''Mettersi in mezzo'' Quel passo che è come un ponte che avvicina due rive opposte
I mediatori culturali e la scolarizzazione
Condividi questo articolo



In: Alla periferia del mondo. Il popolo dei rom e dei sinti escluso dalla storia
Fondazione Roberto Franceschi - Milano


I mediatori culturali e la scolarizzazione


Gloria Soriani - La ruota zingara (simbolo - bandiera della cultura kalé - rom - sinti)


Gloria Soriani: una scheda


In mezzo


Mediare vuol dire interporre, mettersi in mezzo, stabilire una relazione fra termini o soggetti diversi. Non esiste un medio astratto: esso dipende sempre dai termini di posizione o di valore fra i quali si definisce il medio. Per stare in mezzo, fra culture e popoli diversi, bisogna compiere un passo che ti distacca dai tuoi e ti avvicina agli altri. Quel passo è come un ponte che avvicina due rive opposte.


Per mediare tra rom e gagè (i non-zingari) bisogna addentrarsi in una no man’s land, che solitamente attraversano uomini in divisa; ma anche sparuti gruppi di volontari armati, invece, solo di buone intenzioni.


Da una dozzina d’anni, a Milano, per iniziativa di Carlo Cuomo, noto personaggio della vita politica e culturale milanese, è nato un esperimento, in collaborazione con l’Istituto di pedagogia dell’Università Statale.


Un gruppo di ragazze rom, completata la scuola dell’obbligo, hanno frequentato un corso che le ha abilitate a essere una sorta di maestre di sostegno nelle scuole in cui più alta era la presenza di bambini rom: mediatrici.


La scuola è per sua natura - dovrebbe - terreno di mediazione fra diverse anime e fra diversi livelli culturali. Il quadro demografico del popolo rom è caratterizzato ovunque e sempre da una presenza di minori che supera largamente il 50%: un popolo di bambini, che nessuna dichiarazione universale aiuta a superare il muro del pregiudizio e dell’esclusione.


I rom rappresentano ancora un’isola - molte isole - di cultura orale, nella quale non cresce la pianta della scrittura. Addentrarsi in queste foreste di segni vuol dire attraversare, con la propria cultura, un terreno oscuro come le prove delle fiabe e portare i bambini, capite, loro, con il piffero magico, a condurre la propria gente, dentro quei territori da cui viene esclusa.


Nelle scuole si preparano alchimie sfolgoranti attraverso le quali bambini di luoghi culturali diversi apprendono a vivere insieme. Fra loro i rom. Le maestrine rom sono il ponte attraverso il quale i più esclusi camminano a incontrare tutti gli altri, perché non ci sia più una terra di nessuno fra gli uomini.


Ernesto Rossi,


Opera Nomadi di Milano


 


I mediatori culturali sono soprattutto donne, come racconta Ernesto Rossi, che recupera la genesi della loro presenza a Milano negli primi anni Novanta.


Purtroppo in questi giorni, la giunta comunale milanese ha tolto i finanziamenti per le mediatrici culturali, che operavano con i bambini di alcune scuole elementari.


Pur riconoscendo il ruolo importante delle mediatrici, pensiamo che ci siano almeno 4 questioni su cui riflettere:



1- la necessità di riattivare i corsi di formazione per mediatori rom e non rom;


2 - la riprogettazione delle modalità di formazione;


3 - la verifica dei risultati della mediazione;


4 - la presa d’atto della parzialità operativa dei mediatori culturali per poter progettare soluzioni più incisive e radicali.


Analizzando le attività svolte dai centri pubblici e privati a favore dei rom e dei sinti, abbiamo incontrato per lo più progetti di mediazione culturale unidirezionale: inadeguati per la complessità della situazione. Crediamo che l’intervento socio-politico volto quasi esclusivamente all’utilizzo dei mediatori culturali sia perdente (in base alle considerazioni svolte sul pregiudizio e sullo stereotipo) e inconsapevolmente "assimilazionista". A noi sembra centrale per una educazione diversa delle nuove generazioni e quindi dei nuovi cittadini, la formazione degli insegnanti e degli operatori scolastici (un analogo discorso vale per la sanità pubblica). Poiché il nuovo contesto socio-politico richiede conoscenze antropologiche, oltre che psico-pedagogiche, occorre una nuova metodologia didattica, come invita a elaborare la legge 6 marzo 1998, n. 40 "Disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero", art. 36 Istruzione degli stranieri. Educazione interculturale, confluito nel D.L. 25 luglio 1998, n. 286 "Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero", art. 38 Istruzione degli stranieri. Educazione interculturale (legge 6 marzo 1998, n. 40 art. 36 - Legge 30 dicembre 1986, n. 943, art. 9, commi 4 e 5), articolo invariato anche a seguito dell’approvazione delle Legge 30 luglio 2002, n. 189 "Modifica alla normativa in materia di immigrazione e asilo".


La normativa riguarda l’obbligo scolastico dei minori stranieri e il diritto allo studio; nell’art. 3 si dice che «La comunità scolastica accoglie le differenze linguistiche e culturali come valore da porre a fondamento del reciproco rispetto, dello scambio tra le culture e della tolleranza; a tal fine promuove e favorisce iniziative volte alla accoglienza, alla tutela della cultura e della lingua d’origine e alla realizzazione di attività interculturali comuni».


