Chi fa i controlli sull'uso dei permessi della legge 104?

Da:La legge per tutti

Chi può segnalare l’abuso sull’uso dei giorni di permesso retribuito: il datore di lavoro, l’Inps e lo Stato sono i soggetti lesi dal comportamento infedele del dipendente.

Il tema degli permessi retribuiti per assistenza a familiari invalidi, riconosciuti dalla famosa Legge 104 del 1992, e dei possibili abusi da parte di chi, invece di stare con il parente portatore di handicap, utilizza la giornata di riposo dal lavoro per esigenze personali, è sempre terreno di scontro tra le aziende e i dipendenti. La semplice menzogna e l’utilizzo improprio dei “permessi 104” è considerato non solo un reato – in quanto indebito arricchimento ai danni dello Stato e, segnatamente, dell’Inps che, in ultima analisi, paga i giorni di permesso – ma anche causa di licenziamento in tronco, venendo meno la fiducia nel lavoratore.

Chiaramente però, come tutte le contestazioni, anche quella sull’abuso dei permessi 104, per poter essere valida e utilizzata davanti al giudice, deve rispettare requisiti sostanziali (la prova della materiale violazione) ed elementi formali: quale tipo di prova può essere utilizzata contro il dipendente e, soprattutto, chi può raccogliere tale prova? In buona sostanza, il problema di fondo è Chi fa i controlli sull’uso dei permessi della legge 104? Alla risposta viene dedicata questa breve scheda. Scopriremo, quindi, cosa succede in caso di illecito utilizzo dei permessi 104, chi è il soggetto chiamato a verificare l’esistenza di tali abusi e in che modo vengono effettuati gli accertamenti.

Cos’è la legge 104?
La legge 104 è la normativa quadro in materia di disabilità. Essa prevede permessi, congedi, pensione, sussidi, agevolazioni fiscali e lavorative. Per un quadro completo sul tema leggi la nostra Guida alle agevolazioni della legge 104. Per quello che qui interessa, la legge 104 dà diritto, al lavoratore che assiste un figlio o un familiare (coniuge, affine o parente entro il 3° grado) con handicap grave, di richiedere al datore di lavoro tre giorni al mese di permesso retribuito. Per ottenere i permessi retribuiti, l’assistenza al portatore di handicap deve essere continuativa.

Quando c’è abuso dei permessi 104?
La giurisprudenza è diventata, negli anni, piuttosto rigida nel giudicare chi abusa dei permessi della legge 104, stabilendo che l’uso improprio può costituire, da un lato, causa di licenziamento per giusta causa e, dall’altro, origine di un procedimento penale a causa dell’indebita percezione del trattamento economico ai danni dell’Inps.

Chiedere un giorno di permesso retribuito per dedicarsi a «qualcosa che nulla ha a che vedere con l’assistenza» costituisce un «odioso abuso del diritto». Queste sono le parole più volte usate dalla Cassazione che ha così stigmatizzato il comportamento dei dipendenti che utilizzano, anche solo per poche ore, la giornata di permesso retribuita per scopi personali. Il che significa ad esempio che, se anche il parente invalido sta dormendo o non necessita, in quel preciso momento, di assistenza, il lavoratore ha l’obbligo di non assentarsi dall’abitazione di quest’ultimo. Fare la spesa personale, partecipare a un corso di formazione, lavorare da casa, presentarsi a una visita medica o impiegare il permesso per far fare ponte o ritorno a casa sono tutti comportamenti vietati dalla legge.

Quali sono le conseguenze di uso illecito dei permessi 104?
Come abbiamo anticipato, la prima conseguenza per chi abusa dei permessi 104 è il licenziamento disciplinare. A pesare è soprattutto la bugia detta al datore di lavoro: essa non consente la prosecuzione del rapporto in quanto, da un punto di vista personale, fa perdere la fiducia in chi vi fa ricorso. C’è anche l’aspetto aziendale: per ogni “falso permesso”, il datore è costretto a organizzare diversamente il lavoro in azienda, obbligando i colleghi a sostituire il dipendente assente, magari aumentando il carico di lavoro sulle loro spalle.

