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Contro la base e contro le menzogne
Peacereporter - 24-01-2007
Da sei giorni un cittadino di Vicenza rifiuta di mangiare. Opponendo la sua lealtà alle bugie della politica

Quando sarà grande e glielo racconteranno, Bianca probabilmente non ci crederà. Non crederà che il padre Giorgio, a quasi 50 anni, dopo un'onesta e laboriosa vita da tecnico delle comunicazioni si sarebbe trovato in piazza a manifestare contro la base militare. Che, nottetempo, assieme a cinquemila persone avrebbe occupato la stazione. E soprattutto che, dopo il nefasto 'sì' del premier italiano Prodi agli americani, papà Giorgio avrebbe deciso, oltre che con la voce e con le braccia, di protestare anche con lo stomaco. Da sei giorni Giorgio Benedetti non mangia. Ha deciso di rinunciare a ingurgitare cibi solidi per rispondere, con l'unica arma che possiede, a una classe politica che l'ha "tradito, umiliato, ferito". L'unica arma di Giorgio è la lealtà. Ce lo ha detto quando lo abbiamo incontrato, il terzo giorno delle proteste, nel capannone dontato da Radio Sherwood, sede del presidio contro la base, tra le nebbie della campagna di Caldogno. Aveva un megafono in mano. Ed è proprio di lealtà che parlava.

Le bugie del governo. "Qualcuno potrebbe anche disapprovare la mia scelta - diceva -, ma per me è stato quasi naturale passare alla forma più estrema di protesta, lo sciopero della fame. Se dico che non sto mangiando potete scommettere che, anche se non mi vedete, io non toccherò un pezzo di pane. Chi mi conosce - dichiarava, mentre i suoi occhi cercavano quelli dei suoi amici e concittadini - sa che nella vita io sono stato sempre una persona leale, e solo con la lealtà si può rispondere alle bugie". Le bugie sono quelle della giunta Hullweck, del ministro Parisi, di Prodi, e di una classe politica che, a giudizio dei vicentini, ha nascosto alla città ciò che era già stato deciso da tempo: la costruzione di una nuova base militare all'ex-aeroporto Dal Molin.

Una questione di valori. "La mia decisione è stata improvvisa - racconta -, ed è scaturita dalla delusione. La sera del 16 gennaio, quando si è saputo delle intenzioni di questo governo, è stato come se avessi ricevuto un pugno in faccia. Ho avvertito un incredibile rifiuto per la politica. Come l'anoressico rifiuta il cibo, io ho rifiutato di colpo la politica. Ero in preda a una delusione violenta, e quando ho sentito Prodi al Tg3 mi sono detto: 'Ma come? Come è possibile che la menzogna sia stata così grande?'. Hanno mentito tutti, sapendo di mentire, oltre ogni immaginazione. Sapevo che la politica poteva bluffare, ma non fino a questo punto. Mio padre ha lasciato a me dei valori, io non potevo non lasciarne qualcuno a mia figlia".

"Rinuncerei anche al mio lavoro". Così, da sei giorni, Giorgio non tocca un pezzo di pane. Contattato telefonicamente nella tarda serata di ieri, di ritorno dalla manifestazione di Bologna, ci ha raccontato che, sotto consiglio dei medici che lo seguono, beve solo liquidi, integrati con sali minerali, vitamine, proteine. E che è sua intenzione continuare lo sciopero "fino a che riuscirò a resistere senza far del male a mia figlia. Devo pensare prima di tutto a lei, ovviamente". Giorgio non ha deciso solo di non mangiare più. Si è spinto oltre, promettendo che, se potesse servire a far chiudere la caserma Ederle, lui sarebbe disposto a lasciare anche il lavoro. "Lo dico senza nessun desiderio di protagonismo - ci ha spiegato -, ma se potesse servire io oggi stesso rinuncerei al mio lavoro, pur di non vedere una base militare nel bel mezzo di una città". Eppure, a dispetto della discrezione e del desiderio di stare al riparo dalla troppa luce dei riflettori che, oltre al presidio del Dal Molin, illuminano mediaticamente tutta la protesta vicentina, Giorgio ha già degli emuli. Sono i ragazzi della rete di Lilliput, scesi in campo accanto a lui per ricevere il testimone. Quando Giorgio smetterà, tornando a pranzare con la figlia Bianca, a rotazione cominceranno a digiunare i 'lillipuziani'. Allora, finalmente, anche Bianca, dall'innocenza dei suoi quattro anni, smetterà di chiedergli: "Papà, ma perché non mangi più?".

