Una società più colta e laica
Loredana Fraleone da Liberazione - 17-01-2007
Il pezzo che ci viene segnalato è apparso su Liberazione di martedì. Vale davvero la pena di leggerlo, come ci suggeriscono, per la lucida e obiettiva descrizione dello stato dell'arte che ci regala, e per la consapevolezza che, se ancora ce ne fosse bisogno, ci aiuta a sviluppare: quella per cui la scuola, ma il discorso si allarga a tutta la società, non vive senza un consenso condiviso; quella per cui possiamo permetterci di dissentire da scelte che non ci appartengono. Volentieri lo diffondiamo - Red


Il vasto mondo della scuola chiede una società più colta e laica

Forse l'assidua frequentazione di scuole paritarie ed il solido legame con settori rilevanti della formazione professionale stanno facendo perdere al ministro Fioroni il senso di una realtà più complessa e vasta. Per la verità, le scuole paritarie fanno registrare una certa crescita, pompate come sono da finanziamenti di tutte le risme, ma la loro entità, rispetto a quelle statali, rimane tutto sommato marginale. E' anche vero che le risorse destinate alla formazione professionale, in rapporto a quelle della scuola, sono percentualmente più elevate.
Tuttavia le iscrizioni di ragazze e ragazzi, che escono dalla terza media, continuano a riversarsi in massa nel sistema dell'istruzione.
Alla luce di questi dati, c'è da rilevare che, rispetto all'accesso all'istruzione, due cose non hanno "bevuto" gli italiani in questi anni d'egemonia liberista.
La prima è quella che, anche rispetto alle istituzioni scolastiche, il privato sarebbe migliore del pubblico; la seconda è che una formazione finalizzata ad un precoce ingresso nel mondo del lavoro possa misurarsi davvero con un modello di sviluppo adeguato ad un Paese come l'Italia.
L'idea che persino una sfida sul terreno economico richieda conoscenza più alta e diffusa sta entrando nel senso comune, ma non sembra raggiungere alcuni settori del governo Prodi.
Rispondere ad interessi particolari non consente quasi mai di poter affrontare una prospettiva di lungo e, persino medio, periodo. Non siamo in piena crisi della cosiddetta delocalizzazione e del ritorno a "casa" delle imprese che fanno capo ai settori trainanti della nostra economia?
Il modello di scuola "berlinguer- morattiano", prima che da forze politiche e sociali "estremiste", più che da docenti "agitatori politici", come continuano a definirli Berlusconi e i suoi accoliti, è battuto dalla Storia, dal presente e dal futuro.
Se c'è un ritardo che può diventare drammatico, da parte di questo governo, è proprio rappresentato dalla difficoltà di misurarsi con le domande che pone la società della conoscenza.
Si pensi, oltre al riferimento che fanno ormai a questa anche i settori più intelligenti dell'imprenditoria, al bisogno crescente di controllo sociale sulla scienza, specialmente in campo ambientale e genetico.
Il persistere di una sottovalutazione della domanda di conoscenza sarebbe come "scherzare col fuoco", non solo perché i soggetti sempre più numerosi che vi fanno riferimento sono i naturali e più consistenti elettori di uno schieramento progressista, ma anche perché l'Unione non offrirebbe alcuna prospettiva credibile, rimanendo ancorata ad una politica fallimentare, perché priva di qualsiasi possibilità di sviluppo. Da questo punto di vista, le responsabilità che si va assumendo il ministro della Pubblica istruzione cominciano ad essere molto pesanti.
Le parole che vengono pronunciate sono diverse e contraddittorie, ma i fatti parlano chiaro, come nell'ultima circolare per le iscrizioni al prossimo anno scolastico, che lascia sostanzialmente la scuola di base nelle spire della riforma Moratti e prefigura un elevamento a sedici anni di un obbligo scolastico e/o formativo, in una sorta di continuismo con tutto ciò che il programma dell'Unione si è impegnato a cancellare. Di questo passo saremo costretti a richiamarci al programma anche per chiedere l'abrogazione di qualche provvedimento del ministro Fioroni, facendo riferimento a quel sudatissimo punto in cui si afferma che "verranno abrogate le norme vigenti in contrasto con il programma dell'Unione".
Non vorremmo certo arrivare a tanto, nel senso che non gioverebbe alla scuola, oltre che al governo Prodi, un tale ritorno al passato.
Di questo dovrebbe convincersi, per primo, il ministro, che, nel frattempo, straparla in occasioni pubbliche e private, arrivando, come a Caserta, a prefigurare una scuola azienda, gestita da consigli di amministrazione ed altre amenità in funzione di una commistione sempre più stretta tra pubblico e privato.
Non siamo così ingenui da pensare che Giuseppe Fioroni sia un distratto o un politico sprovveduto, ma piuttosto un astuto comunicatore alla ricerca di consenso da parte di quei settori che intende rappresentare.
Peccato che tra i destinatari non vi sia il vasto mondo della scuola con tutte le sue forme associative e quella intellettualità diffusa, che chiede in varie forme una società più colta e laica. E' anche assai imprudente un atteggiamento di autosufficienza, che non tiene in conto né gli alleati di governo, né le soggettività interessate.
Ben altre individualità ed intelligenze hanno pagato atteggiamenti, che hanno trascurato il consenso di un settore della società, tanto maltrattato quanto decisivo per il quadro politico.

