Più per curiosità personale che con l'intenzione di produrre una lucida analisi, sono andata a leggere la direttiva generale per l'attività e la gestione per l'anno 2006 che "
modifica e integra quella del 30 gennaio 2006".
Ho evidenziato il sottotitolo della direttiva, perché, a mio avviso, è quello che maggiormente giustifica la perplessità espresse da più parti su questa fase che
volutamente si vuole di transizione.
In effetti la direttiva del 30 gennaio 2006, anno V dell'era Moratti, è stata
modificata, visto che consisteva - in massima parte - in una relazione entusiasta su tutti gli aspetti della "
riforma" messi in opera e nell'impegno ad attuare quelli non ancora entrati in vigore; è sull'
integrazione che permane qualche dubbio, fatta salva, ovviamente, la premessa. E meno male.
Oltre agli aspetti già puntualmente discussi e criticati (portfolio, Invalsi Indicazioni), mi preme sottolinearne altri, che ho estratto tenendo presente una sorta di filo conduttore che forse consente di pre/figurare la prospettiva con la quale si guarda al futuro, mentre oggi (anno scolastico 2006/2007?) è ancora al presente assetto dell'Amministrazione scolastica cui
nell'attuale fase di transizione, occorre far riferimento.
Come sempre, sono le scelte linguistiche quelle che mi colpiscono per prime: basta infatti osservare la disposizione delle azioni che il ministro si propone di mettere in atto al punto
A.6 , cioè
proseguire, incentivare e monitorare la sperimentazione dei percorsi di istruzione e formazione professionale, per comprendere che non cambierà nulla, visto che non l'intenzione politica, ma la semplice logica avrebbe richiesto di monitorare ciò che è stato realizzato, prima di proseguire e di incentivare
Anche sull'obiettivo
A.7 (
dare avvio ad iniziative ed interventi per valorizzare e modernizzare l'impianto culturale e didattico degli istituti tecnici e professionali), avrei qualcosa da eccepire. Pienamente d'accordo sulla dicitura che accomuna le due tipologie di Istituti e che, implicitamente, sembra rinviare al mittente qualsiasi ipotesi di doppio canale, ma non posso non preoccuparmi quando leggo che i
percorsi dovranno assicurare
la possibilità per gli allievi di conseguire qualifiche e diplomi professionalizzanti di livello e fisionomia diversi. . Anche qui è il linguaggio, mi chiedo, a tradire le intenzioni?
Sul punto
A.9 (
dare attuazione, con le flessibilità e gli adeguamenti necessari, all'alternanza scuola - lavoro) poi non si comprende quali siano le modifiche e quali le integrazioni, visto che, oltre ad usare la stessa dicitura morattiana, la direttiva - parlando di
condizioni da creare sembra ignorare il fatto che tirocini formativi ed esperienze di scuola lavoro sono in atto - e proficuamente - da anni ed anni nelle scuole, ma soprattutto non ne ribadisce la
complementarietà con l'istruzione, come sarebbe stato auspicabile. E' difficile, altrimenti, comprendere la sospensione dello specifico decreto morattiano. A meno che quest'ultimo non sia stato solo temporaneamente accantonato e rispunti insieme alle
fisionomie diverse di cui si parla al punto
A.7
Il filo conduttore del quale parlavo all'inizio, sembra condurre - dritto dritto - all'obiettivo
A.19 (
contrastare e prevenire il fenomeno dell'abbandono scolastico), sul quale, credo, non siano state fatte ancora osservazioni.
Eppure si tratta di un passaggio determinante, se non altro perche chiarisce, all'interno del discorso sulla dispersione, quali caratteristiche potrebbe assumere il biennio unificato che porterà all'innalzamento dell'obbligo scolastico.
Spero di sbagliarmi, ma la prima impressione è che qui non ci siano né modifiche né integrazioni, ma che venga prospettata una semplice somma algebrica tra i percorsi integrati morattiani e il vecchio obbligo formativo, somma il cui risultato, invece di avere un valore positivo, ha davanti un bel segno
meno.
Mi spiego.
