Zizek, l'ombra del godere - IDA DOMINIJANNI
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POLITICA O QUASI
Zizek, l'ombra del godere
IDA DOMINIJANNI



Di Slavoj Zizek e della sua recente "scoperta" italiana ho già avuto modo di parlare in questa rubrica, quando uscì per Feltrinelli la sua raccolta di saggi Il grande Altro curata da Marco Senaldi. Il godimento come fattore politico, che esce adesso per Cortina a cura di Damiano Cantone e René Scheu, ci rimette a contatto con la problematica e le ossessioni del "gigante di Lubiana", pensatore "di confine" in tutti i sensi, il suo punto di osservazione del presente trovandosi al confine fra Est e Ovest, fra esperimento comunista e globalizzazione liberaldemocratica, fra filosofia e psicoanalisi, fra umanesimo novecentesco e post-umanesimo tecnologico del 2000, fra razionalità e inconscio del testo sociale. Una posizione di confine che obbliga - è questo il messaggio primo di Zizek - a ripensare l'ambito e le categorie del politico contemporaneo, decostruendone lo spazio e la logica tradizionale e i suoi rimossi e aprendola a nuove contaminazioni: con le dinamiche dell'immaginario che supportano la riproduzione del mondo delle merci, con i dispositivi dell'ordine simbolico che supportano l'ordine della legalità, con le difficoltà dell'io che si riflettono nelle tortuose vicende delle identità collettive nell'impatto con la globalizzazione. Meno ampia ed esaustiva della precedente raccolta, Il godimento come fattore politico ha il pregio di un titolo che più direttamente del lacaniano "grande Altro" dice la cosa: dice cioè che i processi politici non sono comprensibili senza l'analisi dei processi mentali - consci e soprattutto inconsci, dicibili e soprattutto indicibili, "normali" e soprattutto perversi - che li sostanziano, e che li radicano nel consenso di massa.
Come fa anche qui accanto nell'intervista con Elisabetta D'Erme, nel libro Zizek esemplifica il ruolo del godimento (qui inteso non come piacere ma come piacere perverso) in politica a partire dai sistemi totalitari, e dal loro paradossale funzionamento sulla base di regole non scritte che, proibendo tacitamente ciò che la legge scritta consente formalmente, costringono ciascuno ad accettare "liberamente" ciò che gli viene in realtà imposto (esempio: "Nell'Urss degli anni 30 e 40 non solo era proibito criticare Stalin, ma forse era ancor più proibito formulare esplicitamente questa proibizione"): un dispositivo a giudizio di Zizek più sottile di quello dei regimi autoritari, laddove annega in una perversa adesione soggettiva agli imperativi del sistema quel conflitto fra legge e trasgressione che l'autoritarismo lascia almeno aperto. In questo come nel precedente libro di Zizek, tuttavia, gli stimoli principali non vengono tanto dalla lettura del passato bipolare quanto da quella, altrettanto spietata, del presente globale. Vaccinato contro la "fascinazione democratica" dalla vicenda dei Balcani post-socialisti, Zizek ha scritto più volte che la vera domanda che oggi si pone alla filosofia politica è se la forma attuale della democrazia, e del matrimonio fra democrazia e capitalismo, costituisca l'ultimo orizzonte della nostra esistenza o se la si possa mettere in discussione; e in questi saggi sul godimento propone a questo fine due utili esercizi.
Il primo riguarda la critica del mercato globale, e di quel feticismo delle merci che sempre più appare l'unica modalità di soddisfazione del desiderio nel mondo unificato dalla produzione e dal consumo. Tornando a Marx - a un Marx sgravato da alcune ingenuità utopistiche - Zizek aggiorna la critica dell'economia politica con la critica, potremmo dire, dell'economia simbolica che sorregge il funzionamento del mercato, aggiungendo all'analisi del pluvalore quella del "plus-godere" (il meccanismo per cui "più bevi coca cola più hai sete, più profitto ottieni più ne vuoi, più compri più devi spendere"), che adatta e conforma la personalità narcisista contemporanea (più maschile che femminile, sottolinea Zizek) agli imperativi del capitale. Il secondo esercizio riguarda l'analisi del cyberspazio, figura realizzata di un'idea di libertà ridotta a chance, nella quale Zizek rintraccia invece la perversa illusione di una interattività priva dell'attrito del sé con l'altro, e di una ripetibilità priva dell'ostacolo della finitezza. Due esercizi che mirano al cuore.


Il manifesto 10 aprile 2001



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