Guai ai vinti
Giuseppe Aragno - 04-01-2007
Lo ammetto: da un po' mi arrocco in una posizione di stallo intransigente e mi sento a disagio. Saranno gli anni, il temperamento che di giorno in giorno peggiora, una lontana vena d'estremismo che si va inacidendo e può essere vero: sono inadeguato e faccio ricorso a strumenti di analisi ormai superati, come un "cane sciolto", un vecchio nostalgico che non sta al passo coi tempi.
Ma che tempi viviamo se per stare al passo occorre negare l'evidenza e mentire a se stessi? La racconto come la vedo e come suggerisce la coscienza. Chi vuole compatisca.
La fine di Saddam Hussein era già scritta quando l'abbiamo aggredito, la condanna è nata da un processo illegale e chiedere oggi l'abolizione della pena di morte, quando sino ad ieri siamo stati in Irak per dare una mano al boia che ha stretto il cappio intorno al collo della vittima, è una scelta meschina e vile, una lurida e diabolica ipocrisia.
Abbiamo avuto tutto il tempo per chiedere il ripristino della legalità internazionale, avevamo ed abbiamo modo e tempo per rompere i rapporti diplomatici con i barbari fantocci cui abbiamo venduto la democrazia. Perché non lo facciamo? Una domanda banale, alla quale è facile opporne un'altra sconsolatamente saggia: - E che fai interrompi i rapporti diplomatici anche con gli Usa, che la pena di morte ce l'hanno e l'esecuzione l'hanno voluta?
Diciamocela tutta. La pena capitale è realtà quotidiana. Decapitazioni, lapidazioni, forche, sedie elettriche e iniezioni letali sono tranquillamente in uso in tanti dei paesi che riteniamo "amici" ed alleati. I tempi sono questi. La Chiesa benedice Pinochet, i nostri ministri siglano accordi con Gheddafi, un tempo terrorista e oggi lungimirante dittatore libico, e ci diamo da fare per aiutare i governi afgani e libanesi, che puniscono l'omicidio con la pena di morte. Prodi, felice e sorridente, s'è sperticato per giorni in inchini e riverenze con i dirigenti politici della Cina che eseguono condanne a morte persino per appropriazione indebita, frode fiscale, furto abituale, conduzione di un bordello, produzione o esposizione di materiale pornografico e disturbo dell'ordine pubblico.
A Prodi, come all'amico-rivale Berlusconi, della pena di morte non interessa nulla. Vende fumo e lo sa, ma i tempi sono questi: è l'uomo lupo all'uomo e persino l'insospettabile "Manifesto", il quotidiano che dopo trentacinque anni di vita spericolata resiste senza "governo amico", senza padroni, padrini e veline, persino il "Manifesto" zoppica, quando si tratta di mettere insieme politica e storia e, al primo editoriale di questo 2007 si perde per la via. E' un incidente di percorso, ci potrei giurare, ma Marco D'Eramo, col suo "Guai ai vinti" lascia sul terreno la verità della storia. Che gli ascari iracheni ci invitino a pensare alla fine di Mussolini invece che a quella di Saddam Hussein, è un'ingiuria da operetta. Penosa è la difesa d'ufficio imbastita dal giornalista: Mussolini - egli scrive - fu sparato assieme alla sua amante dai partigiani [...] che li avevano catturati mentre tentavano di fuggire dall'Italia. Fu un gesto spregevole, ma del tutto diverso da un processo farsa conclusosi con un'esecuzione oscena". Anche il meno preparato degli studenti sorriderebbe: poche, pochissime ore prima del "gesto spregevole" - a questo siamo, poveri partigiani - il Comitato di Liberazione Nazionale aveva offerto al duce la resa incondizionata e un regolare processo. Dell'una e dell'altro si era reso garante il cardinale Schuster nell'arcivescovado di Milano. Fu Mussolini a rifiutare: intendeva ancora dettare condizioni. Ciò che accadde dopo, D'Eramo lo dice: "guerra è uccidere il nemico".
Lo ammetto: da un po' mi arrocco in una posizione di stallo intransigente e mi sento a disagio. Non ho dubbi: tutta colpa mia.

