da Repubblica - 14-11-2006 |
E' stato girato in una scuola lombarda. Gli inquirenti sono arrivati ai "colpevoli" Gli inquirenti sono risaliti dal server di Google fino al computer che l'ha inserito MILANO - "Ci siamo". Gli investigatori hanno individuato l'autore del video che documenta le botte, gli insulti, le umiliazioni a un ragazzo Down. Gli agenti sono riusciti a ripercorrere la traccia che dal server arriva fino al computer di chi ha inserito il video sul sito di Google e il cerchio si è chiuso. A tradire il "regista" è stato anche l'indirizzo e-mail che deve essere indicato prima di scaricare i filmati. Il video, secondo quanto scoperto dagli investigatori, sarebbe stato girato in una scuola della Lombardia. Il ministro della Pubblica istruzione, Giuseppe Fioroni, ha chiesto al direttore dell'ufficio scolastico della Lombardia, Mario Giacomo Dutto, di promuovere, tramite l'avvocatura dello Stato, la costituzione di parte civile del ministero nei confronti dei responsabili dell'episodio. Gli investigatori avevano cercato nelle immagini elementi per risalire alla scuola, ma non si vede nulla che aiuti la localizzazione della classe. I ragazzi protagonisti del video hanno accenti di diverse zone d'Italia. Non solo: gli investigatori speravano che tra i compagni di classe e i professori del ragazzo Down qualcuno si facesse avanti per aiutare le indagini. Ma ancora niente. L'unica pista rimasta, quindi, è stata quella informatica. Google, il motore di ricerca sul quale il video era tra i cento più cliccati (al ventinovesimo posto nella sezione "video divertenti") ha fornito agli agenti della Polizia delle Comunicazioni - coordinati da Maurizio Masciopinto - tutti gli elementi in suo possesso, in particolare il "log", una sorta di registro delle operazioni compiute dal server. E subito la traccia si è rivelata vincente. Ora dopo ora il cerchio si è ristretto, prima il Nord Italia, poi la Lombardia. Nelle prossime ore gli agenti si metteranno in contatto con i protagonisti di questa triste storia. Non sarà facile, perché bisogna tutelare la vittima della violenza dei compagni, ma anche gli stessi autori del video che sarebbero minorenni. Gli investigatori fanno notare che i reati ipotizzati sono perseguibili a querela di parte e non d'ufficio: le sanzioni, fa notare qualcuno, devono arrivare dalla scuola e dalle famiglie, non solo dai tribunali. Finora sono due le inchieste aperte sulla vicenda. La Procura per i minorenni di Roma, alla quale la Polizia postale ha notificato la notizia di reato, indaga per violenza privata. Mentre il pm Francesco Cajani di Milano, dove è stata depositata la denuncia-querela dell'associazione Vividown, procede per diffamazione aggravata. Ma ormai la vicenda va oltre le umiliazioni inflitte al ragazzo affetto da sindrome di Down. La polemica ormai si è allargata alle sanzioni per gli autori del video, al ruolo del motore di ricerca dove le immagini erano visibili: "Esprimiamo tutta la nostra solidarietà alla vittima di questo video allucinante", spiega Stefano Hesse, di Google. E aggiunge: "Noi utilizziamo due filtri per controllare le immagini che compaiono su Internet, uno automatico (basato su una verifica incrociata di fotogrammi e parole) e uno manuale. Ma è impensabile che tutti i video, milioni, possano essere visionati, perché bloccherebbe Google". Una spiegazione che non soddisfa l'avvocato di Vividown, Guido Camera: "Chi rende disponibili immagini al pubblico su Internet deve essere in grado di controllarne il contenuto". Ma il dibattito ormai interessa anche il mondo politico. Tutti i partiti esprimono solidarietà al ragazzo maltrattato dai compagni. Messaggi di sostegno arrivano tra l'altro anche da Cgil e Fgci. Il ministro per le Politiche Giovanili, Giovanna Melandri, invoca "sanzioni esemplari per gli autori del video". FEDERICA ANGELI e FERRUCCIO SANSA |
Pierangelo - 19-11-2006 |
