Chi c'e' in lista? - Francesco Forti da Ginevra, la citta' del ''meticciato culturale'' - Apr 9, 2000
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dw-intercultura: dallo  STORICO   della  lista



Ciao a tutti,
Mi chiamo Francesco Forti e vivo all'estero, nel paese che
ha il maggior numero di stranieri d'europa e forse del mondo.
Il 20% della popolazione qui in Svizzera e' straniera, una
percentuale che in Italia farebbe saltare i nervi a molti ma
che qui e' considerata normale e che non crea grandi problemi.
Non dico che non ne crei ma vengono gestiti con buon senso
e con mille sperimentazioni locali che danno il loro frutto.
Quella percentuale e' una pura media, per cui e' ovvio che in
certi posti essa e' ancora piu' forte (Ticino=26%, Ginevra =40%)

Mi occupo della scuola come genitore ed ho due figli, uno
alle elementari (in quinta) ed uno alle medie inferiori (in quarta).
Seguo la politica scolastica negli organismi locali di rappresentanza
dei genitori.

Spero che vi possa essere gradita la lettura di un articolo
di qualche anno fa ma ancora attuale.

Buona domenica a tutti,
Francesco Forti

====
L'integrazione degli stranieri e il caso ginevrino

Ginevra, da più di quattro secoli, annovera dal 30
al 40% di stranieri. Una "città-mosaico", la si
definisce talvolta, per la varietà delle tessere -
etniche, culturali e razziali - che la compongono.
Fin qui, però, non vi è nulla di particolarmente
strano: simili "città-mosaico" sono esistite già
nell'antichità. Ma recentemente qualcuno ha
ritenuto che la metafora del mosaico non
rappresenti più adeguatamente la realtà della città
di Calvino: la rivista "Le Temps stratégique"
dedica parecchio spazio a interrogarsi se non sia
più giusto parlare di "meticciato culturale".

Di SERGIO CARATTI

Non è solo questione di parole. In un mosaico
ciascun tassello mantiene la sua colorazione
originaria, la sua forma che contribuisce al disegno
del tutto; il meticciato è invece un incrocio,
un'ibridazione genetica che modifica
profondamente l'individuo rispetto ai genitori.
L'espressione "meticciato culturale" sta ad indicare
che le culture e le usanze diverse si sono fuse con
quella ginevrina e l'hanno modificata in profondità,
creando di fatto qualcosa di nuovo; ma, al tempo
stesso, la cultura originaria si è mantenuta
abbastanza da consentire una forte identità.
In altri termini, Ginevra ha mostrato nei secoli una
straordinaria capacità di assimilazione. Ciò non
significa che lo straniero viene "normalizzato" sul
modello dell'autoctono, ma che i suoi figli, quando
raggiungono la condizione adulta, non si
distinguono più per nulla dagli altri abitanti della

città. Ma da dove viene, alla città di Calvino,
questa sorprendente capacità di assimilazione?
Secondo lo storico David Hiler, una delle
condizioni importanti è che Ginevra, prima ancora
d'essere una città assimilatrice, è stata una città
"assimilata". Nel XVI secolo il forte afflusso di
rifugiati protestanti, provenienti prevalentemente
dalla Francia riformata ma con apporti italiani,
tedeschi e inglesi, ha fatto sì che Ginevra stessa
venisse assimilata alla massa dei nuovi
insediamenti. All'origine della storia moderna della
città di Calvino sta dunque una sua flessibilità
estrema - poi diventata consuetudine - ad
accogliere gli stranieri e, insieme, ad esserne
accolta: nei secoli successivi, essa si dimostra
capace di ricevere migliaia di stranieri senza
perdere la sua forte identità e la sua indiscutibile
coesione.
Ma la consuetudine e la tradizione, da sole, non
bastano. Ginevra ha un territorio esiguo e un
flusso d'immigrazione le è sempre stato necessario
per il suo funzionamento sociale. Così, la
straordinaria capacità ginevrina di assimilazione
dipende in gran parte anche dal fatto che tutti -
indigeni ed immigrati - trovano interesse e profitto
nell'azione di assimilazione reciproca.
Possiamo tentare un confronto con il Ticino?
Certo, le condizioni storiche degli ultimi secoli
sono state, nei due cantoni, profondamente
diverse. Ma negli ultimi decenni, almeno un dato
avvicina il nostro cantone a quello sulle rive del
Lemano: l'elevata percentuale di stranieri
dimoranti nel territorio. Lo scorso anno gli
stranieri in Ticino erano 81.093, il 26,5% della
popolazione residente (305.817). Come densità
di popolazione straniera, il cantone è dunque ben
al di sopra di tanti altri paesi nei quali, tuttavia, si
manifestano non di rado espressioni di intolleranza
che invece, qui da noi, non si verificano.
È un segno di elevata capacità di assimilazione
anche da parte nostra? Si può parlare, anche per
il Ticino, di "meticciato culturale"?
Intanto, è da osservare che il nostro cantone, per
la sua condizione di minoranza linguistica ed etnica
all'interno della Confederazione, è già stato
anch'esso assimilato mentre svolgeva a sua volta
un'azione di assimilazione nei confronti delle
minoranze immigrate. L'accettazione della
diversità culturale fa dunque parte della nostra
tradizione storica. Poi, per lo meno dal secondo
dopoguerra, anche il Ticino ha avuto la sua
convenienza nell'accogliere coloro che venivano
da noi per la loro convenienza: l'espansione
economica non sarebbe stata possibile senza
l'apporto della mano d'opera straniera che ha
sostanzialmente contribuito al benessere attuale. E
anche ora, in tempi di economia in crisi, il lavoro
degli immigrati continua ad essere indispensabile,
visto che vi sono settori di produzione che
risultano poco ambiti - o addirittura disdegnati -
dai lavoratori ticinesi.
Ma il solo tornaconto economico non sarebbe
sufficiente a determinare un'assimilazione feconda.
Il rischio, come sappiamo, è che si rafforzi una
tendenza che si sta delineando negli ultimi anni:
che, cioè, gruppi etnici in prevalenza
extracomunitari tendano a rafforzare la loro
coesione interna così da rifiutare l'integrazione nel
più vasto tessuto sociale del Paese che li ospita.
Se, in altri termini, si costituissero delle isole
etniche decise a mantenere il loro isolamento, si
produrrebbe non tanto una fecondazione
reciproca di culture e di tradizioni, ma piuttosto
una frammentazione della società.
Questo è il rischio da evitare. Un "meticciato" -
preferiremmo dire una "fecondazione" culturale -
presuppone una precisa volontà reciproca di
avvicinamento e di incontro. L'interesse
economico può solo agevolare la coesistenza
fisica, non la comprensione e l'accettazione
reciproca.

Sul «Corriere del Ticino» di venerdì in prima
pagina (12.09.97)


 



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