Luca Galassi

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 Altrenotizie    - 23-01-2007
Prodi non lo sapeva. Secondo Il Corriere della Sera, il Presidente del Consiglio, a proposito dell’accordo tra il suo predecessore Silvio Berlusconi e gli Usa sulla realizzazione di una nuova base militare a Vicenza, ha dichiarato: "Noi non ne sapevamo nulla e credo che queste decisioni vadano prese con maggiore conoscenza da parte dell'opinione pubblica". "L’iter è stato troppo riservato – continua Prodi secondo il Corriere – Ma del resto quando si va al governo ci si deve assumere la responsabilità sia dell'attivo che del passivo del passato e poi lo si deve gestire". A Vicenza nessuno si stupisce del fatto che Prodi non sapesse nulla. Altrimenti gli esponenti del centrosinistra locale farebbero davvero fatica a spiegarsi le ragioni di un voltafaccia tanto repentino.

Del resto, se Prodi avesse saputo qualcosa, l’avrebbe certamente raccontato al suo vecchio amico Arturo Parisi. E risulta che Parisi, che incidentalmente è anche Ministro della Difesa, fosse all’oscuro di tutto, dato che il 27 settembre 2006, alla Camera dei Deputati, rispondendo all’interrogazione del deputato del PdCI Severino Galante, dichiarò:A tutt’oggi con la controparte Usa non sono stati sottoscritti impegni di alcun genere. La disponibilità di massima manifestata dal precedente Governo non si è tradotta, infatti, in alcun accordo sottoscritto”.

Analoga risposta fu data pochi minuti dopo alle deputate dell’Ulivo Lalla Trupia e Laura Fincato. E analoga risposta aveva dato il sottogretario alla difesa Marco Verzaschi (Udeur) il 4 luglio 2006 alle interrogazioni dei senatori Lidia Menapace, Tiziana Valpiana e Giovanni Russo Spena (Rifondazione Comunista) e Mauro Bulgarelli e Anna Donati (Verdi): “Si sottolinea che con la controparte degli Stati Uniti non è stato sottoscritto alcun genere di impegni, ma nell’anno 2004, dal precedente Governo, era stata manifestata una disponibilità di massima a tale concessione che al momento non si è tradotta in alcun accordo”, dichiarò Verzaschi, aggiungendo che non solo non c’era nessun accordo ma "non c´è alcuna definizione della stessa richiesta".

Ad altri il compito di capire quando il Presidente del Consiglio, il Ministro della Difesa e il Sottosegretario di Stato alla Difesa siano stati informati dell’esistenza dell’accordo, e da chi. Del resto, se non lo sapevano loro, sembra improbabile che lo sapesse il sindaco di Vicenza, Enrico Hullweck. A quasi due mesi dalla grande manifestazione contro la nuova base, lo troviamo come l’avevamo lasciato l’ultima volta, impegnato a raccogliere pareri giuridici pro e contro il referendum che tutti, dallo stesso Hullweck a Fassino, hanno chiesto almeno una volta e almeno una volta hanno sconsigliato.

Fino a due settimane fa sembrava si trattasse proprio di questo: la classica vicenda all’italiana fatta di rimpalli continui tra un’amministrazione e l’altra della Repubblica, di giochi delle parti e di rendite di posizione da guadagnare in vista della prossima contrattazione.

Pochi, in città e fuori, credevano che la soluzione sarebbe arrivata tanto presto. Sembrava essere proprio questo il gioco tacitamente accettato da tutti gli attori della vicenda, da Prodi ai comitati di base: procrastinare, prendere tempo, visionare progetti, accumulare pareri, organizzare tavoli, in attesa che la matassa si aggrovigliasse sempre di più, che tutte le magagne del progetto americano venissero a galla e che alla fine fossero gli stessi militari Usa a ritirarsi.
Gli stessi attivisti dei comitati contrari a Camp Ederle 2 si stavano preparando a una lotta di lunga durata, sul modello del movimentro contro la Tav in Val di Susa. Martedì 16 gennaio, il giorno in cui Prodi da Bucarest ha dato l’annuncio della “non opposizione” del governo al progetto, era in programma l’inaugurazione di un presidio permanente nei pressi dell’aeroposto Dal Molin. Segno che da vicino la battaglia sembrava tutt’altro che persa.

L’accelerazione è stata percepita martedì 9 gennaio, con l’arrivo dell’ambasciatore americano in Italia Ronald Spogli a Vicenza. I comitati non si fanno trovare impreparati e offrono al diplomatico un’accoglienza di tutto rispetto, bloccandolo per ore all’interno del municipio. La visita di Spogli fa capire che gli Usa vogliono stringere i tempi: non più due mesi di tempo per decidere (un periodo che avrebbe permesso al governo di aumentare la pressione sul Comune per il referendum, in modo da poter presentare agli americani la carta della contrarietà popolare e incassare il ritiro del progetto senza prendersi la responsabilità di un rifiuto diretto), ma meno di due settimane. La decisione del governo è attesa entra il 19 gennaio. Le prime reazioni in città sono comunque ottimistiche: “Se Spogli ha dato l’ultimatum vuol dire che qualcosa gli è andato storto nell’incontro con Prodi”, ipotizza un membro dell’assemblea permanente.