riporto da Repubblica online del 19.11.2006 L'ANALISI La bulimia esistenziale nel Paese dei Balocchi L'adolescenza è un'età di tentativi, non tutti congrui, non tutti fortunati. Questo lo sappiamo da sempre, almeno da quando gli adolescenti eravamo noi, inquieti e muti, pericolosi e in pericolo. Non tutti "bulli", non tutti a rischio, però diffidenti del buon senso dei grandi, questo sì. E avidi di esperienze, questo pure, e con i sentimenti tesi a tutto tranne che alle raccomandazioni dei nostri genitori. Se però oggi i frequenti (e non nuovi) deragliamenti dei ragazzini sembrano destare un'angoscia speciale, e il cosiddetto bullismo figura sui giornali come un fenomeno quasi epidemico, forse è perché qualcosa è cambiato, radicalmente cambiato, non tanto nelle piccole e mutevoli società dei minori, assembramenti occasionali e veloci, quanto nella grande e strutturata società degli adulti. Che cosa è cambiato? Per dirla bruscamente, è saltato il meccanismo che regola il rapporto tra i diritti e i doveri. O meglio ancora tra i desideri e il loro limite, come spiegava benissimo Marco Lodoli, giorni fa, su questo giornale. La moltiplicazione dei desideri, nel nostro mondo, è contagiosa, esponenziale e strutturalmente vitale per la moltiplicazione dei consumi. Ognuno di noi sperimenta su se stesso, e più ancora sui figli, se ne ha, l'enorme difficoltà di introdurre, in questo meccanismo rotto, un calmiere, un contrappeso etico. Se l'aggressività dei minori ci spaventa più di quanto è fisiologico, questo dipende, io credo, dal fatto che la paura si manifesta per causa loro, ma non è paura di loro: è la paura -profondissima- di avere perduto in gran parte gli strumenti per affrontarla. È la paura di avere reso inarticolato il linguaggio dei meriti e dei demeriti, dei doveri e dei limiti, in un paesaggio sociale che letteralmente esplode di stimoli a desiderare e a possedere. In fretta. Adesso. Subito. Per questo oscilliamo, incerti e preoccupati, tra rigurgiti punitivi che sentiamo necessari, e il dubbio che la punizione, anche se giusta, sia la goffa e occasionale ricucitura di uno sbrego così enorme, così irreparabile, che la diga nel frattempo è già crollata. Mentre la città scintilla di vetrine esorbitanti, eros a portata di mano, identità e modelli aggressivi e "di successo", e il mondo intero pare un infinito reticolo di scorciatoie identitarie, fisionomie virtuali, di trucchi per sembrare qualcuno a buon mercato, noi balbettiamo spesso, e con scarsa convinzione, le regole della rettitudine. Con il terrore (tipicamente d'epoca) di sembrare moralisti per l'evidente, clamoroso scarto tra l'invito a contenersi e un mondo esterno (spesso anche familiare) che si è dato parametri di incontenibilità e di incontentabilità: avere di più, sembrare di più, desiderare di più. È quasi ovvio che questa vera e propria bulimia esistenziale, che già molti adulti riescono a governare con difficoltà, produca effetti incontrollabili nei ragazzini, la cui natura anagrafica è già di per sé portata ad avere fretta di crescere e fretta di essere. E in questo, almeno in questo, le nostre adolescenze furono diverse: l'idea che ci fosse, per crescere, un tempo fisiologico, maledettamente lungo ma insormontabile, e da percorrere tutto intero, era per noi molto chiara. La politica, per la mia generazione, fu sì un potente acceleratore formativo (come la guerra per i nostri padri, assai meno fortunati), ma era comunque intesa come un percorso, come un divenire. Ora per i ragazzi l'ansia di crescere, di dimostrarsi grandi e forti, potenti e ammirevoli, è diventata un'illusione quotidiana, la tentazione di ogni minuto, a portata di pubblicità, di pantaloni firmati, di chat, con la rete che diventa (vedi il caso di Torino) un facile battesimo per ogni genere di "successo". Questa distruzione del tempo, il lungo tempo che lentamente plasma le persone e riempie le loro vite, è la voragine dentro la quale abbiamo il terrore di vedere scomparire i più fragili tra i nostri figli. Non riusciamo più a spiegare loro la gradualità del "successo" (che piace a tutti, a noi per primi: ma per definirlo, per capirlo, serve anche capire la fatica che costa), la gioia oscura dell'attesa, la differenza tra il facile che è l'ovvio, e il difficile che è il suo contrario. Vacilliamo nel ruolo di autorevoli indecisi, di amichevoli inermi, che ci siamo dati anche nel timore di ripetere modelli barbogi e ottusi di tante vecchie famiglie, che credevano di esaurire nel divieto e nella durezza il compito faticosissimo dell'amore. Pure, qualcosa di differente dovremmo provare a dire, e a fare. Tirarli per le bretelle, magari, i nostri pinocchi, e dirgli "aspetta, prova ad aspettare". Impara ad aspettare. Fai la fatica di aspettare. Tutto o quasi prima o poi arriva, ma solo se hai la forza di aspettarlo. Non c'è crimine, adulto o ragazzino, dei nostri giorni, che non abbia per fondamentale movente la tentazione orribile, falsa, del "tutto e subito". Era lo slogan dei rivoluzionari che fummo. È diventata la legge del Paese dei Balocchi. L'unico modo per tornare a essere rivoluzionari è violarla: non tutto, non subito. Michele Serra |