breve di cronaca
Esami di Stato, come cambierà?
Governo.it - 06-08-2006
È stato approvato il 4 agosto 2006, nella riunione del Consiglio dei Ministri, su proposta del ministro dell'Istruzione, uno schema di disegno di legge che modifica la disciplina relativa agli esami di Stato.

Queste le principali novità:

- ammissione all'esame per gli studenti che avranno superato lo scrutinio finale e saldato i debiti formativi contratti negli anni scolastici precedenti.

- modifica dei requisiti di ammissione per gli studenti che intendono anticipare l'esame per merito. L'ammissione sarà vincolata, oltre al conseguimento di 8/10 in ciascuna disciplina nello scrutinio del penultimo anno, anche al conseguimento della media di 7/10 nei due anni precedenti.

- esame preliminare per i candidati esterni (privatisti) che non sono in possesso della promozione all'ultima classe, che dovranno inoltre possedere la residenza nella località dell'istituto scelto come sede d'esame.

- la seconda prova scritta per gli istituti tecnici, professionali e artistici assumerà una connotazione più tecnica e laboratoriale.

- le prove nazionali verranno scelte senza la predisposizione da parte dell'Invalsi (Istituto Nazionale di Valutazione del Sistema di Istruzione), anche per la scuola media inferiore.

- modifica dei punteggi di valutazione finale: il credito scolastico passerà da 20 a 25 punti; il colloquio scenderà da 35 a 30 punti.

- ripristino delle commissioni d'esame miste, composte per metà da commissari interni e per metà esterni, oltre al Presidente esterno al quale potranno essere affidate non più di due classi.

- il numero dei candidati esterni non potrà superare il 50% dei candidati interni, fermo restando il limite numerico di 35. Presso ciascuna istituzione scolastica potrà essere costituita una apposita commissione per i soli candidati esterni.

- task force ispettive assicureranno il monitoraggio del regolare funzionamento degli istituti statali e paritari e, in particolare, verificheranno il corretto svolgimento degli esami di Stato.

- i candidati non appartenenti ai Paesi dell'Unione Europea, che non abbiano frequentato l'ultimo anno di corso di istruzione secondaria superiore, potranno sostenere l'esame di Stato in qualità di candidati esterni.

Il provvedimento prevede, inoltre, una delega al Governo che consentirà di:

- realizzare, nell'ultimo anno di studi, dei percorsi di orientamento che permetteranno agli studenti di scegliere con maggiore consapevolezza il corso di laurea più idoneo alle loro caratteristiche e aspirazioni, con la partecipazione in aula anche di docenti universitari e dell'alta formazione artistica, musicale e coreutica.

- potenziare il raccordo scuola-università favorendo la partecipazione degli istituti di istruzione superiore alle prove di accesso alle università.

- valorizzare la qualità dei risultati scolastici raggiunti, assegnando una quota del punteggio degli esami di ammissione ai corsi universitari a numero programmato a quegli studenti che, nell'ultimo triennio e nell'esame di Stato, abbiano conseguito risultati scolastici di particolare rilievo, anche in riferimento alle discipline più significative del corso di laurea prescelto.

- premiare l'eccellenza degli studenti con incentivi, anche di natura economica, finalizzati alla prosecuzione degli studi universitari o nell'ambito dell'istruzione e formazione tecnica superiore.

