L'indifferenza è l'Anticristo del XXI secolo
Chiesa. Si è detto di tutto sul messaggio pronunciato da papa Ratzinger a Monaco. Emerge un profondo rispetto per la cultura islamica. Una riflessione
L'indifferenza. Ecco il vero Anticristo del XXI secolo. Quella vischiosa e invasiva non-ideologia che ha occupato il vuoto lasciato dalla caduta delle ideologie, e soffoca, con la sua facile offerta di oblio, lo spirito religioso dell'Occidente. L'allarme di Benedetto XVI, lanciato domenica dalla sua Baviera, intende scuotere il dibattito pubblico in Italia e non solo, come un sasso nello stagno del chiacchiericcio mediatico e dell'afasia dei nostrani talk show. Che naturalmente, come nei più raffinati paradossi, si sono appropriati del disperato appello papale per farne l'ennesimo ingrediente nel tritacarne delle opinioni quotidiane. Si riferiva all'Islam. È un messaggio a favore dei Teo-Con. No, è contro. Guarda all'Occidente. Guarda al mondo arabo. Tutto e il contrario di tutto è stato detto in 24 ore, finendo per perdere di vista (o forse riuscendovi) il messaggio centrale dell'anziano pontefice. Dio, il Dio dei cristiani cui Ratzinger nel bene e nel male ha dedicato la sua vita, non c'è nei cuori e nelle coscienze degli europei e degli americani. Sostituito da un edonismo sfrenato, un volgare relativismo che le altre culture, e viene subito da pensare all'Islam, guardano e esecrano via satellite (oppure tentano di imitare, con risultati ugualmente desolanti). Lo spauracchio non è il vessillo della croce, da contrapporre alla mezzaluna secondo i Pera e le Fallaci nostrane, ma un vessillo totalmente vuoto, che eleva il disprezzo della spiritualità a dogma, l'utilità a supremo criterio morale.
L'Occidente secolarizzato, il titanico nemico contro cui Wojtyla combattè (sostanzialmente perdendo) nell'ultimo quindicennio di vita, torna nelle parole di Benedetto XVI. Talmente disperato nel suo grido d'allarme, da superare per un attimo le pulsioni identitarie e romanocentriche messe bene in chiaro nel messaggio inviato solo una settimana fa al meeting ecumenico di Assisi. Qui non si tratta più di Cristo o Maometto, si tratta di far germogliare di nuovo "la fede in Dio", affinché egli "sia di nuovo presente per noi e in noi". I teo-con sobbalzeranno, ma dalle parole del papa emerge non solo rispetto e comprensione per l'Islam, dove il timor di Dio e la fede ci sono eccome, ma quasi un senso di invidia. Invidia perché Dio abita da quelle parti ormai, ma soprattutto perché il Messaggio con la 'M' maiuscola ha ancora un valore e un senso, seppure spesso forzato in maniera orribile, nei paesi musulmani. E da noi? L'omelia di ieri rilancia il problema con i toni apocalittici che chi segue Ratzinger ha imparato ad ascoltare dai tempi dell'ultima via crucis Wojtyliana, con il vecchio papa attaccato alla bombola ad ossigeno e il successore designato curvo al Colosseo a chiedere perdono a Dio da parte dell'umanità. "Signore - ha invocato Benedetto XVI ieri a Monaco - guarda la tribolazione di questa nostra ora che abbisogna di messaggeri del Vangelo, di testimoni per Te, di persone che indichino la via verso la vita in abbondanza". E ancora: "Vedi il mondo e lasciati prendere anche adesso dalla compassione", e infine "Guarda il mondo e manda operai".
È la deriva ratzingeriana del pontificato di Giovanni Paolo II: alla lucidità dell'analisi sul pericolo del materialismo e del relativismo in Occidente (che Ratzinger teorizzò subito dopo il Concilio, ante litteram) segue non più la lotta carismatica e roboante dell'"Atleta di Dio", ma l'angoscia anche somatica di un pontefice che semina già dubbi sulla sua salute e sulla durata del suo regno, dopo neanche un anno e mezzo, e sceglie sia per indole che per precisa volontà di non farsi fagocitare dai media esaltando con la sua maschera silenziosa la gravità della situazione. Almeno secondo il punto di vista cattolico, naturalmente: sempre ieri il papa ha spiegato bene il punto centrale: bisogna "non voler affermare la nostra volontà e i nostri desideri di fronte a Dio, ma lasciare a Lui di decidere ciò che intende fare".
Un messaggio lontano mille miglia dalle culture laiche, illuministiche, democratiche e liberali che, nel bene e nel male, hanno sollevato in due secoli l'Europa dalle pastoie di un lunghissimo Medioevo oscurantista. Tuttavia, queste stesse culture dovrebbero chiedersi, come sottolinea Massimo Cacciari in un'intervista a Repubblica, cosa hanno da proporre di valido e significativo sul piano ideale per frenare la marea montante del cinismo e dell'indifferenza, del puro utilitarismo e "dell'agnosticismo più banale e plebeo" di cui in Italia abbiamo tutti i giorni numerosi esempi. Distinguere la mancanza di ideologie, forse il traguardo più importante in positivo per la storia dell'umanità, dall'assenza di valori: questo potrebbe essere un modo per leggere le parole del pontefice senza lasciarsi impastoiare dalle solite polemiche sulla ricerca scientifica (ovviamente tirata in ballo in questi giorni) o le coppie di fatto. Solo così, forse, si può sottrarre il terreno di coltura a chiunque voglia imporsi nel riempire quel vessillo rimasto vuoto, dai kamikaze all'ipocrisia dei Teo-con, fino alla pletora di maghi, fattucchiere e indovini che ogni giorno vendono a peso d'oro l'illusione di un senso.
Paolo Giorgi