Per quanto riguarda i bambini immigrati e le popolazioni romanes non si può parlare finora di scambio o di attività interculturali: prevale comunque la preoccupazione di far conoscere il nostro contesto socio-culturale e si sottovaluta la conoscenza del loro. Non è pensabile che l’intercultura si risolva nello scambio di piatti o danze più o meno tradizionali, senza per questo ignorare l’importanza anche di tali iniziative.


L’art. 6 coglie molto bene il problema, sottolineando la necessità che siano "attuati specifici insegnamenti integrativi, nelle lingue e cultura di origine": per ora gli interventi messi in atto riguardano l’insegnamento della lingua italiana: ma se, per realizzare tale obiettivo, i bambini, come succede, vengono raggruppati in classi particolari durante l’orario curriculare, si comprende come sia difficile per loro instaurare rapporti amicali nella classe e relazioni di stima e di affetto con gli insegnanti.


Appare chiaro invece che l’istituzione non ha a cuore né l’interculturalismo né le dinamiche di gruppo ma soltanto l’apprendimento della lingua italiana (con ciò non vogliamo sottovalutare l’importanza della comunicazione linguistica e il possesso dell’italiano per una buona riuscita scolastica).


L’art. 4 del Decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1999, n. 394, cap. VII, Disposizioni in materia di istruzione, diritto allo studio e professioni, ribadisce il ruolo del Collegio docenti per l’allestimento di specifici interventi individualizzati o per gruppi di alunni, per facilitare l’apprendimento della lingua italiana. L’art. 5 sostiene che "Ove necessario, anche attraverso l’ente locale, l’istituzione scolastica si avvale dell’opera di mediatori culturali qualificati". Il problema riguarda proprio la qualificazione, come abbiamo sottolineato precedentemente.


Ancor più interessante è il Documento programmatico relativo alla politica dell’immigrazione e degli stranieri nel territorio dello Stato, a norma dell’art.3 della legge 6 marzo 1998, n. 40, 2001-2003 - Istruzione (estratto) in cui si evidenziano due questioni centrali: l’una relativa all’inserimento, l’altra al successo scolastico. Per i bambini immigrati e per le popolazioni romanes l’abbandono e l’insuccesso sono molto più alti di quelli dei bambini italiani.


Da studi recenti (Carlotta Saletti Salza, 2003) sappiamo che i bambini rom vanno a scuola per famiglie e chiedono di essere lasciati insieme, i genitori non vanno a parlare con gli insegnanti perché non ci sono i bambini ed è male parlare di una persona in assenza della stessa (è parlar male), ogni famiglia deve avere almeno un bambino a casa ecc.


La difficoltà dell’inserimento a scuola consiste anche nel fatto che il nostro sistema scolastico è scarsamente comprensibile per i rom e i sinti, poiché il campo-sosta rappresenta per loro un sistema educativo articolato e perché la loro cultura è tuttora prevalentemente orale; inoltre, come sostiene l’antropologo Leonardo Piasere, i bambini imparano "per presenza costante alle attività e ai discorsi degli adulti più che per insegnamento diretto: l’apprendimento è mimetico". Ciò costituisce un problema educativo enorme se si pensa alle nostre modalità pedagogico-didattiche. Nelle attuali situazioni di frequentazione scolastica, nelle aule la sistemazione dei posti ripropone la cultura della separazione fra rom e gagè ai margini della classe, ai margini della città.


(Elisabeth Tauber, 2003: l’antropologa sostiene che per i sinti, ad esempio, andare a scuola significa conoscere i gagè, cioè il nemico).


Da quanto esposto si comprende come la formazione degli insegnanti e degli operatori scolastici debba essere radicalmente ripensata dagli antropologi, dagli psicologi, dai sociologi, dai pedagogisti e dagli esperti di metodologie didattiche.



Condividi questo articolo

in Il popolo che danza: <b>Dopo le medie…io continuo</b> Il sogno di Charlotte: diventare orafa e mediatore culturaleVita da giostraiIL VIOLINISTA SUL TETTOMEDIAZIONE CULTURALE NELL’AREA MATERNO INFANTILE PER LE ETNIE ROM E SINTIGli zingari in Italia: cultura e musica<IMG height=147 
src=http://www.katarzynapollok.de/kunst/gemaelde/bilder200302/kali.jpg 
width=255 border=0>  <br>Katarzyna Pollok's: Opere a temaSterminioDire la storia<img src=http://www.esf.ch/leresche/images/rroms/medium/00_358.jpg border=0><br>I ROMO Porrajmos - La persecuzione degli zingari da parte del FascismoThe Gypsy QuestionAi confini della cittadinaza:ROM - Il razzismo italiano«Io canto il vento, danzo il destino»SOGNO D’INFANZIAKHORAKHANÈGAZISARDE ROMEN GI VIOLINALe deportazioni: testimonianzeUn triangolo nero<i>''Mettersi in mezzo''</i> Quel passo che è come un ponte che avvicina due rive opposte  


Copyright © 2002-2011 DIDAweb - Tutti i diritti riservati