www.vincenzobrancatisano.it - 13-12-2006 |
Parole in libertà sui precari sfruttati dallo Stato Sta creando malumore, a destra e a sinistra, la proposta di stabilizzare 350.000 precari della pubblica amministrazione. Molte dichiarazioni sono il frutto di qualunquismo e superficialità. Ma se vengono da esponenti politici e da uomini che occupano posti di rilievo nelle istituzioni esse recano il marchio della malafede. Questi uomini politici sanno benissimo che i precari già lavorano, altrimenti essi sarebbero definiti disoccupati. Dunque, chi contesta l’assunzione dei precari della pubblica amministrazione adducendo esigenze di risparmio della spesa pubblica accetta che i precari continuino a essere sfruttati. Se quelle dichiarazioni provengono da gente (che dichiara di essere) di sinistra, allora non rimane che preparare una grossa pernacchia da usare (da sinistra) alla prima occasione. Visto che i precari rappresenterebbero la causa principale della spesa pubblica, questi signori dovrebbero spingere la propria onestà intellettuale fino al punto di chiederne il loro licenziamento in tronco. Solo così si otterrebbe il risparmio auspicato. Tuttavia occorrerebbe, a quel punto, fare a meno di tutti i servizi pubblici che il precariato garantisce ogni giorno alla collettività. Ma questo, i signori deputati e senatori da venti milioni (pubblici) al mese con l’assistenza sanitaria (pubblica e privata) a vita per sé e famiglia, non lo hanno mai chiesto. A loro basta che il precario lavori, stia zitto e non chieda di essere assunto. Se Capezzone (di cui sotto) ha figli o nipoti che vanno a scuola pubblica - ma questo non è per nulla scontato visto che moltissimi potenti della nostra sinistra iscrivono figli o nipoti a scuole private perché secondo loro quelle pubbliche non garantiscono il bene dei propri figli – dovrebbe avere la coerenza di chiedere ufficialmente il licenziamento dei precari della scuola (insegnanti, bidelli, segretari, presidi) così la sinistra non si piglia più i fischi in fabbrica, come dice lui. Però dovrebbe spiegare come farebbero ad aprire ogni mattina tutte quelle scuole che funzionano solo perché centinaia di migliaia di precari vengono sfruttati da quello stesso Stato che a lui garantisce il lauto stipendio grazie ai soldi che preleva anche dal reddito (e anche dall'assegno d disoccupazione) dei precari. Ci è piaciuto un articolo apparso questa mattina su L’Unità e per questo lo segnaliamo qui di seguito. L’unico appunto che facciamo concerne l’attacco al professor Pietro Ichino e alle sue denunce contro i nullafacenti. E' inutile nasconderlo, poichè è vero: il pubblico impiego, precario o stabile che sia, è infestato anche di gente che si alza la mattina con la convinzione che non farà nulla tutto il giorno e che nessuno riuscirà mai a licenziarla. Non si fa un favore al pubblico impiego nè a chi nel pubblico impiego lavora con dedizione nascondendo una verità che è sotto gli occhi di tutti e limitandosi ad attaccare Ichino. Il quale, peraltro, ha sempre sostenuto che molto spesso i precari lavorano di più degli stabili: “Nei comuni, province, ospedali, università, ma anche in tanti altri enti pubblici – scrive Ichino – vediamo centinaia di migliaia di lavoratori bravissimi, che restano per troppo tempo nella posizione di «collaboratori» formalmente autonomi, o comunque non di ruolo, pur offrendo una prestazione più intensa e qualificata di tanti dipendenti di ruolo inamovibili; e accade sovente che per loro le porte della «cittadella» del lavoro protetto non si aprano mai. I lavoratori di ruolo possono permettersi di essere inefficienti, mentre proprio i fuori ruolo sono i più efficienti: se non lo fossero perderebbero il lavoro”. Vincenzo Brancatisano |