Maestri di scuola eroi o fannulloni?
dal Sabato di Repubblica - 06-11-2006
La scuola che si adegua è la scuola che non fa lezione, ma brainstorming e uscite didattiche; non boccia, ma recupera; non chiede, ma offre; non segue programmi, ma percorsi; non fa letteratura, ma comunicazione; non chiede il tema, ma l'articolo di giornale.

(da "La scuola raccontata al mio cane" di Paola Mastrocola - Guanda, 2004 - pag. 138).


Con l'articolo della settimana scorsa intitolato "La scuola in crisi non buca il video", sapevo di toccare un nervo scoperto, ma non prevedevo francamente di suscitare un vespaio di polemiche, un'ondata di consensi e dissensi, un vortice di critiche e apprezzamenti via Internet. La mia casella di posta elettronica è stata subissata, e continua ancora a esserlo, di e-mail, interventi, osservazioni, segnalazioni da parte di insegnanti, esperti e cultori della materia. Torno dunque volentieri sull'argomento, non solo per dare conto pubblicamente di questa corrispondenza elettronica, ma soprattutto nella speranza di contribuire ad alimentare un confronto il più possibile sereno e costruttivo, mentre si discute di tagli alla scuola (reali o presunti) previsti nella finanziaria del governo Prodi.

Nello spirito della multimedialità che ormai contraddistingue questo Gruppo editoriale, ne abbiamo parlato nei giorni scorsi anche su Repubblica RadioTv, intervistando il ministro dell'Istruzione, Giuseppe Fioroni, e trasmettendo un dibattito in diretta a cui hanno partecipato da Roma due docenti, Gianfranco Giovannone (autore del libro Perché non sarò mai un insegnante) ed Elisabetta Bolondi, con Attilio Oliva, presidente di "Treelle" , l'associazione non profit che studia i sistemi educativi; e dal nostro studio di Milano, Vittorio Lodolo D'Oria, un medico che ha realizzato insieme ad altri colleghi una ricerca sul "disagio mentale" degli insegnanti italiani. Per chi fosse interessato, la registrazione dell'ultima puntata di "Consumi & Costumi" è disponibile on demand sul nostro sito.

Cominciamo, innanzitutto, dai numeri. Con circa 800 mila insegnanti (di ruolo, precari e supplenti) e circa otto milioni di studenti, la scuola italiana ha un rapporto di l a 10 contro una media europea di 1 a 13 o quasi 14. Sono troppi, sono pochi? Un dato è certo: in proporzione al numero degli alunni, i nostri maestri sono di più. Diciamo un 30% in più, all'incirca 200 mila persone.

Nessuno, evidentemente, pensa di licenziarli in tronco. La scuola non è la Fiat o una qualsiasi altra azienda dove si può ipotizzare una ristrutturazione del personale. Da più parti, si propone piuttosto - come sostiene per esempio "Treelle" di bloccare o ridurre il turn-over al momento della pensione, in modo da diminuire progressivamente negli anni il numero complessivo degli insegnanti. In questo modo, sarebbe possibile da una parte aumentare gli altri investimenti (edilizia scolastica, attrezzature, biblioteche, laboratori) e dall'altra incrementare finalmente gli stipendi dei docenti che in effetti sono più bassi della media europea (meno 10%). Ma un istinto di difesa corporativa induce molti a respingere la proposta, magari contro i loro stessi interessi, come fa la signora Paola Vitanzi da Roma che la definisce addirittura "esilarante".

Perché sono tanti gli insegnanti italiani? "A causa delle caratteristiche orografiche dell'Italia", risponde in prima battuta il ministro Fioroni: 16 milioni di ettari del nostro territorio sono zone montane con scuole montane. E non si possono cambiare le caratteristiche orografiche del Paese né rimettere in discussione il diritto all'istruzione riconosciuto dalla Costituzione. Tre maestri ogni dieci alunni possono essere troppi al centro di Roma o in un'altra grande città, ma tre per otto possono risultare necessari nelle comunità montane.

Poi, c'è la questione dei cosiddetti "insegnanti di sostegno", circa 80 mila insegnanti dedicati agli alunni disabili o meglio "diversamente abili", come si dice più correttamente. E su questo aspetto, insieme al ministro, richiamano l'attenzione numerosi addetti ai lavori, come Luciano Stefanini, insegnante precario di Fisica in un istituto professionale di Portoferraio (Isola d'Elba). Ma a parte il fatto che anche questo 10% del corpo docente è compreso nelle statistiche Ocse (l'Organizzazione internazionale per la cooperazione e lo sviluppo economico), di cui alcuni come Giovannone - contestano però l'attendibilità, bisogna distinguere tra i disabili in senso stretto (ciechi o sordomuti) ai quali un Paese civile ha il dovere di fornire un'assistenza particolare e altre categorie di alunni, come quelli che hanno problemi di apprendimento o di comportamento e soffrono di un disagio familiare o sociale, per i quali la questione si pone in termini diversi. Dopo cinque anni, comunque, gli insegnanti di sostegno diventano automaticamente di ruolo e vanno così ad accrescere il complesso del corpo docente.

Ma quanto lavorano gli insegnanti italiani? E' vero o no che sono fannulloni? Ha ragione senz'altro chi dice - come Francesco Gri, docente di Informatica in una scuola superiore di Pordenone - che oltre all'orario d'insegnamento, bisogna calcolare anche la preparazione delle lezioni, i colloqui con i genitori, il collegio dei docenti e quant'altro. Sta di fatto, però, che il contratto nazionale di lavoro degli insegnanti italiani prevede 600 ore all'anno contro le 700 della media europea: anche qui, dunque, c'è una differenza di circa il 15% a nostro sfavore.

Per fortuna non mancano gli insegnanti che riconoscono le disfunzioni organizzative del sistema, sollecitando maggiori investimenti per adeguare le strutture come ha detto la professoressa Bolondi nel dibattito a Repubblica RadioTv; ovvero per migliorare la qualità della scuola italiana, come auspica Remo Guidi. "Nel corpo docente - osserva Alessandra Zucconi, ex in segnante con 38 anni di servizio - esistono profonde, profondissime differenze, legate sia alla materia insegnata sia alla deontologia professionale dei singoli" . E forse è proprio questa la conclusione più ragionevole e convincente.

Non c'è dubbio, come scrivono Renza Bertuzzi, caporedattore del giornale della "Gilda degli insegnanti", Anna Di Gennaro da Milano, Eugenio Bastianon e infine Vittorio Falletti, che anche in questo caso sarebbe sbagliato generalizzare e che occorre tener conto delle condizioni particolari in cui i docenti lavorano. La maggior parte compie quotidianamente il proprio dovere, assolvendo alle proprie responsabilità educative e supplendo spesso anche alle carenze delle famiglie. Più che fannulloni, molti di loro sono piccoli o grandi eroi civili che rendono un servizio fondamentale alla società e meritano perciò di essere rispettati e trattati meglio.

Giovanni Valentini

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