Loredana Fraleone
16 gennaio 2007


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 da Retescuole    - 17-01-2007
A Loredana Fraleone
di Stefania Fabris
.......

L'articolo coglie perfettamente l'intreccio tra politica e scelte per la scuola, analizza la situazione e le più recenti proposte del Ministro.
Innanzitutto Fraleone dice: "...due cose non hanno "bevuto" gli italiani in questi anni d'egemonia liberista. La prima è quella che, anche rispetto alle istituzioni scolastiche, il privato sarebbe migliore del pubblico; la seconda è che una formazione finalizzata ad un precoce ingresso nel mondo del lavoro possa misurarsi davvero con un modello di sviluppo adeguato ad un paese come l'Italia." E' vero, o meglio, è stato vero fino ad oggi, però attenzione, perchè secondo me non possiamo continuare a farci conto: se la scuola privata continua ad essere sostenuta con denaro pubblico, perseguendo obiettivi espliciti, non condivisibili da tutti, ma chiari, mentre la scuola pubblica si limita a pagare gli stipendi a insegnanti sempre più squalificati e disorientati e invita privati non identificati ad investire e quindi, gioco-forza, a condizionare in modo tuttavia fumoso e imprevedibile le sue scelte, le preferenze delle famiglie italiane potrebbero cominciare a cambiare. Eccome! Ma scusate, se io sono un genitore e devo fare una scelta ( lasciamo da parte le comodità della scuola privata, non voglio neanche entrarci) e sono caricato di una grande responsabilità perchè ormai è chiaro a tutti che non ci sono più garanzie, riferimenti comuni, programmi certi, ecc., cosa faccio? Scelgo la scuola che quanto meno mi dice più chiaramente quali sono i suoi obiettivi. La scuola pubblica non è più in grado di farlo a nessun livello ( vedi ordinanza sulle iscrizioni)! Al massimo fa pubblicità, nel senso deteriore, da anni ormai, come e più delle private. La seconda questione riguarda il precoce ingresso nel mondo del lavoro, questione che Fraleone riprende successivamente dicendo che il Governo deve:"misurarsi con le domande che pone la società della conoscenza. Si pensi, oltre al riferimento che fanno ormai a questa anche i settori più intelligenti dell'imprenditoria, al bisogno crescente di controllo sociale sulla scienza, specialmente in campo ambientale e genetico. Il persistere di una sottovalutazione della domanda di conoscenza sarebbe come "scherzare col fuoco"..." e, in sostanza, non porsi in una prospettiva di reale sviluppo del Paese anche a livello economico. Anche su questo, senz'altro sono d'accordo, o meglio, lo condivido, era così, ci abbiamo creduto, vorrei che fosse vero, ma cosa è successo dai tempi del Libro Bianco della Comunità europea agli Accordi di Lisbona? Purtroppo temo che la realtà del lavoro in Italia, le richieste che vengono espresse dall'imprenditoria, non sempre purtroppo illuminata e disposta ad investire, siano spesso molto diverse: a me pare che il lavoro dei giovani, e persino giovanissimi, faccia gola, sia richiesto tanto più quanto più non è qualificato! Sembra che le imprese vogliano giovani disponibili, flessibili non in quanto creativi e capaci di inventarsi un lavoro, di cogliere l'insieme per non dire il senso di ciò che fanno, ma in quanto acritici, adattabili con un livello di autostima bassissimo.Ai quali fare corsi di formazione aziendale, possibilmente con i soldi del Fondo sociale europeo! Il declino culturale dell'Università poi fa il resto: persino i laureati con la triennale possono al massimo inserirsi in attività lavorative di tipo intellettuale, ma solo nel senso che non sanno fare niente con le mani e sono imbrigliati in strutture aziendali dove non c'è alcuno spirito di collaborazione. Ma non parliamo di creatività, di idee, di innovazione, di critica. Tutto questo non è previsto per la massa, ormai è chiaro, e anzi è sistematicamente ostacolato, nel lavoro come a scuola, ad eccezione della ristretta cerchia di quelli che sono destinati a diventare classe dirigente. Una casta, e speriamo che almeno loro ce la facciano!
Infine mi riferisco alla conclusione dell'articolo di Fraleone che chiama in causa "quel vasto mondo della scuola" caratterizzato da una intellettualità diffusa e dall'impegno per una società più colta e più laica. Si parla di insegnanti? Vorrei proprio che fosse una descrizione realistica degli insegnanti, ma purtroppo gli ultimi anni di governi hanno dato il colpo finale ad una categoria che già per definizione e provenienza faticava ad affermare autonomia di pensiero e professionalità.
Comunque se davvero questo mondo esiste, ancorchè non così vasto come dice Fraleone, sarebbe bello che si facesse sentire. Il Ministro ha ormai ampiamente dimostrato chi è, cosa vuole fare e in quale direzione intende andare con il beneplacito, più o meno, della maggioranza. E con il plauso dell'opposizione. Se noi insegnanti ci siamo, se non siamo proprio ancora ai titoli di coda, proviamo a battere un colpo, diciamo di no, forte e chiaro e motiviamo il perchè. Con o senza copertura sindacale.