Ecco perché, in questi casi, scatta il licenziamento per giusta causa che è anche quello più grave perché scaturisce da un comportamento in grado di rompere definitivamente il legame di fiducia che lega dipendente ad azienda. Si parla di licenziamento in tronco, ossia senza neanche il preavviso. A riguardo la Cassazione ha più volte detto che è legittimo il licenziamento disciplinare del lavoratore che non adempie alle finalità assistenziali previste dalla legge in occasione dei permessi retribuiti dalla legge 104.

Oltre all’aspetto civilistico c’è anche quello penale. Chi viene scoperto a impiegare, per scopi personali, una parte della giornata di permesso retribuito può subire una denuncia per indebita percezione del trattamento economico ai danni dell’Inps [1]. La pena prevista è la reclusione da sei mesi a tre anni. Quando la somma indebitamente percepita è pari o inferiore a euro 3.999,96 si applica soltanto la sanzione amministrativa del pagamento di una somma di denaro da euro 5.164 a euro 25.822. Tale sanzione non può comunque superare il triplo del beneficio conseguito.

La tesi del reato è stata più volte sposata dalla giurisprudenza e, soprattutto, dalla Cassazione. Secondo i giudici, tale illecito finisce per far ricadere il costo della pigrizia del singolo sulla collettività. I permessi, infatti, sono anticipati solo provvisoriamente dal datore di lavoro, ma questi viene poi rimborsato dall’Inps (anche ai fini contributivi). Insomma, a fare le spese di tale comportamento illecito sono tutti i contribuenti. Secondo la giurisprudenza, infatti, il dipendente che abusa dei permessi retribuiti per l’assistenza ai portatori di handicap è un “peso sociale” che scarica, sulla collettività, il costo della propria malafede.

La violazione dei permessi della legge 104 è, quindi, di un comportamento – per usare le stesse parole della Suprema Corte – «suscettibile di rilevanza penale».

Chi fa i controlli sull’uso dei permessi della legge 104?
Proprio per via del fatto che ad essere lesi dal comportamento del lavoratore infedele sono due soggetti, lo Stato e l’azienda, i controlli sugli usi e abusi dei permessi della legge 104 possono essere eseguiti dal datore di lavoro e dall’Inps, in quanto ente pubblico rappresentante gli interessi della collettività.

In particolare, per quanto riguarda il datore di lavoro, questi può provvedere a raccogliere le prove dell’illegittimo uso dei permessi 104 in qualsiasi modo, ad esempio incaricando un investigatore privato affinché segua il dipendente e verifichi se questi è effettivamente presente a casa del familiare invalido o se, invece, sta svolgendo altre attività. L’investigatore può pedinare il lavoratore, fotografarlo o filmarlo. Tale documentazione fotografica e/o video potrà costituire prova nel corso del processo per il licenziamento solo se non contestata dal dipendente. Diversamente, il detective potrà essere chiamato a testimoniare personalmente sui fatti da questi appresi per averli visti con i propri occhi.

Il datore di lavoro può anche segnalare l’abuso dei permessi 104 ai Carabinieri. A riguardo bisogna tenere a mente che il reato di indebita percezione del trattamento economico è perseguibile d’ufficio e, quindi, la mera denuncia potrebbe far scattare il procedimento penale a carico del lavoratore.

Per quanto riguarda lo Stato, anche l’Inps può procedere a una segnalazione alla Procura della Repubblica la quale poi è tenuta a portare avanti le indagini.

note:
[1] Art. 316-ter cod. pen. «Salvo che il fatto costituisca il reato previsto dall’articolo 640bis, chiunque mediante l’utilizzo o la presentazione di dichiarazioni o di documenti falsi o attestanti cose non vere, ovvero mediante l’omissione di informazioni dovute, consegue indebitamente, per sé o per altri, contributi, finanziamenti, mutui agevolati o altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, concessi o erogati dallo Stato, da altri enti pubblici o dalle Comunità europee è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni.

[2] Quando la somma indebitamente percepita è pari o inferiore a tremilanovecentonovantanove euro e novantasei centesimi si applica soltanto la sanzione amministrativa del pagamento di una somma di denaro da cinquemilacentosessantaquattro euro a venticinquemilaottocentoventidue euro. Tale sanzione non può comunque superare il triplo del beneficio conseguito».

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