Il paradosso di un paese “vecchio”, ma con un’assistenza geriatrica scadente

di Raffaele Antonelli Incalzi, presidente Società italiana di gerontologia e geriatria (Sigg)


IL SOLE240RE


Che l'Italia sia un paese di anziani, il più vecchio al mondo dopo il Giappone, è noto a tutti. Forse è meno ovvio che la qualità della vita di chi invecchia è funzione della rete relazionale e sociale, la quale dipende in larga misura dalla presenza dei giovani. L'insieme stesso dei supporti sociali è realmente efficiente se fondato su una consistente presenza di giovani: è difficile invecchiare in un paese di vecchi, ed è questa, purtroppo, la condizione in cui si invecchia in Italia, specie in alcune regioni. Solo misure volte a promuovere la famiglia e la natalità, sulla scorta dell'esempio di paesi come la Svezia e la Francia, potranno riequilibrare il rapporto tra le classi di età, permettendo agli anziani di godere di un sostegno affettivo ed economico altrimenti carente.

Il SSN opera come se i principali fruitori non fossero gli anziani e il sistema universitario come se non servisse formare professionalità con competenza geriatrica.
Come uscirne? Le evidenze scientifiche a supporto delle possibili soluzioni sono solide. Per fruirne serve promuovere la formazione geriatrica e aumentare la disponibilità di geriatri e figure sanitarie non mediche con specifico expertise geriatrico. Parimenti, è indispensabile un ripensamento della logica organizzativa dei servizi che ne ottimizzi e semplifichi la fruizione da parte dei più deboli e integri sociale e sanitario, ora mediamente divisi e non armonizzati. Preliminare a tutto è l'acquisizione diffusa della consapevolezza del problema invecchiamento nella nostra società al di là di slogan e banalizzazioni. Non possiamo permetterci di ignorare o banalizzare l'invecchiamento e il suo portato di problemi, celebrando un invecchiamento di successo che in realtà è di pochi. Solo così potremo garantire un'assistenza dignitosa a chi invecchia e farlo in un contesto di sostenibilità dei relativi costi.

È sorprendente che ogni anno siano disponibili solo 164 posti di specializzazione in Geriatria, a fronte –ad esempio- dei 396 in Pediatria, come se fosse del tutto ignoto o ignorato il trend demografico e il fabbisogno conseguente. Parimenti, la Geriatria non è primaria materia di insegnamento in molte scuole di laurea in scienze infermieristiche e solo un'esigua minoranza dei master di formazione post laurea in Scienze infermieristiche sono dedicati al malato anziano, la stragrande maggioranza essendo destinata al management e all'emergenza e urgenza. Manca del tutto l'idea e, quindi, il ruolo del case manager, figura professionale di estrazione infermieristica o riabilitativa capace di eseguire la valutazione multidimensionale, attivare e coordinare gli interventi assistenziali.

Non per caso già oggi il sopravvenire della disabilità spesso recide il legame tra famiglia, abitualmente piccola, frammentata ed economicamente instabile, e anziano, relegando quest'ultimo in cosiddette strutture intermedie sociosanitarie negli ultimi mesi o anni di vita.
Accanto alla dimensione sociale, peggiora progressivamente quella sanitaria. A fronte di un diritto universale alla salute garantito dalla Costituzione, la cronaca ci mostra anziani gravemente malati che restano in pronti soccorsi per giorni e giorni prima di trovare una qualche sistemazione ospedaliera e, non di rado, dopo avere subito danni anche gravi da tale prima fase di assistenza, ad esempio sviluppo di delirio e infezioni. Lo stesso accesso alle cure, sia mediche in senso stretto che riabilitative, è spesso problematico, specie nelle regioni con un sistema sanitario meno efficiente, e la possibilità di usufruire di diagnostica integrata ambulatoriale e day hospital limitata da norme farraginose, variabili da regione a regione, spesso tali da ostacolare l'accesso di chi più ne avrebbe bisogno. Trovano negazione contemporaneamente i principi di costo/efficacia delle cure, che le regole vorrebbero perseguire, e il rispetto della dignità personale, che qualunque regola dovrebbe garantire.
Sul piano sanitario esistono solide evidenze che un approccio metodologicamente strutturato all'anziano affetto da polipatologia e disabiltià migliora diversi outcome, dalla qualità di vita al rischio di ricovero fino alla stessa sopravvivenza. Cardine di tale approccio è la valutazione multidimensionale geriatrica o comprehensive geriatric assessment, una vera e propria tecnologia dell'assistenza geriatrica che permette di esplorare in modo sistematico i limiti e le necessità del singolo paziente così da programmare razionalmente il relativo piano di assistenza. Ne esistono ampie documentazioni di efficacia e costo/efficacia nella letteratura internazionale, ma anche pregevoli esempi in Italia: il malato geriatrico complesso ha beneficiato di una significativa riduzione della durata del ricovero e di una migliore sopravvivenza allorché ricoverato in reparto per acuti di Geriatria. Ancora, alcune esperienze di valutazione multidimensionale hanno documentato una netta riduzione dei ricoveri ospedalieri e una migliore autonomia funzionale nei trattati a fronte di un minore costo complessivo dell'assistenza. Questi e altri esempi documentano la disponibilità di strumenti di provata efficacia per migliorare l'assistenza geriatrica.
Vanno implementati e tradotti in pratica quotidiana. A tal fine seve la conoscenza e coscienza del dato, ma anche la disponibilità delle figure professionali necessarie.

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