Fine vita, il Parlamento abdica: aiuto al suicidio nelle mani della Corte
ROMA - Con la decisione della Conferenza dei capigruppo della Camera di non inserire nel calendario dei lavori dell'Aula del prossimo mese di settembre alcuna discussione sul tema del fine vita e
del suicidio assistito, il Parlamento pare compiere un ulteriore passo verso la rinuncia al compito che quasi un anno fa, in modo invero alquanto inatteso e insolito, gli
aveva affidato la Corte Costituzionale: intervenire entro il termine del 24 settembre 2019 (data fissata dalla Consulta per una nuova udienza sul caso conosciuto come Cappato-Fabo) per normare in
modo nuovo ed “appropriato” la disciplina relativa all'aiuto al suicidio.
Aiuto al suicidio, il Parlamento alza bandiera bianca
Troppo distanti le posizioni dei diversi partiti politici e soprattutto lontane quelle dei partiti di maggioranza, con Lega e M5S che per primi non sono riusciti a trovare un punto di accordo.
“Non sussistono le condizioni per addivenire all'adozione di un testo base”, ha ammesso tre giorni fa apertamente Marialucia Lorefice, presidente della Commissione
Affari Sociali, che congiuntamente alla Commissione Giustizia ha analizzato le diverse proposte di legge fin qui presentate. Se il M5S puntava ad “adottare una legge che riconosca l'ipotesi
della morte volontaria assistita” (per usare le parole del relatore in commissione, Giorgio Trizzino), con un contenuto di legge essenzialmente teso, come altri, ad allargare le maglie in
direzione di una legalizzazione della eutanasia, la Lega, al contrario, spingeva per un testo che si muovesse nella direzione opposta, per evitare l'introduzione nel nostro ordinamento della
liceità dell'aiuto al suicidio. Maggioranza e opposizioni divise al loro interno, unite alla complessità del tema e all'ipotesi (sempre possibile in questi casi) di maggioranze trasversali e
all'assenza di volontà, hanno portato ad un “nulla di fatto” che – salvo sorprese dell'ultimo mese – porteranno la Corte Costituzionale al dover
prendere una decisione sul tema. Una decisione però sulla quale sappiamo già molto, perché l'ordinanza di undici mesi fa indicava la strada che la Consulta intendeva
percorrere.
Il processo Cappato per aiuto al suicidio
Il processo a Marco Cappato, tesoriere dell’Associazione Luca Coscioni, autodenunciatosi per aver aiutato Fabiano Antoniani a recarsi in Svizzera per morire, è attualmente sospeso. I giudici
avevano infatti assolto Cappato dal reato di istigazione al suicidio e avevano sollevato eccezione di incostituzionalità presso la Corte costituzionale in merito al reato
di aiuto al suicidio. Entrambe le fattispecie sono oggi previste dall'articolo 580 del Codice penale, che prevede (solo se il suicidio effettivamente si verifica) la pena della reclusione da 5 a 12
anni (ridotti da uno a cinque nel caso il tentativo di suicidio comporti una lesione personale grave o gravissima). La Corte Costituzionale, nell'ottobre scorso, da un lato ha deciso
di non abrogare né il toto né in parte l'articolo 580, ma ha prospettato al Parlamento l'incostituzionalità della norma invitandolo a varare una nuova disciplina sul tema, in modo da
poterla vagliare nel corso della nuova udienza del 24 settembre 2019. Nell'ordinanza la Corte infatti rilevava che "l’attuale assetto normativo concernente il fine vita lascia prive di
adeguata tutela determinate situazioni costituzionalmente meritevoli di protezione e da bilanciare con altri beni costituzionalmente rilevanti"
Così, “per consentire in primo luogo al Parlamento di intervenire con un’appropriata disciplina", rinviava la trattazione della questione di costituzionalità dell’articolo 580
codice penale all'udienza del 24 settembre 2019. Nel marzo scorso, poi, in occasione della sua relazione annuale, il presidente della Corte Costituzionale, Giorgio Lattanzi, spiegava tutto in
questi termini:
“La Corte ha ravvisato la criticità costituzionale dell’art. 580 del codice penale, nella parte in cui incrimina chi agevola il suicidio del malato irreversibile e sofferente che,
liberamente e consapevolmente, rifiuta cure mediche, necessarie alla sopravvivenza, contrarie al suo senso di dignità. Al contempo però ha considerato che la regolamentazione delle condizioni e dei
modi di esercizio del diritto a sottrarsi in modo definitivo alla terapia con l’aiuto materiale di terze persone fosse da un lato costituzionalmente necessaria, e dall'altro esorbitante dal
campo decisorio della Corte, e invece di pertinenza del legislatore". "Perciò - continuava - al fine di adempiere al dovere di eliminare disposizioni incostituzionali preservando la discrezionalità
legislativa, la Corte ha rinviato la trattazione della questione di circa un anno, nel contempo offrendo ampia motivazione sulle ragioni per le quali ha ritenuto profilarsi
l’incostituzionalità della norma impugnata”.
