LA CULTURA DELL’INCONTRO

Di Salvatore Nocera - Interventi - 03.04.2014

Il 28 Marzo scorso Papa Francesco ha incontrato in S.Pietro il Movimento Apostolico Ciechi , di cui sono stato in anni passati presidente nazionale, e la Piccola opera dei sordi, due organizzazioni ecclesiali, diverse per finalità e vita organizzativa, ma che hanno in comune lo scopo dell’inclusione ecclesiale e sociale delle persone con disabilità.

         Il discorso del Papa non è stato , come ormai ci ha abituati, denso di principii ed alta  cultura, ma semplice e di grande ispirazione evangelica.

Egli ha centrato il suo intervento pastorale sulla contrapposizione della cultura dell’esclusione e della cultura dell’incontro, prendendo lo spunto da episodi evangelici come quello del cieco nato, escluso dalla società civile e religiosa del suo tempo, poiché ritenuto colpito da maledizione divina e che Gesù invece vuole incontrare per ridargli la piena dignità con l’acquisizione della  libera autonomia di movimento nella società di tutti.

         I riferimenti pastorali degli ultimi Papi all’inclusione si sono fatti sempre più frequenti a partire da Papa Giovanni e dal Concilio e sono  divenuti fondamentali in molti discorsi e documenti di Paolo VI e Giovanni Paolo II, con la proclamazione del diritto delle persone con disabilità all’inclusione sociale ed ecclesiale sia in Italia sia negli altri Paesi del mondo

Quello che colpisce nel discorso di Papa Francesco è la chiarezza con cui contrappone le due culture, come segue:

“ Ecco due culture opposte. La cultura dell’incontro e la cultura dell’esclusione, la cultura del pregiudizio, perché si pregiudica e si esclude. La persona malata o disabile, proprio a partire dalla sua fragilità, dal suo limite, può diventare testimone dell’incontro: l’incontro con Gesù, che apre alla vita e alla fede, e l’incontro con gli altri, con la comunità. In effetti, solo chi riconosce la propria fragilità, il proprio limite può costruire relazioni fraterne e solidali, nella Chiesa e nella società. “

E’ intanto importante che il Papa distingue tra “persona malata e persona con disabilità”, giacchè la prima è connotata da una situazione sanitaria, mentre la seconda risente degli esiti di una malattia e comunque è caratterizzata dalle varriere frapposte dalla società alla sua inclusione.

Questa distinzione non è ancora presente nella Conferenza episcopale italiana che accomunica in un’unica consulta persone malate e disabili.

Inoltre  la cultura dell’esclusione, presente anche in molte  mentalità e realtà di pubbliche istituzioni, è basata sul “ pregiudizio “; la cultura dell’incontro è basata   invece  non solo sulla coscienza della propria fragilità ma soprattutto sulla volontà di incontrare e farsi incontrare per intrecciare rapporti religiosi,umani , sociali e politici significativi.

         Sono , grazie al Concilio, ormai lontani i tempi in cui molte   persone religiose invitavano le persone con disabilità ad accettare le proprie sofferenze ed offrirle per lo scomputo dei peccati propri e degli altri.Era questo un atteggiamento pastorale, dettato da una cultura religiosa passivizzante ed alienante, che offriva alle persone con disabilità solo la gratificazione “ spiritualistica “ di offrire i propri sacrifici per  la salvezza spirituale degli altri.

         Ormai, grazie ad una rilettura più autentica del Vangelo ed alle lotte di emancipazione laiche per la conquista dei diritti di eguaglianza delle persone con disabilità e delle loro associazioni e federazioni,la cultura dell’inclusione è divenuta universalmente accettata , propugnata e diffusa e trova anche in molte comunità religiose un’ulteriore stimolo promozionale che si è concretizzato nella Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità che è un patrimonio comune a credenti e non credenti.

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