Fonte: Ministero dell'Istruzione

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 Maurizio Tiriticco    - 09-08-2006
La nota di Valentino (“Scuolaoggi” del 7 luglio) sul disegno di legge sull’esame di Stato va letta come l’apertura di un dibattito che ci deve accompagnare da qui alla discussione parlamentare autunnale ed oltre fino alla stesura del regolamento attuativo, il quale, com’è noto, costituisce di fatto, per una legge, la fonte a cui chi opera nel concreto deve pur sempre riferirsi.
Il nuovo ministro è partito bene ed è giunto in breve tempo alla formulazione di un’ipotesi di cambiamento di tutto rispetto. Ed è, appunto, sull’ipotesi valida che occorre intervenire perché sia possibile apportarvi tutti gli ulteriori emendamenti aggiuntivi necessari a rendere non solo più credibile ma anche più efficace un esame che da troppi anni è in sofferenza e che è pur sempre una tappa importante per la crescita dei nostri giovani e del nostro stesso Paese.
Sono d’accordo con tutto ciò che Valentino dice e vorrei riprendere, pur se brevemente, solo due questioni, una da lui diligentemente affrontata, l’altra – non so perché – dimenticata.
Prima questione: la prima prova scritta – La legge 425/97 è molto chiara in merito: “La prima prova scritta è intesa ad accertare la padronanza della lingua italiana o della lingua in cui si svolge l’insegnamento, nonché le capacità espressive, logico-linguistiche e critiche del candidato, consentendo la libera espressione della personale creatività”. Nella legge non si parla affatto di tema, che si considera una prova per molti versi superata. Esplicitamente di tema si parlava, invece, nella precedente legge di riforma, la numero 119/69 (dovuta al ministro Fiorentino Sullo), dove, all’articolo 5 leggiamo: “La prima prova scritta consiste nella trattazione in italiano di un tema scelto dal candidato fra quattro che gli vengono proposti e che tende ad accertare le sue capacità espressive e critiche”. In seguito, a distanza di trent’anni, anche in virtù dei tanti suggerimenti che nel frattempo sia la ricerca educativa che quella linguistica avanzavano, con la nuova formulazione il legislatore intendeva proporre alla scuola modalità diverse e innovative di elaborazione scritta. Le scuole sembrarono, però, “spaventate” a fronte di una proposta così ardita e lo stesso ministro Berlinguer rassicurò docenti e studenti che il tanto caro tema non sarebbe stato depennato del tutto. Così, in sede di regolamento attuativo si giunse ad una formulazione cautelativa e, di fatto, correttiva del testo legislativo. Ed a quel testo venne aggiunto questo secondo testo: “…essa (la prima prova scritta, nda) consiste nella produzione di uno scritto scelto dal candidato tra più proposte di varie tipologie, ivi comprese le tipologie tradizionali…”. Così, tra le mille possibili tipologie innovative ne vennero scelte tre: l’analisi del testo, il saggio breve e l’articolo di giornale. Accanto a queste figurarono il tema storico (elegantemente definito come “sviluppo di un argomento di carattere storico…”) e quello di attualità (“trattazione di un tema su un argomento di ordine generale…”). Così, invece di invitare le scuole ad attrezzarsi per rinnovare l’insegnamento linguistico ed esortarle a trovare nuove strade per l’elaborazione scritta, si scelse la via di mezzo, molto all’italiana! E non è un caso che, a otto anni di distanza dal “nuovo” esame, Valentino giustamente ancora lamenti la farraginosità delle prime prove scritte proposte dal Ministero. Caro Valentino! Le vie di mezzo non sono mai le strade migliori per cambiare! La critica di Valentino si appunta soprattutto (appare in un suo scritto di qualche tempo fa) sul saggio breve. E qui la cosa è veramente risibile! Io non so chi abbia consigliato al Ministro la strada che allora scelse! Il fatto è, semplicemente che quel mucchio di carte che inviano ai candidati non è affatto lo “stimolo” per un saggio breve, semmai lo è per un saggio lungo! Accade a Valentino, a me e a chiunque sia solito scrivere saggi: vi sono sempre delle fonti, delle occasioni, degli abbrivi, in positivo o in negativo, delle carte sparse sulla scrivania sulle quali si innesta un discorso, una disanima, si sostiene una tesi! Ma il saggio breve che ci ha affidato la tradizione linguistica e docimologica è un’altra cosa: su un determinato argomento che si propone agli studenti, si individuano una serie di questioni chiaramente definite e circoscritte su ciascuna delle quali ciascuno di loro deve esprimersi entro tempi e spazi determinati. Il che consente al soggetto di evitare divagazioni inutili, di non “andare fuori tema”, di abituarsi ad un linguaggio essenziale, non retorico né ridondante; e consente all’insegnante di stabilire in anticipo – e renderli noti, eventualmente, al soggetto – i criteri di correzione degli elaborati. Caro Valentino! Sono anni che torturiamo commissari e candidati con un prova campata in aria, e che con un esame non può avere nulla a che fare!
Seconda questione: la certificazione delle competenze – Otto anni fa abbiamo lanciato un esame di Stato assolutamente innovativo – non lo volemmo più chiamare di maturità! – perché ci siamo resi conto – ed il legislatore lo dice esplicitamente – che il concetto di maturità è quanto di più incerto possa esserci e che, invece, quello che conta sono i reali saperi che lo studente ha acquisito e le modalità con cui questi saperi utilizza quando deve affrontare un problema! Ne parlammo tanto allora e Valentino lo ricorderà. Dalla maturità alle competenze! E non era uno slogan! Un salto di qualità non indifferente, che, però, ancora non siamo stati capaci di compiere, o meglio, di far compiere ai nostri giovani! L’introduzione dei punteggi in sostituzione di voti doveva servire a questo: a cominciare a “dare trasparenza alle competenze conoscenze e capacità acquisite secondo il piano di studi seguito” (art. 6 della legge). Una competenza non puoi definirla né con un voto né con un aggettivo! Se Mario ha “preso” dieci o ottimo, in italiano, matematica, ecc. non so se è un eccellente cuoco o un bravo chirurgo! La misurazione per punteggi doveva essere il primo passo per dare i primi contenuti certi alla certificazione di una competenza. Ma le competenze vanno definite e descritte! E preventivamente. Altrimenti si rimane a mezza strada (ed ancora ci siamo!). La letteratura sulle competenze è sterminata! Ma anche la pigrizia della nostra amministrazione non ha limiti! La Moratti, poi, ha combinato solo guai! Ha scritto un Pecup che non dice nulla e non serve a nulla, e ha scritto migliaia di Osa impasticcatissimi! Siccome sono un buono, potrei dire che il Pecup è al di là delle competenze e che gli Osa sono al di qua! E al centro che cosa c’è? Il vuoto! Ambedue non servono a nulla! Quello che mi domando – e che ti domando, Valentino! – è questo: riusciranno… i nostri eroi del nuovo Mpi ad affrontare un buona volta questa questione? E’ certo che non è affatto cosa semplice individuare, definire, descrivere competenze terminali… chiamali standard, chiamali livelli essenziali dei saperi, chiamali traguardi formativi, ma che siano “cose” chiare e nette che i nostri studenti devono acquisire – siamo a livello di diploma rilasciato a un diciannovenne, ricordalo! – e che i nostri insegnanti adottino come meta dei percorsi curricolari che programmano! E’ su questa questione che si gioca la credibilità stessa del nostro sistema di istruzione! In effetti ce lo chiedono le Università, il mondo del lavoro, l’Europa anche! Oppure, non se ne vuole fare nulla? Si vuole continuare con la “migliore” linea gentiliana delle discipline ben scandite con i loro bravi libri di testo e i quadri orari settimanali o annuali che siano? Allora, si abbia il coraggio di dirlo! Ma poi non lamentiamoci se gli studenti si annoiano, gli insegnanti si demotivano, le ricerche internazionali ci mazzolano e gli obiettivi di Lisbona sono soltanto un irraggiungibile miraggio!