Se
Il raggiungimento di tale obiettivo sarà perseguito: - elevando l'obbligo scolastico fino a 16 anni, con la costituzione di un biennio obbligatorio e flessibile (...) - prevedendo e realizzando percorsi misti tra formazione e lavoro in grado di assicurare il conseguimento di qualifiche professionali e di crediti formativi, - costituendo anagrafi informatizzate a livello centrale, regionale e provinciale dei soggetti in obbligo scolastico, - attivando servizi di orientamento rivolti alle famiglie e ai ragazzi; mi sembra chiaro che si sta parlando ancora di percorsi integrati, che inizierebbero già dal primo anno di scuola superiore e non, come accadeva per l'obbligo formativo,
dopo che era stato assolto l'obbligo scolastico
Altri due obiettivi mi limito a riportarli, lasciando a chi legge i commenti:
A.30 - procedere all'assunzione in ruolo del terzo contingente di 3.060 insegnanti di religione cattolica, si da pervenire ad una definitiva stabilizzazione di tale categoria di docenti;
A.34 - proseguire l'attività di sostegno della scuola paritaria, concorrendo a consolidare e ampliare i relativi servizi, svolgendo attività di monitoraggio, di indirizzo, di consulenza e di vigilanza, al fine di dare puntuale applicazione alla legge n. 62/2000, sia sotto il profilo tecnico, giuridico e finanziario che del corretto funzionamento, nell'ottica del raggiungimento delle finalità educative;
Anna Pizzuti - 19-08-2006
|
Leggo una nota di Tuttoscuola la quale, giocando su un equivoco di fondo, sembra confermare le mie ipotesi; in essa, infatti, si dimentica addirittura una legge dello Stato, la n. 9/99 che prolungava l’obbligo scolastico, portandolo a 15 anni, legge cancellata - come sappiamo - dalla riforma Moratti.
L’obbligo formativo - con i suoi diversi percorsi, cioè scuola, formazione professionale, apprendistato - iniziava solo dopo che i ragazzi avevano avuto un anno in più di scuola.
Sommando come fa la direttiva (e come Tuttoscuola conferma, non usando, nel titolo della nota, alcun aggettivo) diritto-dovere ed obbligo formativo, siamo fuori dell’obbligo scolastico, siamo fuori dal programma dell’Unione, siamo fuori dalla scuola.
Dopo la Moratti/2. Il nodo dell’obbligo
La questione nodale, l’autentica cartina di tornasole che misurerà l’idoneità del "cacciavite" di Fioroni a risolvere i problemi politici all’interno della maggioranza di governo è la soluzione del problema delle modalità di innalzamento dell’obbligo di istruzione.
Il ministro ha dichiarato in Parlamento di non volere una "sua" riforma, di voler intervenire sul primo ciclo con "modifiche mirate" (era chiaro che intendeva parlare di modifiche del decreto legislativo n. 59/2004, non della legge n. 53/2003), e che "per innalzare il livello di tutti l’istruzione obbligatoria sarà prolungata di due anni".
In Italia ben due leggi hanno innalzato l’obbligo non di due anni, ma addirittura di quattro, fino ai 18 anni: la legge 17 maggio 1999, n. 144, art. 68 ("Obbligo di frequenza di attività formative"), poi abrogata dal decreto legislativo 226 sul secondo ciclo, e la legge 28 marzo 2003, n. 53, art. 2 ("Sistema educativo di istruzione e formazione", punto c), la prima varata dal centro-sinistra, la seconda dal centro-destra. Ora, se è vero che la seconda legge ha abrogato la prima, è anche vero che non mancano punti di convergenza tra le due leggi, a partire dal fatto che entrambi non parlano di obbligo "scolastico", ma usano altre dizioni ("obbligo di attività formative" la prima, "diritto-dovere di istruzione e formazione" la seconda).
Non sembra impossibile – sempre che non vi ostino insormontabili diktat di tipo politico in seno alla maggioranza – portare a sintesi le due leggi attraverso una riformulazione dei decreti legislativi n. 76/2005 (diritto-dovere per 12 anni) e n. 226/2005 (riforma del secondo ciclo), resa possibile dalla proroga dei termini per la loro modifica. La cosa avrebbe il notevole vantaggio di evitare al governo i pericolosi passaggi parlamentari (rifinanziamento delle missioni all’estero docet) che un eventuale provvedimento legislativo comporterebbe, e anche quello di mostrare all’attuale opposizione che non c’è una pregiudiziale ostilità, da parte della maggioranza, a porsi su una linea di dialogo su uno degli aspetti fondamentali della riforma.
|