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Un ragazzino solo
Beppe Grillo - 07-12-2006
Un ragazzino di nome Francesco è stuprato da un gruppo di pedofili a Barrafranca (Enna). Fotografato. Le immagini diffuse nella sua stessa scuola. Chi sapeva ha taciuto. Il ragazzino si ribella. Viene picchiato. Ucciso con una chiave inglese. 19 colpi. I presunti pedofili sono in carcere in attesa del processo. C'è un unico testimone. E' un altro ragazzino che ha visto gli stupri e li ha denunciati. Oggi è isolato. E' lui il colpevole. Colpevole di mancata omertà. Gli inquirenti denunciano: "una grave situazione di pressione ambientale in atto nel piccolo comune di Barrafranca". Dove sono i 13.115 cittadini di Barrafranca? Dov'è il sindaco? Il parroco? La preside?

Il giudice ha trattenuto in carcere i presunti criminali. In Italia i criminali sono sempre presunti, qualche volta prescritti, di rado condannati. Lo ha fatto perchè gli arrestati "potrebbero indurlo a ritrattare". Ma che paese è mai questo? Sono i presunti pedofili che dovrebbero aver paura a uscire dal carcere. Non il ragazzino a testimoniare.

Un articolo del Corriere spiega tutto. Anche troppo. E' un resoconto dell'orrore. Qualcosa che non ti fa dormire e ti rende triste. Una tristezza rabbiosa verso un'umanità cupa, complice, ignobile. Non lasciamo solo questo ragazzino con il suo coraggio.

Non potremo perdonarcelo.

Beppe Grillo

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 Stefania Barbieri    - 09-12-2006
Come commento e soprattutto come invito ad un lavoro comune tra insegnanti, propongo l'editoriale della newsletter settimanale dell'associazione Diesse - didattica e innovazione scolastica

LA CASSETTA DELLA PREPOTENZA

Sembra proprio che non si possa uscire dalla selva oscura nella quale si è scivolati. Alle poco lusinghiere rilevazioni Ocse-Pisa del sistema scolastico italiano, si uniscono ora i sempre più frequenti fenomeni di “bullismo” a completare il quadro di un disagio crescente: di chi nella scuola c’è o dovrebbe esserci per imparare; di chi c’è o dovrebbe esserci per insegnare. Sembra che alla scuola italiana capiti il contrario del re Mida che trasformava in oro tutto ciò che toccava. Chi entra nel cosiddetto percorso formativo esce sapendo meno di quando vi è entrato e matura aggressività. “Tutto quello che non so l’ho imparato a scuola” chiosava Longanesi, e forse aveva un poco di ragione. Più radicalmente Pier Paolo Pasolini proponeva di chiudere la scuola (e ancor prima la televisione, vera responsabile del disastro): “La scuola e il video – diceva – sono autoritari perché statali, e lo Stato è la nuova produzione (produzione di umanità). Se dunque i progressisti hanno veramente a cuore la condizione antropologica di un popolo si uniscano intrepidamente a pretendere l’immediata cessazione delle lezioni alla scuola d’obbligo e delle trasmissioni televisive. Non sarebbe nulla, ma sarebbe anche molto: un Quarticciolo senza abominevoli scuolette e abbandonato alle sue sere e alle sue notti, forse sarebbe aiutato a ritrovare un proprio modello di vita” (“Due modeste proposte per eliminare la criminalità in Italia”, Lettere luterane, Einaudi 1976). Pare che non se ne esca non perché si parla troppo di ogni fenomeno di prepotenza del più forte sul più debole e se ne fa un evento mediatico da baraccone. Non se ne esce non tanto perché ci si dilunga nelle analisi, più o meno tutte plausibili: il disagio sociale, la logica del branco, la mancanza della famiglia alle spalle oppure la presenza di una famiglia arrendevole e affetta da infantilismo. Non se ne esce perché rispetto ad un fenomeno che in parte deriva da disinteresse per la scuola (chi picchia a scuola il suo prossimo o gli fa violenza è come se affermasse che per lui la scuola non è altro che il luogo del dis-interesse, cioè della disaffezione rispetto all’umano), si offrono risposte tecniche presupponendo che ci sia qualcuno che pienamente consapevole le sa applicare. Ecco allora che il Governo in persona (lo Stato produttore di umanità di Pasolini) sforna un suo “vademecum” per difendersi dal bullismo (“Bullismo: che fare?”) leggibile sul sito www.governo.it. Per carità non è tutto da buttare e tra i vari consigli su come difendersi dai prepotenti ve ne sono anche di utili. Ma tutto è all’insegna della tecnica, della predisposizione di un comportamento che dovrebbe essere alternativo o dissuasivo rispetto al bullo. Così ai ragazzi si consiglia, tra le altre cose, di non reagire alle provocazioni del bullo e semmai di raccontare agli adulti le offese ricevute; ai genitori si consiglia di “aumentare l’autostima” dei figli; agli insegnanti, sempre tra le altre cose, si suggerisce di proporre questionari agli alunni e organizzare giornate di dibattito e casomai di istituire “cassette delle prepotenze” dove gli alunni possano lasciare dei biglietti con su scritto le cose spiacevoli che fossero loro capitate. Non una parola sulla necessità di creare in classe un clima di lavoro e di impegno, una rete di rapporti che renda utile e interessante la lezione. Sarà anche efficace la cassetta delle prepotenze, ma nel nostro piccolo preferiamo puntare sull’umanità altrui. Quanti di quelli che fanno i bulli (ragazzi anche loro) sono stati provocati ad usare la libertà per aprirsi responsabilmente alla realtà? Quanti invitati ad usare la ragione al posto dell’istinto? Cedere al bullismo, darlo ormai per scontato, è come rinunciare alla propria identità di uomini. La strada è in salita, ma è da qui che se ne esce, magari fra cinquant’anni, ma se ne esce.