Il rientro in Italia
gp - 26-10-2006
(...)" Errico Malatesta - scrive Gino Cerrito nel suo, ultimo, lavoro editoriale [1] - tornò in Italia nel dicembre 1919 nonostante il divieto impostogli dal governo. Egli assume, fin da subito, un atteggiamento critico nei confronti della (...)"politica immobilista della CGL e delle incertezze massimaliste del PSI (...)". Il ritorno di Malatesta indica che l'influenza anarchica sulle masse operaie è notevole, anche se non decisiva ai fini di un movimento rivoluzionario. Egli veniva acclamato ovunque da folle immense: il che dava l'illusione che tutti lo comprendessero e moltiplicava la speranza che il paese fosse ad una svolta decisiva. A Genova, a Milano, a Bologna, nelle Marche, a Roma le manifestazioni di plauso assumevano un aspetto plebiscitario tale di entusiasmo che Malatesta scriveva agli amici: "Grazie, ma basta", [2] ricordando che l'esaltazione di un uomo è cosa politicamente pericolosa e moralmente malsana per gli esaltati e per gli esaltatori". Alle acclamazioni, agli applausi, agli "evviva il Lenin d'Italia" egli rispondeva che non era tornato per candidature politiche o per cariche presidenziali. E sosteneva la costituzione di un fronte unico e rivoluzionario del proletariato finalizzato alla distruzione dello Stato. Con queste prospettive venne fondato a Milano, nel febbraio 1920, il quotidiano "Umanità Nova" - con una tiratura di 50.000 copie ovvero pari a quella, dell'odierna, Unità - le cui pubblicazioni cessarono bruscamente a causa di due, successivi, attacchi fascisti subito dopo la marcia su Roma quando le inibizioni legali dei fascisti erano ormai ridotte ai minimi termini. Il primo assalto (30 ottobre 1922) distrusse solo parzialmente i locali della redazione ma non interruppe la stampa e la pubblicazione. Il secondo assalto (28 novembre 1922) completò l'opera. A Malatesta, scriverà Luigi Fabbri una decina d'anni dopo, "fu spezzata la penna". La sua "arma" migliore.


[1] cfr. Malatesta: scritti scelti (a cura) di Gino Cerrito

[2] cfr. Umanità Nova

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