 da Retescuole    - 17-01-2007
Concordo con le riflessioni di Stefania riguardo all'articolo della Fraleone e sulla necessità di darsi una mossa.

Mi permetto di sottolineare un altro aspetto dell'articolo citato che mi sembra interessante e che fa riflettere. Riporto il pezzo interessato.

Rivolgendosi al ministro e dopo averlo "bacchettato" per tutto l'articolo, Loredana conclude:
"E' anche assai imprudente un atteggiamento di autosufficienza, che non tiene in conto nè gli alleatidi governo, nè le soggettività interessate. Ben altre individualità ed intelligenze hanno pagato atteggiamenti che hanno trascurato il consenso di un settore della società, tanto maltrattato quanto decisivo per il quadro politico."

Mi sembra che il messaggio sia molto chiaro e penso che Loredana sia quasi pronta per aderire alla campagna per le dimissioni di Fioroni e del suo staff. Forse spera ancora in una inversione di tendenza o il ruolo che riveste glielo impone.

Per quanto mi riguarda:

PERICOLOSI, OCCORRE FERMARLI!
FIORONI E IL SUO STAFF DEVONO DIMETTERSI

Hasta siempre
Francesco Mele


 Roberto Renzetti    - 19-01-2007
Chiedo scusa a red ma non condivido la presentazione del testo della Fraleone.

In particolare quando si dice:

"la lucida e obiettiva descrizione dello stato dell'arte" .

