L'Islam moderato: "No a via Quaranta, ma la scuola pubblica deve offrire di più"
di Ekaterina Koshkina
ROMA - “Come educatore ho conosciuto alcuni allievi della scuola di via Quaranta 52: non posso generalizzare, ma so che ci sono stati problemi dopo il loro passaggio alle scuole italiane”. A parlare è Mouchen Bendaoud, algerino, membro dell’associazione Cittadini dal mondo di Milano. I ragazzi, spiega, dopo aver studiato lì per due o tre anni, hanno avuto serie difficoltà negli istituti scolastici italiani, a cominciare dai rapporti con l’atro sesso: “Per esempio, in base all’educazione che avevano ricevuto, non era ammissibile per questi ragazzi di 14 anni avere come compagne di banco ragazze in minigonna”.
“La scuola di via Quaranta - continua Bendaoud - non mi ha fatto una buona impressione: tendeva a mantenere un controllo totale sull'istruzione dei ragazzi; un atteggiamento che certo non poteva favorire la loro integrazione". L'algerino tuttavia non condivide la scelta di chiuderla "da un giorno all’altro" e proprio alla vigilia di un nuovo anno scolastico. Perché "ogni popolazione immigrata ha diritto a ricevere l’istruzione secondo la propria cultura, anche religiosa, e sono gli enti locali che devono garantirlo. Occorrono politiche scolastiche in grado di appianare le differenze culturali, ma sempre nel rispetto dei costumi di ogni singola etnia”.
Alcune comunità come quella marocchina, spiega Bendaoud, durante le vacanze mandano in patria i propri figli, allievi delle scuole pubbliche italiane, per far loro imparare l’arabo e il Corano. "Ci tengono a conservare la loro identità. Per loro è ormai una vera necessità, dovuta all'instabilità della loro permanenza in Italia. Perché un musulmano è esposto più di altri a discriminazioni e fa più fatica a trovare lavoro. Ma se un bambino istruito secondo i canoni italiani rientra nel paese d’origine si sente completamente diverso: ecco perché i genitori della scuola milanese, preoccupati per il futuro dei figli, protestano con tutte le forze contro la chiusura”.
L'inadeguatezza delle scuole italiane, conclude Bendaoud, è un problema importante e le istituzioni si devono porre l’obiettivo di trovare soluzioni; ma in collaborazione con i rappresentanti delle comunità. "Mancano figure professiobnali in grado di educare gli stranieri (i bambini ma anche gli adulti). Devono avere caratteristiche diverse da quelle di un educatore normale: una profonda conoscenza della società italiana, ma anche di quella del paese d’origine, per trasmettere agli allevi un intreccio organico tra le due culture”.
Sono su posizioni analoghe altri due esponenti dell'"Islam moderato" d'Italia. “Come associazione - spiega Souad Sbai, presidente delle donne marocchine in Italia - abbiamo grande sensibilità per una vera integrazione che ancora non c’è". Ad esempio, osserva Sbai, il sistema scolastico offre ben poco ai ragazzi immigrati al di là dell'insegnamento dell'italiano. Mentre sarebbe importante che avessero l'opportunità di imparare l'arabo, insegnato ovviamente "non da integralisti. Perché allora - suggerisce - non utilizzare come insegnanti tanti ragazzi italiani, giovani neolaureati, che conoscono perfettamente l’arabo e hanno molta voglia di lavorare?".
Quanto all’esperienza della scuola di via Quaranta, continua Sbai, "per nostra fortuna è rimasta isolata. Non abbiamo mai auspicato un sistema del genere. Dico solo che questi ragazzi, prevalentemente egiziani, non avrebbero alcun futuro in Italia. Non siamo d’accordo con una politica scolastica così chiusa, abbiamo invece sempre consigliato la scuola pubblica italiana, che richiede però alcuni accorgimenti importanti. I comuni e le province dovrebbero valorizzare il ruolo della scuola nella conoscenza reciproca, che rimane l’unica via percorribile verso un’integrazione vera”.
Per Khalid Chaouki, ex presidente dei Giovani musulmani d'Italia, “l’esperienza della scuola di via Quaranta è pericolosa: danneggia il futuro della nuova generazione e di quei 500 ragazzi in particolare, completamente disadattati, che ne hanno già subito le conseguenze. Le autorità hanno sottovalutato il problema. Abbiamo sempre detto sì alla scuola pubblica, che deve naturalmente rispondere alle esigenze della società multiculurale. Mi riferisco in particolare alla possibilità di imparare l’arabo come seconda lingua, oltre alla religione islamica in alternativa a quella cattolica”.
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