La protesta davanti ai locali chiusi di via Quaranta
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La nuova forma di protesta davanti ai locali chiusi di via Quaranta
Nessun accordo per l'iscrizione dei bambini alle scuole statali
Milano, lezione di arabo in strada
"Difendiamo la nostra identità"




La lezione in strada

 
MILANO - Un'aula a cielo aperto, sul marciapiede di via Quaranta a Milano. Circa trenta bambini di origine araba, stamani, hanno fatto lezione in strada. E' questa la forma di protesta scelta dai genitori degli alunni che frequentano la scuola araba milanese, chiusa dal Comune cinque giorni prima dell'avvio dell'anno scolastico. Studenti e famiglie vogliono rivendicare il diritto a un'istruzione che tenga conto delle proprie radici e della propria identità e chiedono una sede adeguata almeno per quest'anno, in modo da proseguire il percorso di studio iniziato nella scuola di via Quaranta 54.

"Voglio imparare l'arabo - dice uno dei bambini - per quando vado in Egitto e l'italiano per quando sono qui". "Se mio figlio non può studiare l'arabo ma soltanto l'italiano - dice il genitore del bambino - allora preferisco mandarlo in Egitto". La manifestazione è stata decisa dopo un'assemblea con il direttore scolastico regionale, Mario Dutto, e il provveditore, Antonio Zenga. Le due alternative che Dutto ha offerto ai genitori dei ragazzi - l'iscrizione degli alunni nelle scuole pubbliche, con la garanzia di lezioni in arabo o l'istruzione paterna, prevista dalla legge italiana - non sono state accolte favorevolmente dalle famiglie, che hanno deciso di scendere in strada.

Il maestro di arabo, Said Mahfuz, è egiziano e parla solo in arabo: "Così come ci sono in Egitto delle scuole italiane, francesi e così via, allo stesso modo in Italia dovrebbero esserci scuole arabe. Questa di via Quaranta erano due scuole in una: sia araba che italiana". Polemiche e proteste che sarà difficile calmare in tempi brevi. "Verremo qui ogni giorno fino a




che questo problema non sarà risolto": ha detto ancora Said Mahfuz. "Non possiamo lasciare 500 ragazzi e bambini senza scuola. I genitori in questo momento provano una rabbia intensa - ha spiegato l'insegnante -. Molti stanno pensando di mandare i figli in Egitto, ma non è una scelta facile".

E mentre c'è chi, non volendo lasciare i figli a casa, li ha mandati in una scuola pubblica, pur associandosi alla protesta, molti si dicono delusi per una situazione così spiacevole. "Mi dispiace - ha detto uno dei genitori presenti - perché l'Italia mi ha dato tanto: la casa e il lavoro. Però non voglio far crescere mio figlio senza identità. Se conoscono due lingue e due culture è un vantaggio per loro. Noi vogliamo che i nostri figli si integrino".


Della necessità di un dialogo aperto tra le due culture è convinto Fiorello Cortiana, capogruppo dei Verdi in commissione istruzione di palazzo Madama che afferma: "Occorre un dialogo, da continuare in ogni caso, che deve però partire dal rispetto delle regole e delle leggi della Repubblica italiana, dal diritto delle bambine e dei bambini di andare a scuola e, infine, il diritto dei genitori di mandarli". Ma fino al momento in cui la scuola islamica non sarà parificata alla scuola pubblica, ha aggiunto Cortiana, è necessario che i ragazzi frequentino la scuola italiana.

Duro il leghista Davide Boni, assessore regionale al Territorio: "E' necessario l'intervento delle forze dell'ordine per identificare i genitori dei bambini presenti in via Quaranta perché il tribunale dei Minori possa procedere contro di loro". Anche il capogruppo di An in Regione Roberto Alboni, critica la manifestazione ritenendo: "L'arabo possono studiarselo a casa o coltivarlo nella loro comunità, - ha dichiarato Alboni - così come la religione islamica. Altrimenti se ne tornino in Egitto".


(19 settembre 2005)


http://www.repubblica.it/2005/i/sezioni/scuola_e_universita/servizi/viaquaranta/viaquaranta/viaquaranta.html



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