E' troppo poco per chi, come la Fraleone, da molti anni si occupa di scuola per mestiere. E' poco per chi vuole oggi dire qualcosa sulla scuola. E' un insieme di slogan ai quali i politici ci hanno abituato e che ogni operatore conosce. Chiedo a chi legge di spiegarci le novità introdotte dal dibattito dalla Fraleone o, almeno, una qualche linea d'azione da lei indicata.
Ci dice Fraleone che la società liberista spingerebbe a due cose: a convincerci che il privato è migliore del pubblico e che occorre un ingresso rapido nel mondo del lavoro per immettere persone preparate a livello adeguato allo sviluppo del Paese. E osserva in modo inappropriato che sul primo punto i cittadini non si sono fatti convincere. E' facile rispondere che la scuola privata non c'è ancora in Italia (quella che c'è è in gran parte per i bassi gradi d'istruzione ed è di tipo confessionale). Che si sta puntando a privatizzare l'esistente (d'altra parte la cialtroneria della nostra impresa prevede sempre l'attesa delle dismissioni di prodotti finiti da parte dello Stato). Il secondo obiettivo indicato da Fraleone è molto vago perché non specifica quale Italia si immagina, a quale livello di sviluppo con quali produzioni. Se non si dice cosa è questo non si capisce nulla e, per assurdo, diventerebbe anche auspicabile un rapido ingresso nel mondo del lavoro di persone ben preparate scientificamente e tecnologicamente. La cosa non tornerebbe se si strappassero dei giovani dalla scuola precocemente per essere usati come bassa mano d'opera.
Ma poi si dicono cose mai o mal meditate. Ad esempio la vicenda della "società della conoscenza". Cos'è, di grazia ? Questa espressione che sembra abbia un certo fascino (soprattutto in CGIL Scuola, nel CIDI. Legambiente Scuola e similari) è il contrario di ciò che adombra. Come l'"autonomia" per la scuola. Lo slogan nacque ufficialmente a Lisbona 2000 e, anche la Fraleone, come la Sasso (ma questa seconda è più giustificata perché è all'interno della linea del suo partito) e quasi tutti, non sanno che l'inizio della privatizzazione della scuola in Europa è in Lisbona. Perché in Italia non si legge e non lo fanno nemmeno i deputati a ciò. Sono presuntuosi e credono di aver capito sempre tutto dalle prime righe.
Ci vuole conoscenza più alta per uno sviluppo maggiore. Verissimo. Ma poi misuriamo tutto questo con la distruzione dell'Università attraverso le riforme del primo centrosinistra (3+2 e crediti), anch'esse discendenti da Lisbona 2000, misuriamolo con l'esodo continuo di migliaia di nostre intelligenze verso l'estero; con l'assenza di finanziamenti per la ricerca; con un'industria ancora cialtrona che dedica pochissimo, anch'essa, alla ricerca. Se misuriamo tutto questo ci rendiamo conto che dalle parti nostre si parla molto ma a vuoto (dico questo perché sono interessato da vari anni a conoscere la posizione di Rifondazione sulla scuola; l'ho cercata ma è sempre un riassunto vuoto: la scuola interessa poco perché è argomento complesso da sbandierare con slogan populisti in determinati momenti ma mai da mettere al centro dell'azione di governo). Proprio l'ultimo argomento merita attenzione perché si lega ad altra cosa sostenuta da Fraleone. La società della conoscenza porrebbe delle domande. Tant'è vero, dice Fraleone, che a questa società si interessano i settori più intelligenti dell'imprenditoria (non capisco la conseguenzialità, comunque ...). Osservo che è esattamente il contrario: la società della conoscenza, che porta diritti alla scuola privatizzata, è stata imposta dai settori avanzati dell'imprenditoria alla UE. E' stata l'organizzazione degli industriali europei (ERT) che ha avviato i processi dei libri bianchi e verdi "fino a" e "dopo" Lisbona 2000. Ma un conto è fare un comizio, altro è leggere documenti. L'altro pezzo è d'interesse perché è vero ma non riguarda l'Italia: "il bisogno crescente di controllo sociale sulla scienza, specialmente in campo ambientale e genetico". Ma quando mai ? In Italia non sanno di cosa si tratta anche perché vi è una certa Chiesa che non lascia passare nulla sul fronte dello "specialmente".
Vi sarebbe richiesta di maggiore preparazione ? Ne sarei felice ma i modelli imposti (TV, videogiochi, successo, ...) non lo prevedono se anche le famiglie si ergono a sindacaliste distruggendo quel poco che ancora si potrebbe fare.
Si vorrebbero scelte condivise ? Certo, ma condividere cosa ? E con chi ? Quali e quante sono le forze che oggi hanno capito cosa sta accadendo alla scuola per poche decise e perverse volontà ?
Il fatto è che una scuola la si definisce in una società. Un progetto di società ha una sua scuola e si può da essa pretendere moltissimo. Ma in una situazione di disordine globale, una scuola come dovrebbe essere ? E' chiaro che, per loro ammissione, sia Berlinguer/Bassanini che Moratti (a livelli distruttivi diversi) hanno lavorato per Lisbona 2000. Ma è proprio da una delle ultime verifiche degli obiettivi da raggiungere sulla strada di Lisbona 2000 che si è sostenuta la necessità di accelerazioni sulla strada della destrutturazione della scuola. Tutti sentiamo parlare di pensioni con il fine di privatizzare progressivamente il sistema. Il piano per la scuola è identico. Stati leggeri. Non devono avere in mano quasi nulla. E' il privato che deve pensare a tutto perché è il profitto che domina tutto.
Per questo è necessariamente vago quanto dice Fraleone. E' una sorta di petizione di principio generica che serve a far credere che qualcosa sia possibile dall'interno della scuola senza un impegno (inesistente) dell'intero governo (abrogazione non solo di quanto ha fatto Moratti ma anche dell'insieme dei provvedimenti Berlinguer/Bassanini), senza quindi un cambiamento dei rapporti di forza nel Paese ed in Europa. Il tutto dovrebbe coniugarsi con la conoscenza dei problemi (che manca ad esempio in tutti i DS e collaterali o c'è ma fanno finta di nulla vendendoci tappeti) e la volontà precisa di mantenere la scuola, come l'acqua, nel settore pubblico.
In definitiva sarà lecito chiedere chi, dopo averla finita con le chiacchiere (ricordo quelle in buona fede dell'onorevole Sasso), vuole davvero una scuola pubblica, laica e qualificata ? Chi si impegnerà con decisione su questo ?
Da un certo punto in poi la colpa di questa situazione sarà anche da addebitare agli operatori della scuola se continuano a dare credito a divagazioni teoriche ormai infinite ed insopportabili (ed anche abbastanza superficiali).

