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Marx (Groucho) l'aveva detto
l'Unità online - 12-08-2008
La guerra lampo dei fratelli MarxNel Prigioniero di Zenda era la Ruritania, prototipo di tutti gli staterelli da operetta. Nella Guerra lampo dei fratelli Marx (film del 1933 stra-proibito in Italia dal fascismo, per inciso) erano la Freedonia e la Silvania. Nel Grande dittatore di Chaplin la Tomania e la Botalia, vessate dai rispettivi dittatori Hynkel & Napoloni. In quest'ultimo caso il gioco satirico è spudorato, e sia in Germania che in Italia - come nel resto del mondo - tutti capirono benissimo con chi ce l'aveva il sommo Charlie.

La Ruritania, la Freedonia (gioco di parole con l'inglese "freedom", libertà) e la Silvania sono invece allusioni più misteriose, attraverso le quali Hollywood creava una propria Mitteleuropa immaginaria ma molto, molto verosimile. È probabile che gli sceneggiatori avessero in mente soprattutto i tanti staterelli balcanici già allora di strettissima attualità (Serbia e Bosnia erano sulla mappa delle tensioni mondiali almeno dal 1914). Ma certo non si può non pensare a quei buffi nomi in questi giorni, mentre staterelli o regioni (pseudo)autonome dai nomi altrettanto buffi, ma ahimè reali, si combattono per motivi (apparentemente) incomprensibili. Alzi la mano chi, al di fuori dei russisti e dei sovietologi - o dei vecchi frequentatori dell'Urss, club al quale chi scrive appartiene dal 1978 - ricordava i nomi di Abchazia, Ossezia e Inguscezia. Certo, se poi vi costringiamo a scavare nella memoria e a rivangare i tristi ricordi della strage di Beslan, Ossezia e Inguscezia possono tornare alla memoria; per l'Abchazia bisogna essere esperti di cose georgiane, o fans del grande scrittore Fazil Iskander. La Cecenia, quella no, la conoscono tutti. Ma noi non ci stanchiamo mai di raccontare che i ceceni già narrati, con toni ammonitori, da Tolstoj e da Lermontov erano i padroni della vita underground di Mosca negli anni '70: se ti serviva qualcosa di illegale - che so, un paio di jeans, una scatola di caviale, un taxi in orario, una signorina allegra - dovevi chiedere ai ceceni. Avevano tutto loro: bastava pagare (in dollari, sia chiaro!). Erano una realtà gogoliana, cioè da farsa, ma in quei paesi la storia segue percorsi strani e spesso la farsa si ripropone, nel giro di pochi anni, in forma di tragedia. Abchazi e armeni, ad esempio, erano i protagonisti assoluti delle barzellette georgiane. Ricordiamo una mitica serata a casa di Giulietto Chiesa, allora corrispondente dell'Unità da Mosca, con il grande regista georgiano Otar Iosseliani che, fra le tante, raccontò anche questa: nell'esercito sovietico, reparto paracadutisti, un ufficiale istruisce le reclute. Dovete buttarvi, contare fino a 10, tirare la cordicella: capito? Fra i tanti soldatini al primo lancio c'è un abchazo. Si tuffano alcuni russi: contano (1, 2, 3... 10!), aprono il paracadute, atterrano baldanzosi. Si butta l'abchazo. Viene giù come un sasso, si abbatte al suolo: il paracadute non si è aperto! Lo soccorrono, ma non c'è nulla da fare: e la sua ultima parola prima di spirare è un affannoso "...tre...".

