23.06.2005 «Ecco il mio Islam dei Lumi»
L’Europa sta diventando anche musulmana e l’Islam sta diventando anche europeo. I musulmani nel vecchio mondo sono circa dieci milioni distribuiti in modo diseguale, dal 30% della popolazione locale in città come Bruxelles e Anversa (in Belgio l’attuale ministro della cultura è figlia di genitori marocchini) al 3% delle nostre città. E d’altra parte, per la prima volta nella sua storia, il mondo musulmano si trova obbligato a definirsi fuori dal dar al islam, geografia sociale, politica e culturale propria dell’Islam. Un incontro nuovo di cui si sa poco e non si vuole sapere di più, accecati come siamo, dopo l’11 settembre, dall’ira, dalla paura, dall’identificazione diffusa tra immigrazione, islam e terrorismo. Se ne è parlato in un convegno dal titolo Islam in Europa e Islam europeo, promosso dal Comune di Milano e dal Centro Italiano per la Pace in Medio Oriente al quale sono intervenuti Mohammed Arkoun e Malek Chebel, docenti universitari in Francia, Felix Dassetto, Stefano Allievi e Nico Landman, studiosi di scienze sociali e rappresentanti dell’Islam italiano. Abbiamo intervistato Malek Chebel, antropologo e psicanalista, specialista del mondo arabo e dell’Islam, di origine algerina, autore di molti libri tra cui , nel 2004 il Manifeste pour un islam des Lumières ; 27 propositions pour faire bouger l’islam, che invita i musulmani europei a decretare la «guerra santa» inutile e superata, ad abolire definitivamente tutte le fatwa che richiamano alla morte. ad affermare la superiorità della ragione su tutte le altre forme di pensiero e di credenza, a sottoporre i testi sacri a una nuova interpretazione aggiornata e armonizzata alla cultura europea. Che cosa devono fare i musulmani che vivono in Europa per diventare una voce, degli interlocutori? «Due rivoluzioni: la prima al nostro interno per far affiorare la nostra esperienza del mondo: L’Islam deve imparare a parlare a se stesso, chiarirsi che cosa può offrire oggi agli altri, e non solo che cosa può prendere, riconsiderare il vocabolario usato per parlare della religione. La seconda è cercare di convincere i non musulmani della nostra ricchezza, con una rivoluzione nella comunicazione per spiegare chi siamo.Il mio scopo è attirare l’attenzione sulla pluralità dell’Islam, dare risposte alla questione dell’applicabilità dell’Islam alla realtà contemporanea. La grande maggioranza dei musulmani è pronta, sia in Europa che nei paesi d’origine, ma non lo sono le classi dirigenti che utilizzano la religione a fini politici per preservare i loro regimi illegali e i religiosi. E anche quelli che vivono in Europa, spesso ancora più arretrati, ch e la utilizzano a fini di controllo». Su quale terreno si possono combattere le derive fondamentaliste dell’Islam di oggi? «Sul loro stesso terreno, l’Islam fondamentalista ha creato una rete sociale eccellente per aiutare i più poveri. Credo però che a breve o medio termine, se non vuole essere etichettato come “asse del male” da forze che hanno bisogno di un capro espiatorio, sarà costretto a rispondere a un certo numero di temi di cui per ora non vuole occuparsi: i desideri dei giovani, l’uguaglianza tra uomo e donna e soprattutto l’emergere dell’individuo nei confronti della comunità». Quale contributo all’Europa possono portare i cittadini musulmani? «L’Islam ha un’esperienza che non sa riconoscere in molti campi, per esempio, nei legami sociali o nella gestione dei grandi numeri, o nell’esperienza delle crisi, dei conflitti, del vivere in condizioni estreme». Lei considera indispensabile nell’islam la parola araba «ijtihad» che vuol dire «sforzo di comprensione» e per estensione, interpretazione dei testi dell’Islam. La teologia prevede dunque la possibilità di adattare i testi alla storia? «Certo, il problema è che nel IX secolo i califfi e i grandi teologi hanno considerato che il Corano era stato integralmente spiegato e hanno fermato ogni lavoro critico ed esegetico per cui oggi quando qualcuno vuole lanciarsi in una sua reinterpretazione rischia di essere tacciato come eretico o sovversivo. Io cerco di riaprire “le porte della comprensione”, di affermare la libertà d’espressione, la coscienza individuale, il libero arbitrio e questa revisione deve passare dalla politica. L’Europa è il solo luogo al mondo dove possiamo dire tutto questo senza rischiare una fatwa, è qui che dobbiamo smentire la falsa tesi dello scontro di civiltà, dimostrando la nostra capacità quotidiana di armonizzare le due culture, ora, in tempo di pace, senza aspettare la crisi. Oggi è impensabile che l’Islam e l’Europa procedano in modo separato e l’Islam sarà un Islam di pace o non sarà».
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