Roberto Renzetti

PS. L'occasione per parlare di questo è, oggi, quanto scritto da Fraleone che, certamente, ha meno colpe di tutti gli altri.
Leggo quanto scrivono tanti ispettori, politici (DS e Margherita), sindacalisti e ... meglio lasciar perdere.

 Emanuela Cerutti    - 20-01-2007
Sono stata colpita anch'io dall'affermazione di Fraleone: "Se c'è un ritardo che può diventare drammatico, da parte di questo governo, è proprio rappresentato dalla difficoltà di misurarsi con le domande che pone la società della conoscenza.".
E mi sono ricordata degli obiettivi europei, non certo ispirati ad un amore disinteressato per la cultura.
Così come della "rivoluzione tecnologica", madre e figlia di un nuovo potere non certo democratico, che noi tutti abitanti della rete sosteniamo e incrementiamo.
Eppure, convinta come sono che la nostra storia umana viva unicamente grazie alle contraddizioni che attraversa, trovo che la società della conoscenza abbia permesso nuove forme di sapere e che le tecnologie abbiano allargato le possiblità di comunicazione.
Paradossalmente la democrazia non soccombe al potere grazie agli strumenti che il potere stesso mette a disposizione, e impara a crearne altri, e alternativi.
Il problema è quello di sapersi porre domande e di saper confrontare il proprio operato con le risposte o i risultati che genera.
Abbassare il livello della conoscenza, creando nuove e ulteriori dipendenze, togliendo risorse, proponendo percorsi spuri, è un risultato con segno negativo, che non va a vantaggio di nessuno, neppure nella propria parte.
Ma, siccome chi agisce non è sprovveduto, come la stessa giornalista ricorda, vien da pensare che qualcosa di voluto ci sia, qualcosa di cieco, che non sa andare oltre l'immediato e particolare interesse.
Qualcosa che boccia la conoscenza e crea una società dal fiato corto, anacronistica persino nei confronti della gente che comincia a chiedersi dove finiremo, che futuro avremo, noi, i nostri figli e i nostri nipoti.
Ma se il fuoco resta sui consensi necessari per trascorrere un buon periodo, di domande ce ne faremo sempre meno e sempre meno sapremo riconoscere l'adeguatezza di scelte e prese di posizione.
Una bella responsabiltà per chi governa, per chi si oppone, per chi legge le notizie e per chi le scrive.
Per chi racconta favole e per chi cerca di smascherarle, col rischio, tremendo, di vedere che, alla fine, non vissero tutti felici e contenti. Anzi, che il buon periodo finirà presto, senza aver portato giovamento a nessuno.
Una simile lettura della drammaticità del momento mi pare analisi interessante e costruttiva.