Con simili precedenti, non si può fare a meno di provare un sinistro senso di grottesco, leggendo che la Georgia attacca l'Ossezia e l'Abchazia a sua volta attacca la Georgia. L'Ossezia del Sud - il pezzo di quella sventurata terra che il risiko staliniano assegnò, negli anni '30, alla Georgia - è grande più o meno quanto il Molise; l'Abchazia, ci dicono, è come la provincia di Viterbo - che si chiama anche Tuscia, ma non dichiara guerra alla Sabina, né alla Maremma. Urgono, a questo punto, due pensieri: banali, ma indispensabili. Il primo: dietro questo risiko si nascondono popoli che oggi soffrono terribilmente e vengono investiti da conflitti che li sovrastano (questa è l'ennesima guerra per il petrolio, e a giocare a risiko sono Bush e Putin: non dimentichiamolo). Il secondo: il grottesco è maestro di vita, perché la vita - e la storia - sono sempre grottesche, nel senso che mescolano farsa e tragedia, alto e basso, re e buffoni (il più grande autore grottesco di tutti i tempi è stato Shakespeare). Quindi tornare con la memoria ai fratelli Marx non è blasfemo, né irriverente: è utile. Nella Guerra lampo, Groucho è l'assurdo dittatore Rufus Firefly ("mosca di fuoco") nominato capo della Freedonia dalla ricchissima vedova Mrs. Teasdale: lo stato si regge solo sulle ricchezze della donna, che però pone l'ascesa al trono di Firefly - e la successiva dichiarazione di guerra alla Silvania - come condizione per donare 20 milioni di dollari. Vi ricorda qualcosa? Questo Saakashvili, che ha studiato in America e ha una moglie olandese miliardaria, e che ha conquistato il potere in Georgia a suon di dollari & demagogia, è un personaggio degno dei fratelli Marx - come la strana coppia Putin & Medvedev, per carità, e il loro amichetto di Arcore: troppi Marx ci vorrebbero, per interpretarli tutti! Quei film, con la forma di una satira assai più sottile di quella a cui siamo abituati oggi, ci avevano avvertiti. Saakashvili, quando va a tirare i baffi alla Russia, sembra Firefly quando propone un gioco a un dignitario di corte. "Prenda una carta", gli dice. Quello la prende, e chiede: "Ok, e adesso?". "Se la tenga, io ne ho altre 51". Saakashvili aveva una strategia altrettanto astuta, solo che ha pescato la carta sbagliata.

Alberto Crespi
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 Pierangelo    - 13-08-2008
Segnalo da Repubblica online del 13.8.2008

La scoperta dell'Ossezia

Non si è capito molto, in Italia, della drammatica crisi che ha scosso la Georgia in questi giorni. I nostri occhi, d'altronde, sono puntati quasi esclusivamente sul cortile di casa. E ci riesce difficile capire anche quel che avviene intorno a noi. Perché siamo un Paese complicato, con una scena politica labirintica e fantasmatica. Ma anche perché non abbiamo un'idea chiara dei confini. Esterni e, ancor prima, interni.

L'abbiamo scritto tempo fa, in una precedente "bussola": dovremmo studiare e insegnare meglio la geografia, nelle nostre scuole. Serve: almeno quanto la "buona condotta". Invece, io continuo a incontrare colleghi (professori universitari) che mi decantano la qualità della vita e dell'ambiente in Umbria. Perché sono convinti che Urbino, dove io insegno e - per una buona parte dell'anno - vivo, sia in Umbria. E quando li smentisco, con un po' di tatto, succede che alcuni si correggano. E spostino Urbino in Toscana. Poco male. Tanto la geografia, in Italia, conta poco. E si studia poco. Con la scusa che cambia di continuo. Fra province e regioni che sorgono ogni anno. Con la scusa che tanto c'è la globalizzazione. I confini non contano. Con internet, i cellulari, le distanze spazio-temporali si annullano. Se vuoi raggiungere una meta, basta usare un navigatore satellitare. Ti guidano dovunque. Anche se ti costringono a itinerari strani e, talora, ti conducono in un luogo diverso dal previsto. Ma tanto, in un mondo senza geografia non c'è alternativa. Devi essere guidato.

Pochi, d'altronde, conoscono il linguaggio e la scrittura del territorio. Per cui è difficile comprendere cosa e perché stia capitando in Georgia. Perché la Russia vi sia intervenuta in modo tanto violento. Lo sconcerto, inoltre, si trasforma in vertigine di fronte alla scoperta dell'Ossezia e dell'Abkhazia. Perché, ad eccezione dei lettori abituali di liMes, quasi nessuno fino ad oggi sospettava dell'esistenza di queste entità. Nel caso dell'Abkhazia, peraltro, è perfino sconveniente nominarne gli abitanti, in pubblico.

Tuttavia, la geografia non è mai stata così importante, proprio perché non è mai stata incerta, aperta, mobile come oggi. Senza più muri certi e invalicabili a tracciare divisioni. Nell'era della comunicazione senza confini: i confini e i contesti - locali e nazionali - sono divenuti di nuovo essenziali. Lotte sempre più dure si combattono nel nome di un nome. E di un "dove". Per conquistare un'identità territoriale. Un nome legato a un dove. Per potersi chiamare osseti oppure (ci si perdoni) abkhazi. Anche se dietro a queste rivendicazioni ci sono, spesso, altri interessi e altri poteri. Altre potenze. La Russia, in questo caso, intenzionata a ostacolare l'intesa della Georgia con l'Occidente. E con gli Usa. E a mantenere saldo il controllo su aree strategiche dal punto di vista dell'energia (petrolio, gas). La Russia, impegnata a ricostruire l'Impero, dopo il crollo del sistema sovietico.