interventi dello stesso autore  discussione chiusa  condividi pdf

 Giuseppe Arpaia    - 06-01-2007
Wow. Credimi, ho perso la voglia di leggere, ma tu me la fai tornare.
pino

 da Altrenotizie    - 07-01-2007
SADDAM E LO SPETTACOLO DEI BOIA


L’esecuzione giocata d’anticipo di Saddam Hussein ha pesato senza dubbio come la pedina di prima fila del domino, causando una serie di cadute prevedibili ed imprevedibili. E’ il tema da cavalcare per dire tutto e pure il suo contrario, valicando il limiti della coerenza e del buon senso. Se non molti si erano interrogati circa la legittimità del tribunale che lo ha condannato, parecchi hanno gridato alla pratica medievale e cruenta della pena inflitta al rais dichiarando, anche digiuni, la loro irremovibilità circa la barbarie della pena di morte. Saranno stati gli effetti del clima natalizio, ma Romano Prodi non ha esitato a farsi promotore della moratoria universale della pena di morte al Palazzo di Vetro. Sarà, ma il fatto è che in silenzio si consumano esecuzioni alla pena capitale ogni giorno ad est e ad ovest della linea della civiltà.La corda che ha impiccato Saddam Hussein ha portato l’Unione Europea intera a farsi paladina dei diritti umani. E’ decisamente inaccettabile che si parli di difesa dei diritti umani solo oggi, dopo la spettacolarizzazione dell’esecuzione. Nessuna indignazione per altre esecuzioni? Nessun moto di reazione per i diritti umani che sistematicamente vengono violati, magari da chi è sanzionato, ad esempio, per voler essere come tante una potenza nucleare?

Se per un attimo diamo per accettata la pena di morte, cosa dire delle immagini che sono state trasmesse dalle tv? Non credo si possa dire che si tratti di dovere di cronaca, a meno di considerare che non fosse sufficiente un decoroso quanto pacato resoconto dei fatti. Pare che mostrare certe immagini reali e cruente non sia più un ne un tabù ne tanto meno un’assunzione in qualche modo di una seria responsabilità circa i loro effetti sulla percezione del limite all’orrore della sofferenza nel vasto pubblico televisivo. Per quale altro motivo allora si sente la necessità di censurare alcune scene del grande cinema mentre il reale non risveglia più alcuna remora?
Abbiamo superato il limite della decenza.

Siamo ugualmente off-shore anche con le reazioni alla diffusione in rete delle immagini dell’esecuzione filmata con un telefono cellulare. Sembra infatti che ai boia sia sfuggito che qualcuno stava registrando i loro insulti e schiamazzi goliardici durante l’esecuzione. Una volta inghiottite dalla rete le immagini fanno il giro del mondo mostrando la vera barbarie.
Sembra però che a farne le spese sarà solo chi ha registrato e diffuso quelle immagini.

Siamo al punto di chiusura anche quando facciamo i conti con due giovani vittime che, ad una prima ed emotiva lettura, potrebbero sembrare vittime di quel diritto di cronaca che ha mostrato al grande pubblico l’impiccagione del dittatore.
Il primo di gennaio perde la vita un bambino pachistano di nove anni. Mubashar Ali è morto emulando la scena dell’impiccagione. A quanto pare i genitori, che stavano assistendo al filmato dell’esecuzione, non hanno prestato attenzione a Mubashar e alla sorella che stavano giocando. Le grida di aiuto della sorella non hanno salvato il bimbo.
In Texas, vicino ad Houston, la stessa sorte tocca ad un bimbo americano. Sergio Pelico, di dieci anni, “giocava” all’impiccato dopo aver assistito al filmato dell’esecuzione del rais è stato trovato morto nella sua camera da letto. Anche qui pare sia stato sottovalutato l’impatto del filmato e le sue possibili conseguenze sui minori e sulla loro naturale curiosità di sperimentare ciò che apprendono anche davanti alla Tv. "La nostra impressione è che stava sperimentando col cappio", ha detto il tenente della polizia Tom Claunch. Impressione?

Quanto siamo in grado di proteggere i minori da quella “impressione” ? La fruibilità quotidiana delle più svariate sollecitazioni cui i bambini sono esposti non dovrebbe richiamare ad una maggiore attenzione? Il fatto che il video dell’esecuzione di Saddam sia stato trasmesso dalle Tv, così come il filmato pirata fatto con un telefono cellulare e diffuso in internet, non dovrebbero essere modalità da demonizzare. Va da sé che la comunicazione garantisce la libertà e la democrazia della società. Perfino le vicende relative a filmati visibili in rete, come il caso recente delle percosse subite a scuola dal ragazzo down, che chiunque con grande semplicità può divulgare, sono strumenti che la tecnologia presta alla democrazia. La maggiore esposizione tuttavia a tali sollecitazioni nei minori, rende necessaria una pari attenzione circa gli effetti sulla loro salute e sulla loro crescita. Spetta a chi si assume la responsabilità di crescerli, oggi più impegnativa che mai, di proteggerli davanti alla necessità di mandare in onda il boia.

Cinzia Frassi