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Giornalisti e spie
L'Unità - 07-11-2006
La Procura chiede sanzioni più gravi per Farina

Aveva ammesso di aver spiato dei magistrati per conto del Sismi. Per questo Renato Farina, vicedirettore del quotidiano Libero, era stato sospeso per un anno dal Consiglio dell´Ordine dei giornalisti della Lombardia. Ma la Procura generale della Repubblica di Milano (che ha la vigilanza sull´Ordine) ritiene «inadeguata» la sanzione ed ha impugnato la delibera dell´organismo milanese e chiede al Consigli nazionale dell´Ordine di rivedere le decisioni dell´organismo lombardo.

Come si ricorderà, il nome di Renato Farina (vice di Vittorio Feltri a Libero) emerse durante le indagini sul coinvolgimento del Sismi nel rapimento dell´imam di Milano Abu Omar, sequestrato nel 2003 da un commando di agenti della Cia con la probabile collaborazione di agenti del Sismi. Per questa vicenda finì in carcere un dirigente del servizio segreto militare, Marco Mancini.

Scrive nel suo ricordo il sostituto procuratore generale Maria Antonietta Pezza che Farina ha riconosciuto «i rapporti intrattenuti con uomini del Sismi in qualità di informatore» e ha «confessato di avere accettato rimborsi» dal Sismi; ha intervistato i pubblici ministeri Spataro e Pomarici «per carpire informazioni da trasmettere al Sismi» e ha coinvolto nella storia «l'ignaro redattore Claudio Antonelli». La delibera, com'è noto, ha accertato la violazione da parte di Farina delle norme di deontologia professionale, applicando secondo al Procura generale «una sanzione inadeguata rispetto alla gravità della condotta ascritta ed accertata». Hanno partecipato alla seduta del 28 settembre otto consiglieri su 9. La maggioranza era di 5 voti. Nessuna sanzione (radiazione o sospensione di 12 mesi) ha raggiunto il quorum dei 5 voti. È passata così la sanzione meno grave nel rispetto del principio generale del favor rei.

Scrive il sostituto procuratore Pezza: «Il Consiglio territoriale, pure avendo rigettato l'improbabile istanza di patteggiamento avanzato dal difensore, si è tuttavia lasciato prendere la mano dal contegno di studiata sottomissione assunto dal giornalista in sede giudiziale (unica strada per evitare la conseguenza più grave) e da valutazioni metagiuridiche (afflizione derivata dalla pubblicità della vicenda) giungendo ad applicare una sanzione inaccettabile perché non rapportata alla gravità estrema delle violazioni che, ad avviso della scrivente, impongono di irrogare la sanzione massima prevista dall'ordinamento disciplinare». L'articolo 55 della legge 69/1963 sanziona con la radiazione la condotta del giornalista che ha gravemente compromesso la dignità professionale «fino a rendere incompatibile con la dignità stessa la sua permanenza nell'Albo».

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