Ciò che appare subito chiaro è che gli Usa sono disposti a giocare il tutto per tutto: hanno capito che il tempo gioca contro di loro e tentano di forzare i tempi. Per convincere il governo le armi possibili sono molte, e non tutte si possono riferire in pubblico. Ma serve una leva in grado di scardinare, o almeno di indebolire, anche il consenso del movimento a Vicenza, ormai nettamente maggioritario.
C’è solo una cosa a cui veneti tengono più che alla terra, questo ormai gli americani l’hanno capito: il lavoro. Non serve quindi molta fantasia per esplicitare concretamente una minaccia più volte agitata nel corso dei mesi: se il governo non permettere la realizzazione della nuova base, lo Us Army smantellerà anche quella vecchia, ritirandosi completamente da Vicenza.

Già l’anno scorso questo strategemma era stato utilizzato, tanto che contro questa ipotesi la Cisl aveva raccolto in tutta la città firme che poi in molti hanno tentato di rivendere come dichiarazioni di assenso alla realizzazione della nuova base.
Anche questa volta Cisl e Uil (va ricordato che la presenza della Cgil non è ammessa nelle basi americane) non si fanno pregare, e, convocano per martedì 16, una settimana dopo l’ultimatum di Spogli, una manifestazione a Roma in favore della base (ormai non importa più quale delle due).

Da parte del governo si fanno notare alcune timide resistenze. Nessuno sembra reagire alla brusca accelerazione impressa dagli americani, la linea dell’Unione resta la stessa: temporeggiare, fare in modo che sia la città a dire di no e mettere gli Usa di fronte al fatto compiuto. Il 15 Fassino a Porta a porta rilancia l’idea del refendum, da tenersi nel giro di “qualche settimana, al massimo qualche mese”. Lo stesso giorno, secondo Il Manifesto, Parisi chiede “in via riservata ad alcuni parlamentari di insistere con il referendum, in modo da consentire una decisione più ragionata sull’argomento”.
Pessimo tempismo, da parte del Ministro della Difesa, visto che poche ore dopo il Presidente del Consiglio annuncia da Bucarest che nessuna decisione dev’essere presa, dato che l’accordo è già stato sottoscritto dal governo precedente, e che l’attuale esecutivo non ha intenzione di opporvisi.

Cosa sia successo nella notta tra lunedì e martedì resta un mistero. Un mistero degno di un paese la cui la credibilità all’estero viene difesa smentendo tutto e il contrario di tutto e facendo apparire Berlusconi il vero artefice della politica estera. È alle decisioni di Berlusconi infatti che il governo ha dichiarato di rimettersi, dopo aver dichiarato per 8 mesi che si sarebbe rimesso a quelle dei vicentini. E c’è qualcosa più che una coincidenza tra le parole pronunciate martedì da Berlusconi e Prodi: “Sono convinto che il primo dovere di un grande Paese come l'Italia sia quello di tener fede agli impegni internazionali assunti, anche per essere credibile nei confronti dei propri alleati. Sarebbe di straordinaria gravità che il governo attuale si dimostrasse così inaffidabile nei confronti degli Stati Uniti e dell'Alleanza Atlantica da contraddire le decisioni sull'ampliamento della base di Vicenza assunte nella scorsa legislatura dal governo italiano da noi guidato” ha dichiarato il primo, gettando al secondo l’assist perfetto di una decisione già presa, a cui sarebbe bastato dichiarare di “non opporsi” senza prendersi la responsabilità di una decisione.

Grazie al miracoloso intervento dell’ex Presidente del Consiglio, l’opposizione alla realizzazione di Camp Ederle 2 è improvvisamente diventata patrimonio esclusivo di “no global e antiamericani”. Una tesi piuttosto azzardata, dato che il comunicato di protesta contro la decisione di Prodi è stato sottoscritto da tutti i senatori veneti dell’Unione, Margherita compresa. Ma una tesi semplice, comprensibile, ben più facile da rappresentare rispetto al complesso intreccio storico che ha reso egemone il pacifismo a due passi dal fronte della Grande Guerra. E una tesi notiziabile, affascinante, ben più interessante della ragionevole considerazione che non si fa una base militare dentro una città.

Del resto immaginare che a guidare la protesta sia l’antiamericanismo in una terra dove tutti hanno un parente negli States o l’antiglobalismo nel regno dell’import-export è un esercizio degno della stampa italiana. Quella stessa stampa che tra pochi mesi, dopo le elezioni amministrative, ricomincerà a riempire le pagine di inchieste sul Veneto e sulla sua inspiegabile mancanza di fiducia nei confronti di Roma e del centrosinistra.

Lorenzo Zamponi

 Red    - 23-01-2007
Della serie: l’antimilitarismo (quello vero) non ha confini.