Ma in Italia la geografia e la geopolitica sono assenti: nella scuola, nel senso comune e dalla cultura politica. Come dimostra il dibattito di questi giorni. Fra il comico e il grottesco. La sinistra tace. Afasica. Reticente e imbarazzata come su - troppi - altri argomenti. Berlusconi è impegnato a mettere d'accordo gli amici George W. e Vladimir. Per telefono, dalla sua residenza reale di Villa Certosa. Ricorrerà alla proverbiale capacità di tessere relazioni informali. La "diplomazia della barzelletta", come l'ha definita Edmondo Berselli. Ma dovrà, prima, convincere la Lega, che, per bocca di Calderoli, ha invitato il governo a schierarsi con la Georgia e contro l'aggressione della Russia. Però, anche l'Ossezia del sud denuncia l'aggressione della Georgia; da cui, insieme all'Abkhazia, rivendica l'autonomia. D'altronde, entrambe - Ossezia e Abkhazia - sono, di fatto, Repubbliche indipendenti (con il sostegno attivo e interessato della Russia).

Tuttavia, la Lega ha sempre avuto un atteggiamento eclettico sui conflitti che mirano a ridisegnare la geografia e i confini. Come nelle sanguinose guerre balcaniche dello scorso decennio. Quando si è schierata apertamente per Milošević. Dalla parte della Serbia e contro il Kosovo. Forse per ostilità verso gli albanesi. O, più probabilmente, verso la Nato, l'Europa e gli Usa. Garanti dell'unità nazionale dell'Italia e dunque nemici della Padania. Ma erano altri tempi e la Lega era all'opposizione di tutti. Ai margini del sistema politico italiano. Mentre oggi sta al governo e si è convertita a un atteggiamento realista. Tuttavia resta il dubbio. Quando Bossi alza il dito medio contro l'inno di Mameli. E, quindi, contro l'unità nazionale. Quando rammenta che quel dito è sempre levato. Intende ribadire, marcare con forza che anche la nostra geografia è provvisoria. Che siamo un Paese provvisorio. Che l'Italia non esiste. O meglio: a Nord c'è la Padania, mentre l'Italia comincia sotto il Po. Sempre più a Sud, però. Perché anche in Emilia Romagna e nelle Marche si levano forti i richiami alla liberazione: da Roma e dagli stranieri che ci invadono. Espressi e amplificati dal crescente successo elettorale della Lega. La Padania, cioè, si espande. E l'Italia si riduce.

In Italia non c'è una comune idea della geopolitica internazionale né dell'interesse nazionale. Tanto meno in questa maggioranza di governo. Anche per questo il nostro peso sulla scena globale è così leggero. E mentre Berlusconi è intento a telefonare agli Amici, Sarkozy negozia e conclude un accordo fra Presidenti.

Il fatto è che l'Italia è confinata ai confini del mondo; e i suoi stessi confini interni sono mobili. Ipotetici e negoziabili. Come il numero delle province, che cresce di anno in anno. È unita dalle sue divisioni. Divisa dai suoi miti unificanti (presto cancelleremo anche Garibaldi). La sua classe politica e intellettuale è, in gran parte, incapace di scrivere una storia comune. Anzi, ne contesta i pochi elementi condivisi. Perché dovrebbe credere e riconoscersi nella geografia? Per muoversi e orientarsi basta un navigatore satellitare.

Ilvo Diamanti

 ilaria ricciotti    - 14-08-2008
Concordo pienamente con quanto scritto dall'autore. L'espressione "L'Italia è un paese provvisorio " mi ha fatto molto riflettere e mi ha molto angosciato. Sì l'Italia sta diventando in tutto un paese provvisorio, troppo provvisorio.
Con queste prerogative quale futuro avranno i nostri giovani?
Quale società costruiranno?
Capiranno, perseguiranno e lotteranno per la libertà, per la giustizia, per la pace, per la solidarietà e per la collaborazione tra gli uomini ?
Anche se penso positivo, la possibilità che i nostri ragazzi diventino cinici, egoisti, qualunquisti, aggressivi mi attanaglia il cuore.
Ed allora, anche se nel nostro piccolo, diamoci da fare!
Non facciamo morire le loro anime!