesto dell'8 novembre 2005



Tariq Ramadan analizza la frattura sociale: «La repressione non serve, c'è bisogno di politiche di fiducia reciproca»



O. C.


Tariq Ramadan, filosofo svizzero musulmano, guarda Parigi da un osservatorio privilegiato. Da qualche mese si è trasferito a Londra dove, oltre ad insegnare (a Oxford) lavora con la speciale task force messa in piedi dal premier Tony Blair dopo le bombe del 7 luglio. Una commissione che ha, almeno in teoria, il compito di provare a riavvicinare settori di società distantissimi tra loro.


Come leggi quanto sta accadendo a Parigi e nelle altre periferie francesi?


Da dieci anni dico che il problema in Francia non è religioso. L'islam non c'entra e non è nemmeno un problema culturale. Milioni di cittadini francesi musulmani dimostrano ogni giorno di essere perfettamente integrati. I problemi che hanno, e che chiedono vengano affrontati, sono soprattutto di ordine sociale. La realtà delle banlieues è quella di migliaia di persone ammassate nei ghetti. I francesi sono molto critici nei confronti del modello anglosassone, dicono che il multiculturalismo ha creato ghetti etnici. Io penso che se gli inglesi hanno creato ghetti etnici, i francesi hanno creato degli alienanti ghetti economici. In Francia, ci sono persone che vivono ai margini della società. A loro vengono propinate solo grandi discussioni sull'integrazione, la laicitè, il secolarismo. Gli si spiega che devono essere parte della società ma senza ascoltarli. L'altra costante presenza nei ghetti è la polizia. Si adottano politiche molto repressive. Ma hanno bisogno, prima di tutto, di essere considerati cittadini francesi a tutti gli effetti. Ho partecipato ad un programma di Channel 4 con un deputato francese che continuava a parlare di «questi immigrati che dovrebbero capire il sistema francese». Ecco, questo è il punto: non sono immigrati. Sono cittadini. Dopo 4-5 generazioni, ancora non vengono considerati francesi. E questo è razzismo. Non è un caso che in Francia il 78% percepisca l'islam come un pericolo. Se questo è il quadro generale, bisogna cominciare a parlare di soluzioni. A partire da serie politiche sociali. Dobbiamo riconoscere che il sistema scolastico mainstream non funziona nelle banlieues. Ci sono doppi standard: c'è una scuola per i giovani francesi dei sobborghi e un'altra scuola per chi vive nelle zone residenziali. In altre parole, il sistema scolastico che dovrebbe essere strumento di uguaglianza, in realtà non fa che moltiplicare diseguaglianze. Ma nei sobborghi non ci sono servizi sociali. Perché questi sono percepiti come luoghi senza diritti. Con le conseguenze che vediamo in termini di disoccupazione, disagio. Siamo dunque di fronte, non ad un problema con l'islam, ma ad una discriminazione sociale, istituzionalizzata.


La sinistra non sembra capace di fornire risposte...


Purtroppo, la sinistra è totalmente scollegata da questa realtà. A tratti riesce ad aggregare chi vive nei ghetti, nei sobborghi, ma solo quando si tratta di reazioni emotive. Non riesce però a promuovere una consapevolezza, un movimento politico reale in grado di affrontare i problemi. Questo scollamento ci pone di fronte ad un serio pericolo: una frattura con una parte di società.


Eppure questi giovani chiedono una sorta di rappresentanza.


Esattamente. Ma a monte di tutto, c'è il fatto che non sappiamo come affrontare la questione dell'islam. Non sappiamo come porci di fronte a musulmani che sono europei. Non vogliamo accettare il fatto che l'islam è una religione europea. E poiché non abbiamo un discorso chiaro su questo, quando ci troviamo di fronte ai problemi sociali, non sappiamo che fare e non c'è alcun partito oggi, in Gran Bretagna o in Francia, in grado di ascoltare queste rivendicazioni e questo nuovo modo di definire se stesso come cittadino europeo. Il problema allora è non sapere ascoltare questi nuovi cittadini europei. Di fronte a questa nostra incapacità, continuiamo a parlare di integrazione culturale e religiosa. Diciamo quello che si deve essere e fare per essere davvero europeo. Senza vedere che per la maggior parte di questi cittadini è già un problema risolto.


Che fare, dunque?


Finché a prevalere sarà questo discorso di britishness, identità, francesità, si continueranno a porre le domande sbagliate. C'è un'ossessione: definisci te stesso, chiediti chi sei veramente, francese o inglese. Tutte domande che ci allontanano dalle questioni reali e cioè le politiche sociali, la giustizia, agire contro le discriminazioni. Il risultato è il bisogno di sicurezza. Dobbiamo difenderci da questi criminali, come li ha definiti il ministro francese. Bisogna sviluppare politica forte in tre campi: scuola, politiche sociali e partnership sul territorio. Bisogna costruire, quello che ho chiamato un movimento nazionale di iniziative locali, dove costruire spazi di fiducia reciproca.



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