Aiuto al suicidio, il messaggio della Corte Costituzionale
Per riassumere, la Corte di fatto ha affermato che l’aiuto al suicidio (se il soggetto muore o ne ricava una lesione grave) non può essere considerato come reato sempre e
comunque, cosa invece prevista dall'attuale art. 580 del Codice penale. In pratica, l'incostituzionalità di tale norma è certa, altrimenti la Consulta avrebbe dichiarato inammissibile il
ricorso, rigettandolo, e non avrebbe chiesto al Parlamento di intervenire. Quello che però, dice la Consulta, è necessario fare, è definire i contorni di tale liceità, giacché
la stessa Corte ha ritenuto vi fossero ampie ragioni per non abrogare l'articolo e rendere lecito in ogni modo e forma l'aiuto al suicidio (liberalizzazione assoluta). Nella stessa ordinanza, la
Consulta indicava che il riconoscere come una violazione della legge l'aiuto al suicidio è “funzionale alla tutela del diritto alla vita, soprattutto delle persone più deboli e
vulnerabili, che l’ordinamento penale intende proteggere da una scelta estrema e irreparabile, come quella del suicidio”, e tale esigenza veniva indicata come “di
perdurante attualità”. Quindi, secondo la Corte è nella distinzione dei casi specifici e nell'individuazione dei percorsi giuridici concreti in caso di aiuto al suicidio che si gioca la
partita, e questo è stato il “compito” a casa lasciato al Parlamento. E finora ignorato.
Il Parlamento inerte davanti al dilemma sull'aiuto al suicidio
Il dibattito parlamentare è finito in un vicolo cieco. Almeno per ora. Da un lato ci sono i testi di legge di chi, partendo dalla richiesta della Corte, punta ad allargare gli spazi di
manovra possibili anche ben oltre quanto richiesto dalla Consulta, con un'apertura indiscriminata o con la previsione di una fattispecie eutanasia attiva. Dall'altro, chi tenta di
rintuzzare (forse ormai fuori tempo massimo) la decisione della Corte. In tal senso, la proposta presentata dalla Lega (primo firmatario Alessandro Pagano) oltre ad una
serie di interventi sulla legge delle Dat (il cosiddetto testamento biologico) prevede una aggiunta all'articolo 580 del codice penale, prevedendo una pena più mite nei
casi in cui l'aiuto al suicidio sia realizzato “nei confronti di una persona tenuta in vita solo mediante strumenti di sostegno vitale e affetta da una patologia irreversibile fonte di
intollerabile sofferenza”. Una previsione di pena da sei mesi a due anni (e non da 5 anni a 12 anni) applicabile solo se l'autore “convive stabilmente con il malato e agisce in stato di
grave turbamento determinato dalla sofferenza dello stesso”. Un modo per restringere i futuri casi assimilabili alla vicenda Cappato-Fabo, mitigando ma non eliminando la
pena per l'aiuto al suicidio. Nè le prime né la seconda opzione parlamentare finora hanno avuto successo. E la palla sta per ritornare alla Corte e alle sue difficili decisioni.
di Stefano Caredda
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